Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17615 del 24/08/2020

Cassazione civile sez. III, 24/08/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 24/08/2020), n.17615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19043/2018 R.G. proposto da

REPUBBLICA DELL’IRAQ, MINISTRY OF PLANNING (MINISTERO DELLA

PIANIFICAZIONE), SOMO – STATE OIL MARKETING ORGANIZATION, CENTRAL

BANK OF IRAQ, IRAQ REINSURANCE COMPANY, IRAQ AIRWAYS COMPANY,

RAFIDAIN BANK, RASHEED BANK, tutti con sede in (OMISSIS), in persona

dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore e, per essi,

l’AMBASCIATA DELL’IRAQ PRESSO LA REPUBBLICA ITALIANA, in persona del

plenipotenziario Ambasciatore pro tempore della Repubblica

dell’Iraq, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI N.

99, presso lo studio dell’avvocato CARMINE PUNZI, dal quale è

rappresentato e difeso in uno all’avvocato MAURO RUBINO SAMMARTANO;

– ricorrenti –

contro

EUROCREDITI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO DE CRISTOFARO N. 40,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CALIGIURI, dal quale è

rappresentato e difeso in uno all’avvocato FRANCESCO MAURO;

– controricorrente –

e contro

D.P., SERVER PLUS LTD, UNICREDIT SPA;

– intimati –

nonchè da:

UNICREDIT SPA, in persona dei procuratori pro tempore, rappresentata

e difesa dagli avvocati WALDEMARO RICK, ARTURO FLICK, STEFANO

REBAGLIATI ed ALFONSO QUINTARELLI, presso lo studio dell’ultimo dei

quali elettivamente domicilia in ROMA, VIA C. MIRABELLO N. 18;

– ricorrente incidentale –

contro

D.P., EUROCREDITI SRL, SERVER PLUS LTD, REPUBBLICA DELL’IRAQ,

MINISTRY OF PLANNING, SOMO – STATE OIL MARKETING ORGANIZATION,

CENTRAL BANK OF IRAQ, IRAQ REINSURANCE COMPANY, IRAQ AIRWAYS

COMPANY, RAFIDAIN BANK, RASHEED BANK, AMBASCIATA DELL’IRAQ PRESSO LA

REPUBBLICA ITALIANA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 639/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 13/04/2018;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 26/06/2020 dal relatore Dott. Franco DE STEFANO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La vicenda ha ad oggetto la cessione di un ingentissimo credito verso uno Stato estero da parte di una curatela di impresa individuale per un prezzo minimo, seguita da un’attività di riscossione fruttuosa ad opera della cessionaria – e di una sub cessionaria – con pignoramenti presso terzi, in cui sono intervenuti provvedimenti civili a conforto delle posizioni dei procedenti, alcuni dei quali resi – quale giudice – dal coniuge dell’erede del fallito; e tutto reso oggetto di un procedimento penale, conclusosi con assoluzione o proscioglimento degli imputati, salve le statuizioni civili a carico pure di colui, tra loro, che è subentrato nel processo odierno quale erede del fallito dopo la chiusura del fallimento.

2. Un credito di UD 10 milioni, vantato dall’impresa individuale D.P. fu E. nei confronti della Repubblica dell’Iraq e del suo “Ministry of planning”, fu ceduto il 15/07/2003 dalla curatela del fallimento del creditore, nelle more intercorso, per l’importo totale di Euro 77.450 – oltre interessi – alla Server Plus ltd in data 15/07/2003.

3. Tuttavia, poco tempo dopo la curatela convenne, con atto di citazione iscritto a ruolo il 06/04/2006, non solo la cedente e la cessionaria, ma anche i debitori ceduti ed altre autorità od enti iracheni (la Somo – State Oil Marketing Organization, la Central Bank of Iraq, la Iraq Reinsurance Company, la Iraq Airways Company, la Rafidain Bank, la Rasheed Bank), nonchè la parziale subcessionaria Eurocrediti srl per sentire dichiarare la nullità o in subordine l’annullamento di quella cessione e della successiva subcessione.

