Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17621 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. II, 29/08/2011, (ud. 24/06/2011, dep. 29/08/2011), n.17621

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.V. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso dall’avv. DE SIMONE Ernesto Franco, in virtù di procura

speciale in calce al ricorso, e domiciliato “ex lege” in Roma, presso

la Cancelleria della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

P.B. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, in virtù di procura speciale a margine del controricorso,

dagli Avv.ti d’Ippolito Alessandro e Umberto d’Ippolito ed

elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, in Roma, v. A.

Kircher, n. 14;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Catanzaro

n. 292 del 2009, depositata l’11 aprile 2009 (e non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 24

giugno 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza n. 292 del 2009 (depositata l’11 aprile 2009) la Corte di appello di Catanzaro, decidendo sull’appello proposto da A.V. nei confronti di P.B. avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza n. 1840/2005, rigettava il gravame e, per l’effetto, confermava l’impugnata decisione con la quale era stata respinta la domanda dello stesso A. relativa alla risoluzione di un contratto di compravendita di una ruspa cingolata ed accolta la domanda riconvenzionale risarcitoria proposta dal convenuto, condannando lo stesso appellante anche alla rifusione delle spese del grado.

Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione (consegnato per la notifica il 26 maggio 2010 e depositato il 14 giugno successivo) A.V., basato su quattro motivi, riguardo al quale si è costituito in questa fase con controricorso l’intimato P.B..

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il secondo motivo lo stesso ricorrente ha prospettato il vizio di parziale nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c. (per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato), nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 1374 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza della Corte catanzarese per violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il quarto ed ultimo motivo l’ A. ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., comma 1, e dell’art. 1477 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Rileva, innanzitutto, il collegio che è infondata l’eccezione di inammissibilità formulata dai controricorrente in ordine all’assunta tardività della proposizione del ricorso con riferimento al rispetto del termine annuale già fissato dall’art. 327 c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella fattispecie), poichè, dovendosi porre riferimento (ai sensi dell’art. 149 c.p.c., comma 3), ai fini del perfezionamento della notificazione per il notificante, ai momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario (avvenuta, nella specie, il 26 aprile 2010) e tenendo presente la data di pubblicazione della sentenza impugnata (11 aprile 2009), il predetto termine lungo, con l’aggiunta del periodo di sospensione feriale dei termini, non era ancora decorso all’atto dell’avvenuta richiesta di notificazione del ricorso a mezzo posta.

Ritiene, tuttavia, il collegio che sussistano, ne caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento ai quattro motivi proposti, per inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata, come già evidenziato, l’11 aprile 2009: cfr. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010). Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, a cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione a quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della | suddetta norma codicistica), deve escludersi che il ricorrente si sia attenuto alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c. (dovendo la formulazione del quesito essere idonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia: v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009), poichè:

– con riferimento al primo motivo, implicante la deduzione della violazione degli artt. 342 e 112 c.p.c., non emerge, a seguito dello svolgimento della doglianza, alcuna indicazione, in modo appropriato ed autonomo, di un quesito di diritto riferibile alle supposte violazioni di legge;

– con riguardo al secondo motivo, inerente le richiamate violazioni, manca del tutto, sempre in termini adeguati e sufficientemente specifici, la chiara evidenziazione del duplice quesito di diritto rapportato alla doppia violazione dedotta, dal quale evincere un riferimento riassuntivo al punto della decisione impugnata da intendersi oggetto di confutazione e da correlare al principio di diritto, di cui si chiede a questa Corte l’affermazione in termini generali;

– in ordine al terzo motivo, relativo alla supposta violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 2, con riferimento alla mancata prova dell’inadempimento contrattuale fatto valere in giudizio, difetta, ugualmente, l’illustrazione di un idoneo quesito di diritto funzionale ad evidenziare, in termini univoci e specifici, la violazione prospettata;

– in relazione al quarto motivo correlato alla supposta violazione dell’art. 1453 c.c., comma 1, e dell’art. 1477 c.c., comma 2, anche per esso manca del tutto, sempre in termini adeguati e sufficientemente specifici, la chiara evidenziazione del quesito di diritto, dal quale poter desumere un riferimento riassuntivo al punto della decisione impugnata da cui il motivo ha inteso dissentire, da correlare al principio di diritto di cui si chiede a questa Corte l’affermazione in via generale.

In definitiva, il ricorso, per le esposte ragioni, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 24 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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