Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17617 del 28/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/07/2010, (ud. 01/07/2010, dep. 28/07/2010), n.17617

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici è domiciliala in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrerne –

contro

Bagno Vittoria di Gonnelli Silvio & C. s.n.c., in persona del

legale

rapp.te pro tempore, nonchè G.S., G.D. e

G.L., elettivamente domiciliati in Roma Foro Traiano 1 A

presso lo studio degli avv.ti Verusio Giovanni e Giorgio Cosmelli,

che unitamente all’avv. Michele Barbieri del Foro di Pisa li

rappresentano e difendono giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 91.31.07, depositata in data 13.12.07, della

Commissione tributaria regionale della Toscana;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Giovanni

Carleo;

sentita la difesa svolta per conto di parte ricorrente, che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza

impugnata con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle

spese processuali;

Udita la difesa svolta per conto di parte resistente che ha concluso

per il rigetto del ricorso con vittoria di spese;

Udito il P.G. in persona del dr. Giampaolo Leccisi che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con quattro distinti ricorsi la società Bagno Vittoria di Gonnelli Silvio & C. s.n.c. e G.S., G.D. e G. L., soci della stessa, impugnavano dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pisa quattro avvisi di accertamento riguardanti, il primo, la rettifica della dichiarazione del reddito sociale per il 1993, gli altri tre, la rettifica dei redditi di partecipazione dei soci per il medesimo anno di imposta. L’adita Commissione riuniva i ricorsi e li accoglieva parzialmente riducendo del 50% i ricavi accertati nei confronti della società e nei confronti dei soci. Proponevano appello principale sia la società che i soci ribadendo le tesi esposte in primo grado. L’ufficio proponeva appello incidentale riaffermando le proprie posizioni. La Commissione tributaria regionale della Toscana accoglieva il solo gravame dei contribuenti.

Avverso la detta sentenza ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi l’Agenzia delle Entrate. I contribuenti resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La prima doglianza, svolta dalla ricorrente Agenzia, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 73, art. 39, comma 1, lett. d, del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3 conv. nella L. n. 427 del 1993, si fonda sulla considerazione che, in caso di accertamento effettuato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d sulla base delle risultanze di un p.v.c., non sarebbe affatto necessario rilevare, ai fini della legittimità dell’accertamento, anche l’esistenza di “gravi incongruenze” tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche dell’attività svolta ovvero dagli studi di settore, cui fa riferimento l’art. 62 sexies sopra citato.

Inoltre, la sentenza – e tale rilievo sostanzia la seconda doglianza – sarebbe censurabile altresì per omessa motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, essendosi la CTR limitata ad affermare, laconicamente, che noi erano in alcun modo configurabili presunzioni semplici che risultassero ai sensi dell’art. 2729 c.c. “gravi, precisi e concordanti”, senza nulla aggiungere per esplicitare l’iter logico che la aveva indotto a negare la sussistenza dei presupposti di un accertamento induttivo basato su presunzioni. Entrambe le doglianze, sostanzialmente connesse tra loro, non colgono nel segno, pur essendo, la prima censura, fondata su una premessa condividibile. Ed invero, deve rilevarsi che, a norma del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies, comma 3 aggiunto dalla Legge di Conversione 29 ottobre 1993, n. 427, l’ufficio – allorchè ravvisi “gravi incongruenze” fra i valori dichiarati e quelli ragionevolmente attesi in base alle caratteristiche dell’attività svolta od agli “studi di settore” – può fondare, senza obbligo d’ispezione dei luoghi, l’accertamento di maggiori ricavi, rispetto a quelli dichiarati, anche su tali “gravi incongruenze” e quindi anche al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 39 citato. Ma resta fermo che, così come hanno di recente insegnato le Sezioni Unite di questa Corte, “la procedura di accertamento tributario standardizzalo mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello standard …” (Sez. Un. 26635/09).

Giova aggiungere che, così come hanno precisato le Sezioni Unite nella motivazione della sentenza, la procedura, prevedente l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravita, precisione e concordanza non è determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddicono da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. Ciò premesso, ne deriva che, se in esito al contraddittorio con il contribuente lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore costituisce, in pratica, un elemento presuntivo, certamente ammissibile anche in presenza di contabilità formalmente regolare, non può trascurarsi in senso contrario che la mancanza di gravi incongruenze dei ricavi dichiarati rispetto a quelli previsti dagli studi di settore, accompagnata dalla correttezza formale della contabilità generale, va ad insterilire o comunque a ridurre in misura determinante – la valenza indiziaria delle presunzioni semplici di segno contrario che l’Ufficio abbia ritenuto di trarre nell’ambito della procedura di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39. In tale considerazione si sostanzia in definitiva la decisione impugnata quando, con una valutazione, peraltro insuscettibile di revisione in sede di legittimità, la Commissione, dopo aver evidenziato nella specie” la congruità dei ricavi dichiarati rispetto a quelli previsti dagli studi di settore e la correttezza formale della contabilità generale” ha altresì ed espressamente escluso la configurabilità di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti ai sensi dell’art. 2729 c.c.. E ciò, in quanto, come hanno insegnato le Sezioni Unite nella sentenza più volte richiamata, “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri e degli studi di settore costituisce un sistema unitario, frutto di un processo di progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti, che giustifica la prevalenza, in ogni caso, e la conseguente applicazione retroattiva dello strumento più recente rispetto a quello precedente, in quanto più affinato e, pertanto, più affidabile (S.U. 26635/09).

Ne deriva che, ferma restando l’erroneità della motivazione in diritto nella parte in cui la CTR ha affermato che l’Ufficio avrebbe dovuto dimostrare che sussistevano gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondamentalmente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta dalla Società”, deve comunque ritenersi conforme al diritto il dispositivo della sentenza impugnata che appare in linea con il principio sopra richiamato. Consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, a norma dell’art. 384 c.p.c., u.c. deve essere rigettato Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di questo giudizio in quanto l’orientamento giurisprudenziale riportato si è consolidato solo dopo l’introduzione della lite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 1 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2010

 

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