Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17621 del 17/07/2017


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Cassazione civile, sez. un., 17/07/2017, (ud. 21/02/2017, dep.17/07/2017),  n. 17621

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. DIDONE Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13618/2015 proposto da:

M.A., G.R., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA PUGLIE 23, presso lo studio dell’avvocato ATTILIO TOSCANO,

rappresentati e difesi dall’avvocato CORRADO CELESTE;

– ricorrenti –

contro

N.E., N.S., E.N.IA, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA BOEZIO 16, presso lo studio dell’avvocato

ANDREA SILLA, rappresentati e difesi dall’avvocato MASSIMO VITALE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata in

data 18/11/2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/02/2017 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;

uditi gli Avvocati Corrado Celeste e Stefano Queirolo per delega

dell’Avvocato Massimo Vitale;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per

l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catania, con sentenza depositata il 18 novembre 2014, ha confermato la sentenza di primo grado in relazione alla condanna di M.A., in proprio e nella qualità di legale rappresentante dell’Oasi Bar s.n.c., all’eliminazione di tre prefabbricati posti in violazione delle distanze legali rispetto all’immobile di N.N., S. ed E., oltre che al risarcimento del danno.

A modifica della decisione di primo grado, la Corte di merito ha rigettato le domande proposte nei confronti di G.R. per difetto di titolarità passiva, con condanna del Mollica al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio e compensazione nei confronti della G..

Avverso questa decisione hanno proposto ricorso M.A. e G.R. con sei motivi.

Resistono con controricorso N.N., S. ed E..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia difetto di giurisdizione del giudice ordinario ed errore in iudicado ed in procedendo per errata interpretazione e applicazione degli artt. 112,113 c.p.c. e art. 183 c.p.c., comma 6, ex art. 360 c.p.c., nn, 3 e 4.

Sostiene il ricorrente che la domanda di primo grado era diretta “a far cessare l’abuso e ordinare l’immediata demolizione delle opere poste abusivamente” e che solo nella memoria ex art. 183 c.p.c., irritualmente era stata introdotta la domanda di accertamento del mancato rispetto delle distanze legali.

2. Il motivo è infondato.

Come affermato dalla Corte d’appello e come risulta dalla visione della citazione, la domanda originaria era volta alla tutela del diritto di proprietà dei ricorrenti, leso dalle costruzioni realizzate in spregio alle norme sulle distanze tra costruzioni e sulle vedute, con richiesta al Tribunale di far cessare l’abuso e ordine al M. alla immediata demolizione delle opere poste abusivamente, con il ripristino dello stato dei luoghi.

Quindi fin dall’atto di citazione viene lamentata la violazione delle distanze legali fra fabbricati e con la memoria successiva viene effettuata una mera precisazione della domanda già originariamente formulata.

3. Per giurisprudenza costante di questa Corte le controversie tra proprietari avente ad oggetto la violazione delle distanze legali tra le costruzioni appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario trattandosi di violazione di diritti soggettivi.

4. Con il secondo motivo si denunzia violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame ed insufficiente contraddittoria motivazione in relazione al fatto decisivo è controverso tra le parti relativo alla distanza legale del box dall’immobile dei resistenti.

Il ricorrente sostiene che la Corte ha omesso di valutare la circostanza che il box era solo poggiato su suolo demaniale e che era stato oggetto di provvedimento amministrativo legittimo e di nullaosta da parte della Provincia per concessione del suolo demaniale e che la restrizione del suolo demaniale poteva essere disposta a discrezione della pubblica amministrazione.

5.Con il terzo motivo si denunzia violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3 e art. 873 c.c. e delle norme urbanistiche regolamentari vigenti nel Comune di Noto.

6. I due motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico giuridica che li lega e sono inammissibili.

La censura di vizio di motivazione non rispetta il modello legale previsto dal nuovo art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile al procedimento in virtù della data di pubblicazione della sentenza.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014

7. Nella specie il ricorrente censura la valutazione in fatto operata dalla Corte d’appello che ha ritenuto i tre prefabbricati vere e proprie costruzioni, assoggettate alla normativa sulle distanze tra gli immobili.