4. Un primo vizio fu prospettato nella riscontrata insussistenza delle circostanze oggetto di presupposizione, cioè la difficilissima se non impossibile recuperabilità del credito, per essere il debitore uno Stato extracomunitario che aveva visto nel frattempo clamorosi rivolgimenti politici ed inoltre il tenore negativo delle dichiarazioni già rese dai terzi pignorati che si supponeva depositari di somme a quello spettanti: infatti, la cessionaria aveva poi conseguito ordinanze di assegnazione in procedure di espropriazione presso terzi nelle quali le banche terze pignorate avevano ora reso dichiarazioni positive (sia pure sul presupposto dell’identificazione di tutti i soggetti indicati come debitori con il destinatario della condanna recata dal titolo) e riuscendo anzi a cedere una quota del credito – del 30% – per un importo – di Euro 180.000 – di gran lunga superiore allo stesso prezzo dell’originaria cessione. In subordine, l’attrice curatela prospettò l’evidenza dell’errore sull’elemento essenziale del contratto di cessione costituito dalla recuperabilità del credito, errore oltretutto sicuramente riconoscibile dalla controparte o, in caso contrario, bilaterale o comune; e chiese ordinarsi ai debitori ceduti di non eseguire alcun pagamento a favore delle convenute cessionaria e subcessionaria.

5. Nella contumacia della sola Server Plus ed intervenuta la Banca di Roma spa quale terza pignorata, per quel che qui rileva le controparti irachene chiesero accertarsi l’inesistenza del credito ceduto e solo in subordine aderirono alle domande di nullità o di annullamento delle cessioni, con condanna delle altre convenute alla restituzione allo Stato iracheno delle somme percepite; poi, chiuso il fallimento il 03/01/2007, il giudizio fu riassunto nei confronti dell’erede del fallito, D.P., che si costituì al solo fine di eccepire l’estinzione per tardiva notificazione dell’atto di riassunzione: ed infine le interventrici irachene proposero altresì domanda di nullità per illiceità della causa o illiceità o impossibilità dell’oggetto, quale atto di bancarotta fraudolenta aggravata; dal canto suo, la Banca di Roma chiese, in adesione alle domande della curatela, dichiararsi l’invalidità della cessione e la condanna di Server Plus ed Eurocrediti alla restituzione di quanto da queste percepito.

6. Il Tribunale di Massa, con sentenza n. 580 del 19/09/2012, per quel che qui ancora rileva e prima di dichiarare inammissibili le domande di Banca di Roma in quanto formulate a titolo di intervento adesivo dipendente, dinanzi all’acquiescenza della parte adiuvata, rispetto alle domande avanzate dalle parti irachene: dichiarò inammissibili quella di accertamento dell’insussistenza del credito, siccome preclusa da pregresso giudicato, quella di annullamento, siccome riservata alle parti del contratto di cessione, nonchè quella di nullità per illiceità di oggetto o causa del contratto, per tardività; rigettò nel merito quella fondata sull’istituto della presupposizione, sia pure riconosciuti interesse e legittimazione ad agire, per essersi perfettamente realizzata la causa tipica del contratto di cessione (trasferimento della titolarità del credito dal cedente al cessionario dietro pagamento del prezzo) e non essendo state trasfuse nel documento contrattuale le valutazioni in merito alla convenienza o meno della cessione.

7. La sentenza fu appellata in via principale dalla Repubblica dell’Iraq e dagli altri Enti iracheni ed in via incidentale da tutti gli altri (Server Plus ltd, Eurocrediti srl, D.P., Unicredit spa): ma la corte territoriale ligure rigettò il gravame principale e quello incidentale della Unicredit spa, dichiarato, degli altri e siccome condizionato, espressamente assorbito quello della Eurocrediti srl, con compensazione delle spese tra tutte le parti.

