Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17620 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. II, 29/08/2011, (ud. 24/06/2011, dep. 29/08/2011), n.17620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.O. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso

dagli Avv.ti CRISA’ Vincenzo e Orazio Nicotra, in virtù di procura

speciale in calce al ricorso, e domiciliato “ex lege” in Roma, presso

la Cancelleria della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

T.V. (C.F.: (OMISSIS)) e M.M.

(C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi dall’Avv. Vacirca

Lucio, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, e

domiciliati “ex lege” presso la Cancelleria della Corte di

cassazione;

– controricorrenti –

e

T.G. (C.F.: (OMISSIS));

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Catania n.

329 del 2009, depositata N1 marzo 2009 (e non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 24

giugno 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte di appello di Catania, con sentenza n. 329 dei 2009 (depositata l’11 marzo 2009 e non notificata), in riforma della decisione del Tribunale di Catania – sez. dist. di Acireale n. 20/2004 ed in accoglimento del gravame proposto da T. V., M.M. e T.G. nei confronti di V.O., dichiarava che l’appellato non era titolare di servitù di passaggio su viottolo appartenente agli appellanti (originari attori), lungo circa 14 mt., costituente la prosecuzione della stradella lunga circa 32 mt., limitrofa ai fondi degli stessi appellanti siti in contrada (OMISSIS), descritti in catasto nel foglio 60, particelle 15, 192 e 193, condannando lo stesso V.O. alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Con ricorso (notificato il 19 aprile 2010 e depositato il 5 maggio successivo) V.O. ha impugnato per cassazione la suddetta sentenza della Corte di appello di Catania formulando due distinti motivi, avverso il quale si sono costituiti con controricorso gli intimati T.V. e M.M., mentre non ha svolto attività difensiva l’altro intimato T.G..

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata.

Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, indicando in proposito il seguente quesito:

“dica la S.C. se i giudici a quibus siano incorsi in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., omettendo di valutare le prove offerte (atti pubblici prodotti dal V.) e gli atti istruttori acquisiti (c.t.u. di primo grado) che dovevano essere correttamente valutati secondo i più elementari canoni di ermeneutica”.

Con il secondo motivo il V. ha prospettato il vizio di motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riportando a corredo dello stesso il seguente quesito: “dica la S.C. che i giudici a quibus abbiano omesso o, comunque, insufficientemente motivato, l’assunto secondo il quale la tesi proposta dal ricorrente fosse sfornita di prova per essere insufficiente la documentazione versata in atti.

Ritiene il collegio che sussistano, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento ad entrambi i motivi proposti, per manifesta inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata l’11 marzo 2009: cfr. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010). Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), deve escludersi che la parte ricorrente si sia attenuta alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poichè:

con riferimento al primo motivo implicante la deduzione della supposta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorrente, dopo aver svolto le proprie doglianze con riferimento alle risultanze istruttorie a suo avviso da ritenersi più importanti, ha concluso tale sviluppo con l’indicazione di un quesito assolutamente generico (ponente riferimento all’omessa valutazione delle prove offerte non correttamente valutate), la cui formulazione non risulta certamente idonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009), risolvendosi, peraltro, la doglianza stessa, sul piano effettivo, nell’allegazione di un vizio di motivazione (per il quale, oltretutto, non risulta riportata la necessaria sintesi della insufficienza motivazionale e non emerge l’enucleazione del fatto controverso e decisivo per il giudizio) teso a sollecitare nella presente sede di legittimità la rivisitazione delle risultanze istruttorie, come tale inammissibile, essendo demandata la funzione valutativa e selettiva delle prove al giudice del merito;

con riguardo al secondo motivo, riferito ad un assunto vizio motivazionale, manca del tutto la chiara indicazione, in apposito quadro di sintesi conclusiva, del fatto controverso in relazione al quale si è assunto che la motivazione fosse insufficiente e anche la prospettazione delle ragioni, in termini adeguatamente specifici, per le quali la supposta insufficienza motivazionale fosse inidonea a supportare la decisione (essendosi, essenzialmente, il ricorrente limitato a dedurre, in forma assolutamente generica, che la Corte territoriale aveva omesso o, comunque, insufficientemente motivato sulla sua tesi e sull’inidoneità della documentazione rilevante in funzione probatoria).

In definitiva, per le esposte ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese della presente fase in favore dei due controricorrenti, che si liquidano come in dispositivo, mentre non vi è luogo a provvedere sulle spese riguardo all’altro intimato, che non ha svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese dei presente giudizio in favore dei due controricorrenti, liquidate in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 24 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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