Non ricorre quindi alcuna ipotesi di omessa pronunzia su un fatto decisivo e controverso,avendo la Corte preso in esame e valutato il fatto indicato come decisivo, ma il ricorrente richiede una inammissibile rivalutazione del fatto per giungere ad un accertamento diverso da quello motivatamente fatto proprio dai giudici di merito.

8. Il ricorrente solo formalmente denunzia, poi, la violazione delle norme in materia di distanze legali fra costruzioni, ma nella sostanza attinge anche con questa censura l’accertamento in fatto della Corte d’appello in ordine alla natura non precaria delle costruzioni, alla misura della distanza fra le costruzioni del ricorrente e l’immobile dei resistenti, alla misura del punto più alto del tetto, alla natura di parete finestrata o meno dell’immobile degli intimati.

9. Con il quarto motivo si denunzia violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 879 c.c..

Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello non si è accorta della circostanza che sia l’immobile degli attori che i manufatti del ricorrente confinavano con la pubblica strada e quindi con la piazza e che pertanto ricorreva esattamente l’ipotesi di cui all’art. 879 c.c..

10. Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha ritenuto che nella specie non si applica l’art. 879 c.c., in quanto la fattispecie in oggetto è diversa da quella regolata dalla disposizione sopra citata, che fa riferimento a costruzioni realizzate a confine con le piazze e le vie pubbliche. L’accertamento in fatto della Corte d’appello che ha ritenuto che fra i chioschi e l’immobile dei resistenti non si interponesse una piazza o una via pubblica non è più rivalutabile in questa sede, come richiesto dal ricorrente, che ha dedotto l’interposizione della pubblica piazza, essendo impossibile a questa Corte, allo stato degli atti, accertare una diversa collocazione degli immobili.

11. Con il quinto motivo si deduce violazione ed errata interpretazione dell’art. 2697 c.c., nonchè insufficiente contraddittoria motivazione in ordine alla condanna al risarcimento dei danni ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Il ricorrente censura la liquidazione equitativa del danno in assenza di prova non solo dell’entità, ma della sussistenza del danno risarcibile.

12. Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha affermato che la realizzazione dei prefabbricati in oggetto posti proprio innanzi all’immobile degli attuali ricorrenti, sito sul lungomare di (OMISSIS), con ostacolo alla vista, costituisce di certo una limitazione del diritto dei proprietari di godimento dell’immobile medesimo. Limitazione che giustifica il risarcimento dei danni che in relazione al tempo di posizionamento dei box e del loro ingombro possono equitativamente quantificarsi nella misura indicata dal primo giudice.

13. Il ricorrente non censura adeguatamente tale motivazione ma deduce genericamente la mancanza di prova del danno.

Il profilo della censura relativo al vizio di motivazione è inammissibile perchè non rispetta la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

14. Con il sesto motivo di ricorso si censura la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto – artt. 91 e 92 c.p.c. – in ordine alla compensazione delle spese relativamente alla dichiarata carenza di legittimazione passiva di G.R..

15. Il motivo è infondato.

Ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo applicabile “ratione temporis” essendo il giudizio iniziato nel 2004 (prima della modifica introdotta dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a) la scelta di compensare totalmente o parzialmente le spese processuali è riservata al prudente apprezzamento del giudice sulla base di un adeguato supporto motivazionale, che può anche desumersi dal complesso delle considerazioni giuridiche o di fatto enunciate a sostegno della decisione di merito o di rito.

Nella specie la Corte di merito ha adeguatamente motivato la compensazione delle spese processuali facendo riferimento alla circostanza che comunque il provvedimento amministrativo di applicazione della sanzione di ordine di ripristino dei luoghi poteva creare equivoco sulla proprietà delle opere in questione.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2017

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