8. In particolare, per quel che in questa sede ancora rileva, quanto alla domanda delle parti irachene di nullità del contratto di cessione per illiceità della causa o dell’oggetto in quanto atto di bancarotta fraudolenta, pur ritenendola ammissibile alla luce di Cass. Sez. U. 04/09/2012, n. 14828 e soprattutto di Cass. Sez. U. 12/12/2014, n. 26243, ne rilevò l’infondatezza, riportando i passi della sentenza penale di appello con cui quel reato era stato escluso e condividendone integralmente le motivazioni, ritenendone irrilevante la non definitività per la pendenza del ricorso per cassazione del Procuratore generale.

9. Ancora, quanto alla domanda di nullità esercitata dalle parti irachene in base all’istituto della presupposizione, la qui gravata sentenza ne premise la ricostruzione (quale obiettiva situazione di fatto o di diritto – passata, presente o futura – tenuta in considerazione, pur in assenza di espresso riferimento nelle clausole contrattuali, dai contraenti nella formazione del loro consenso come presupposto condizionante la validità e l’efficacia del negozio, a guisa di condizione non sviluppata o inespressa, il cui venir meno o verificarsi è del tutto indipendente dall’attività e volontà dei contraenti e non corrisponde – integrandolo – all’oggetto di una specifica obbligazione dell’uno o dell’altro), per poi identificarla nella difficilissima recuperabilità del credito: e, rimarcato che il grado di irrecuperabilità del credito era rimasto oggettivamente immutato e che essa non poteva dirsi presupposta come difficilissima anche per la cessionaria, escluse la fondatezza della domanda di nullità per essere riconosciuta ai contraenti soltanto una facoltà di recesso in caso di mancato verificarsi della condizione inespressa.

10. Infine, la corte territoriale confermò, in ordine alle domande di Unicredit spa, la statuizione di inammissibilità di quelle di nullità (in quanto dispiegate a titolo di intervento adesivo autonomo e dinanzi alla mancata riproposizione dell’adiuvato dopo la chiusura del fallimento) e di accertamento incidentale di inesistenza di danni a favore della Curatela (per le modalità generiche di formulazione, ma pure per evidente difetto di interesse dinanzi alla considerazione della pendenza di separato giudizio avente ad oggetto in via principale la medesima questione), mentre, quanto alla domanda restitutoria, pur dovendosi effettivamente qualificare autonoma e non già accessoria, sancì l’irrilevanza dell’errore di qualificazione in conseguenza della reiezione delle domande principali, che non avrebbe potuto consentire alcuna diversa conclusione, più favorevole per l’interventrice.

11. Per la cassazione della sentenza di appello, pubblicata il 13/04/2018 col n. 639 e indicata in ricorso ((v. pag. 18 sub (III)) come notificata telematicamente il 16/04/2018, ricorrono, con unitario atto articolato su tre motivi e notificato a mezzo p.e.c. il 14/06/2018 (non rilevando la diversa data, dovuta verosimilmente ad un evidente ma innocuo lapsus calami, del 14/06/2017 nell’asseverazione autografa di autenticità, datata peraltro 25/06/2017), la Repubblica dell’Iraq, il suo “Ministry of Planning”, la Somo – State Oil Marketing Organization, la Central Bank of Iraq, la Iraq Reinsurance Company, la Iraq Airways Company, la Rafidain Bank, la Rasheed Bank, l’Ambasciata dell’Iraq presso la Repubblica italiana.

12. Degli intimati notificano a mezzo p.e.c. controricorso la Eurocrediti srl e, dispiegando altresì ricorso incidentale articolato su di un motivo, la Unicredit spa (quale incorporante di Unicredit Corporate Banking spa, a sua volta conferitaria del ramo d’azienda di competenza della Banca di Roma spa, denominata poi UniCredit Banca di Roma spa), mentre non espletano attività difensiva in questa sede gli altri intimati; e, per l’adunanza camerale del 26/06/2020, tutte le parti depositano memoria ai sensi del penultimo periodo dell’art. 380-bis.1 c.p.c., come inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A) Premessa e ricostruzione del fatto.

1. Premessa la procedibilità del ricorso per rinvenirsi in atti la copia analogica del messaggio di posta elettronica di notifica della sentenza munita della dovuta asseverazione autografa, va rilevata, in via preliminare, l’irrilevanza del dedotto fallimento della Server Plus ltd (che si vorrebbe provare oltretutto con documentazione di cui è dubbia la conformità alle regole sulla produzione degli atti e per di più in lingua straniera ovvero con altro, del pari inammissibile, rinvio a sito governativo estero) per la scolastica nozione dell’irrilevanza, fra gli eventi interruttivi, anche del fallimento nel corso del giudizio di legittimità (da ultimo, pure dopo le più recenti riforme: Cass. 15/11/2017, n. 27143) e comunque dell’ultrattività del mandato ai fini della proposizione dell’impugnazione (Cass. Sez. U. 04/07/2014, n. 15295).

2. Sempre in via preliminare, non rileva alcuna questione sulla riferibilità del ricorso anche agli enti e società irachene diversi dalla Repubblica dell’Iraq (e dalla sua Ambasciata, come indicata in ricorso; altrimenti, stando alla translitterazione ufficiale, Irak), intesa come entità statuale complessivamente considerata e persona giuridica pubblica: è ben vero che solo riguardo a questa si può parlare di immedesimazione organica dell’Ambasciatore che ha conferito la procura speciale a ricorrere per cassazione, con conseguente sua legitimatio ad processum e validità di quel conferimento (per tutte, v. Cass. Sez. U. 22/06/2007, n. 14570); ed è altrettanto vero che non risulta agli atti di causa, al di là di un generico e quindi inutile sommario riferimento nel corpo della procura ad litem ad una non meglio specificata pronuncia di una non altrimenti identificata autorità giudiziaria italiana sull’immedesimazione di quelle altre persone giuridiche con lo Stato iracheno, alcun elemento giustificativo a tale riguardo; ed infine sarebbe pure necessario ad analoga conclusione giungere, in difetto di allegazioni idonee e comunque di argomenti sulla struttura dello Stato estero in esame, in punto di eventuale sua immedesimazione con il Ministero della pianificazione, separatamente intervenuto; e tuttavia la qui gravata sentenza è stata emessa postulando quella rappresentanza o immedesimazione e, in carenza di doglianze, non è possibile rimetterle in discussione in questa sede.

3. Ciò posto, la complessa vicenda alla base della controversia oggi all’esame di questa Corte, nel corso della quale sono intervenute a vario titolo diverse pronunce di legittimità (tra cui va segnalata, prima di ogni altra, quella di Cass. pen. 23/10/2018, n. 48321, ud. 28/06/2018, imp. D. e altri, seguita da Cass. pen. ord. 28/11/2018, n. 48465, c.c. del 09/09/2018; in sede civile e quanto alle cause risarcitorie nei confronti dei terzi pignorati o a quelle seguite o connesse alle fruttuose espropriazioni comunque sopravvenute alle cessioni, si annoverano almeno: Cass. 1285/10, Cass. 4506/11, Cass. 21656/11, Cass. 7432/12, Cass. 5037/17, Cass. 10440/19) si può sintetizzare nella questione della validità del contratto di cessione, del 15/07/2003, del credito di dieci milioni di dollari statunitensi, a fronte di un corrispettivo di Euro 77.450, dalla curatela del fallimento di D.P. alla Service Plus ltd: il quale, poichè il controvalore della sorta capitale del credito era pari, alla data della cessione ed in base a nozioni equiparabili a quelle di comune esperienza, ad Euro 8.869.180, ne rappresentava lo 0,87% (zero virgola ottantasette per cento).

4. Risulta, in particolare, dalla citata sentenza penale di questa Corte, alla quale può anche in questa sede farsi integrale richiamo per quel che in -questa sede interessa, che, nel corso della procedura relativa al fallimento dell’impresa individuale di D.P., dichiarato dal Tribunale di Massa il 28 gennaio 1999, un credito vantato dalla fallita nei confronti del Ministero della pianificazione dell’Iraq dal 1990, per l’importo di UD 10.000.000, relativo ad opere di progettazione e fornitura di materiali, realizzata da D.P., figlio del fallito D.P., deceduto nel 2002, agendo quale amministratore di fatto e socio occulto dell’impresa e impartendo direttive ai concorrenti, era stato oggetto di cessione ad opera della curatela, in accoglimento dell’istanza del 30/05/2003 della Server Plus ltd per Euro 77.450, davanti alla ritenuta inesigibilità del credito.

5. Sempre in base alla ricostruzione di Cass. pen. 48321/18, era stata però conseguita poco dopo, mediante intervento in causa già pendente tra la curatela ed il ministero iracheno, sentenza del Tribunale di Massa del 15/10/2003, di condanna dello Stato iracheno al pagamento del credito e degli interessi per la complessiva somma di UD 36.031.096: seguita poi da un pignoramento presso la filiale di (OMISSIS) della Banca di Roma su depositi dello Stato iracheno ivi esistenti, al quale erano seguite la sentenza del 28/05/2004 con la quale il Tribunale di Massa aveva accertato un debito della Banca di Roma verso il ministero iracheno per l’importo di UD 4.849.211,02 e l’ordinanza dello stesso Tribunale del 30/06/2004 con la quale detta somma, successivamente rideterminata in Euro 7.503.258,35, era stata infine assegnata alla Server Plus ltd a danno del terzo pignorato.

6. Ne era seguito procedimento penale, anche in considerazione del fatto che i richiamati provvedimenti di cognizione e di esecuzione del Tribunale di Massa erano stati resi dalla moglie di D.P., Do.La., giudice onorario del Tribunale di Massa, omettendo di astenersi nonostante tali condizioni; ed erano stati contestati, tra l’altro, al D. il reato di bancarotta fraudolenta documentale (per aver egli sottratto le scritture contabili od averle comunque tenute in modo da impedire la ricostruzione dl patrimonio e del movimento degli affari della fallita), quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale post-fallimentare in relazione alla distrazione dell’ingente credito, nonchè a lui ed agli altri coimputati quello continuato di abuso d’ufficio (prospettato, nel capo di imputazione, nell’avere il D. ed altri determinato la Do. alla pronuncia dei provvedimenti giudiziari in precedenza indicati, procurandosi l’ingiusto vantaggio patrimoniale con danno parimenti ingiusto per la Banca di Roma; reato peraltro ritenuto estinto per prescrizione già in primo grado con riguardo alla pronuncia della sentenza del 28/05/2004).

7. Per quel che qui ancora rileva, in appello però il D. era stato assolto per insussistenza del fatto dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale post-fallimentare, mentre, a vario titolo riconosciuta la prescrizione per tutti gli altri reati, erano state confermate solo quanto al D. le statuizioni civili della sentenza di primo grado, sia pur limitatamente all’ordinanza di assegnazione del 30/05/2004 in favore della Server Plus ltd.

B) Il primo motivo di ricorso principale.

8. Al primo motivo, col quale la ricorrente Repubblica lamenta una “omessa motivazione in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, sostanzialmente per le modalità con cui sarebbe stata recepita la motivazione dei giudici penali di secondo grado in ordine all’esclusione dei reati che si pretendono commessi nella specie, aderisce la ricorrente incidentale Unicredit spa (v. pag. 23 del suo ricorso): e tanto deve intendersi quale doglianza di inidoneità della relatio riguardo non già alla sentenza di primo grado, ma a quella penale di appello. E, poichè questa è adeguatamente riprodotta, se non altro per quanto qui di interesse, può dirsi rispettato l’onere del ricorrente di individuare le ragioni prospettate della violazione del dovere motivazionale del giudice come individuato in casi di questo genere (vedi per tutte Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074).

9. Una tale doglianza è però infondata: ricorrono nella fattispecie i requisiti di validità della motivazione per relationem, indicati dalla giurisprudenza di questa Corte (tra cui proprio Cass. ord. 22/02/2018, n. 4294, indicata dai ricorrenti principali a pag. 10 del ricorso; ma v. anche, tra molte altre successive, Cass. ord. 05/08/2019, n. 20883) nella riproduzione dei contenuti mutuati ed in una autonoma loro valutazione critica; infatti, nella specie, la corte territoriale non solo riproduce ampi stralci dei passaggi motivazionali del giudice di appello sull’insussistenza del fatto di bancarotta fraudolenta per distrazione (v. pag. 18 della qui gravata sentenza), ma li definisce persuasivi, in evidente e soprattutto integrale loro condivisione.

10. Può aversi così per fatta propria e posta a base dell’esclusione degli elementi materiali dei reati indicati quali presupposti della invalidità della, cessione la considerazione, già operata in sede penale:

– dell’esclusione di elementi a comprova del collegamento del fallito con la cessionaria;

– della valutazione della disponibilità del credito ceduto in capo alla curatela e non al fallito;

– della decisività dell’intervento dell’operato degli organi sociali;

– significativamente invece non sottoposti a giudizio, non essendo stata coltivata nel corso delle indagine l’ipotesi di un loro concorso per l’operatività della cessione;

– della preminenza dell’obbligo di questi di verificare l’esigibilità del credito ceduto e della sussistenza delle condizioni per le relative valutazioni;

– dell’esclusione dell’obiettiva falsità di fatti o della contraffazione di elementi processuali a sostegno dell’istanza di cessione e tali da indurre in errore gli organi fallimentari (pure all’esito di varie vertenze giudiziarie che avevano interessato alcune società nell’ambito di quello stesso ufficio giudiziario);

– della non configurabilità del reato di cui all’art. 232, comma 3, nn. 1) e 2), L. Fall. (acquisizione a prezzo vile di beni del fallito) in quanto fattispecie relativa a beni nella disponibilità della curatela e verificatasi nel corso della procedura anzichè prima di essa.

11. Neppure può dirsi contraddittoria la motivazione, tanto meno in relazione alla gravità del vizio resa necessaria a seguito della riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità a partire da Cass. Sez. U. n. 8053/14, nella parte in cui rimarca di non essere vincolata alle valutazioni del giudice penale per soggiungere poi di condividerle: il passaggio motivazionale è del tutto congruo, volendo con esso significare la corte territoriale che, nonostante la non definitività e conseguente non automatica vincolatività – dell’accertamento, la serie di argomentazioni adottate dal giudice penale di appello doveva qualificarsi comunque persuasiva e del tutto idonea a fondare ugualmente la decisione anche di quel Collegio civile.

C) Il secondo motivo di ricorso principale.

12. Col secondo motivo, cui la ricorrente incidentale formalmente aderisce, i ricorrenti principali denunciano la “violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per non avere la corte territoriale sospeso il processo in attesa della definizione di quello penale, prospettato come pregiudicante.

13. Il motivo è inammissibile: a prescindere dalla carenza, sia nel ricorso principale che in quello incidentale, di idonei riferimenti all’oggetto del procedimento penale che si vorrebbe pregiudicante della presente controversia civile (ed in particolare di puntuali riferimenti alle condotte oggetto di imputazione e tali da integrare una prospettazione di condizioni di fatto al momento della formazione della volontà dei contraenti della cessione),: non è dai ricorrenti rispettata l’imprescindibile condizione della prova della persistente pendenza del procedimento prospettato come pregiudicante e tale da imporre necessariamente la sospensione del giudizio che si lamenta invece mancata.

14. Eppure, la giurisprudenza di legittimità è univoca nel senso che “la sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra due cause sia concreto ed attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale deve essere tuttora pendente, non giustificandosi diversamente la sospensione, che si tradurrebbe in un inutile intralcio all’esercizio della giurisdizione, sicchè, quando una sentenza sia impugnata in cassazione per non essere stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, è onere del ricorrente provare che la causa pregiudicante sia pendente e resti presumibilmente tale sino all’accoglimento del ricorso, mancando, in difetto, la prova dell’interesse concreto e attuale all’impugnazione, perchè nessun giudice, di legittimità o di rinvio, può disporre la sospensione del giudizio in attesa della definizione di altra causa non più effettivamente in corso” (tra molte, v. Cass. 10/11/2015, n. 22878); in altri termini, “la sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra due cause sia concreto ed attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale deve essere tuttora pendente, non giustificandosi diversamente la sospensione” (Cass. ord. 21/10/2019, n. 26716).

15. E, nella specie, non solo la persistente pendenza non è allegata o provata, ma si ha anzi la prova positiva del suo venir meno, in quanto, sia pure pochi giorni dopo la notifica del ricorso principale, il processo penale che si vorrebbe pregiudicante è stato definito con la più volte richiamata sentenza penale di questa Corte depositata il 23/10/2018, menzionata adeguatamente anche dalla controricorrente Eurocrediti srl e comunque ufficiosamente ricercabile pure in questa sede per essere i propri precedenti nell’immediata disponibilità di questa Corte: sicchè la sentenza della corte territoriale penale del 21/02/2017 sui fatti di causa è divenuta definitiva a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso del Procuratore generale, nonchè del rigetto di quelli di tutti gli imputati.

16. Ed è appena il caso di soggiungere che quella sentenza ha resistito anche ad un ricorso straordinario per preteso errore materiale (ovvero ex art. 625-bis c.p.p.), dichiarato inammissibile perchè tendente a riproporre quelle argomentazioni di merito, già ampiamente disattese in sede penale e civile, che erano già state giudicate infondate in tutti i gradi del giudizio.

D) Il terzo motivo di ricorso principale.

17. Col terzo motivo, infine, si deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1325,1326,1362 e ss., 1353 e 1373 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in relazione alla configurata esclusione della violazione della presupposizione invece invocata a sostegno della invalidità del contratto di cessione.

18. In particolare, i ricorrenti principali prospettano l’erroneità del rigetto della domanda sotto tutti e tre i profili presi in esame dalla corte territoriale: ricordano che, poichè la presupposizione non prevede che il presupposto inespresso resti immutato, ma l’esatto contrario, ossia che esso sia venuto meno, il pignoramento effettuato dalla cessionaria Server Plus solo pochi giorni dopo la cessione del credito mediante pignoramento presso terzi eseguito nei confronti dell’Iraq presso la Banca di Roma avesse portato pacificamente all’incasso di Euro 7.503.258,35, con evidente venir meno del comune presupposto della difficilissima recuperabilità del credito.

19. A tale riguardo, i ricorrenti principali ritengono tale da snaturare la disciplina del presupposto il principio, applicato dalla corte territoriale, per il quale la cessione rimarrebbe efficace, anche solo per uno dei contraenti, ove sia emerso che – al contrario – il credito era agevolmente esigibile, soprattutto alla stregua degli accertamenti nel giudizio penale di primo grado (sull’induzione della sezione fallimentare del Tribunale di Massa ad autorizzare la cessione ad opera dell’astuta prospettazione di non recuperabilità del credito) e per la conseguente violazione dei criteri ermeneutici in base ai quali si invoca interpretarsi anche la condizione implicita della volontà.

20. Infine, i medesimi ricorrenti principali contestano in ricorso la tesi della corte territoriale sull’esclusiva azionabilità del recesso e non della configurabilità di un’invalidità contrattuale, sostenendo che, poichè il presupposto è requisito di efficacia del contratto, la sua insussistenza non può non consentire proprio la declaratoria di invalidità o di inefficacia del contratto, che ne è la naturale conseguenza, con conseguente illegittimità dell’applicazione della disciplina del recesso unilaterale a quella della condizione inespressa (che costituisce presupposto del consenso delle parti).

21. Va premesso, in reiezione del rilievo preliminare della controricorrente Eurocrediti srl, che non è formalmente impugnata la statuizione esplicita della corte territoriale sulla sussistenza di interesse e di legittimazione ad agire della Repubblica odierna ricorrente per far valere l’invalidità della cessione in base alla teoria della presupposizione; peraltro, molto più articolatamente la ricorrente incidentale, che aderisce anche a tale motivo, prende posizione sui rimedi concessi in caso di venir meno della condizione inespressa, riconducendo però l’istituto, all’esito di ampia ricostruzione, a quello della causa del contratto, sulla cui carenza fondarne la declaratoria di invalidità.

22. Ciò posto, va pure premesso che, come di recente ribadito anche a Sezioni Unite da questa Corte (Cass. Sez. U. 20/04/2018, n. 9909, ove ampi riferimenti giurisprudenziali), si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto (passata, presente o futura) possa ritenersi tenuta presente dai contraenti nella formazione del loro consenso – pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali come presupposto condizionante il negozio (cd. condizione non sviluppata o inespressa), richiedendosi pertanto a tal fine:

a) che la presupposizione sia comune a tutti i contraenti;

b) che l’evento supposto sia stato assunto come certo nella rappresentazione delle parti (e in ciò la presupposizione differisce dalla condizione);

c) che si tratti di un presupposto obiettivo, consistente cioè in una situazione di fatto il cui venir meno o il cui verificarsi sia del tutto indipendente dall’attività e volontà dei contraenti e non corrisponda, integrandolo, all’oggetto di una specifica obbligazione.

23. Pertanto, la presupposizione è configurabile quando dal contenuto del contratto risulti che le parti abbiano inteso concluderlo soltanto subordinatamente all’esistenza di una data situazione di fatto che assurga a presupposto comune e determinante della volontà negoziale, la mancanza del quale comporta la caducazione del contratto stesso, ancorchè a tale situazione, comune ad entrambi i contraenti, non si sia fatto espresso riferimento; o, in altri termini, si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere obiettivo, essendo il suo verificarsi indipendente dalla loro volontà e attività, sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto comune in modo da assurgere a fondamento – pur in mancanza di un espresso riferimento formale o testuale – dell’esistenza ed efficacia del contratto.

24. Non sussistono, nella specie, gli estremi per la configurabilità della presupposizione invocata da ricorrenti principali e ricorrente incidentale a sostegno dell’invalidità del contratto di cessione, sotto nessuno dei profili appena ricordati come indispensabili nella giurisprudenza di questa Corte.

25. Non si versano in ricorso elementi in base ai quali desumere che la presupposizione fosse comune a tutti i contraenti (anzi, apparendo il contrario dall’assoluzione definitiva dei soggetti coinvolti nella Server Plus ltd), nè che l’evento addotto come presupposto sia stato assunto come certo nella rappresentazione di entrambe le parti (mancando, tra l’altro, il carteggio preparatorio dell’autorizzazione alla cessione); ma soprattutto non si adducono elementi in base ai quali concludere che quel presupposto inespresso fosse obiettivo, consistente cioè in una situazione di fatto il cui venir meno o il cui verificarsi fosse del tutto indipendente dall’attività e volontà dei contraenti (non corrispondendo invece, così integrandolo, all’oggetto di una specifica obbligazione dell’uno o dell’altro), visto che l’esazione concreta e la sua fruttuosità sono dipese dall’attività della cessionaria, in grado di conseguire, con attività rimasta singolarmente indenne da censure e non altrimenti qui revocabili in dubbio, provvedimenti in sede di cognizione o di esecuzione in proprio favore.

26. Infatti, anche ammesso – non sussistendo elementi in ricorso per ricostruire le valutazioni in tal senso operate dai contraenti al momento della cessione e neppure essendo indicato in che cosa sia consistita la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale genericamente addotta nella rubrica del motivo – che condizione inespressa fosse la difficilissima recuperabilità del credito, questa può anche avere inciso sulla determinazione non solo di uno dei contraenti – e cioè la cedente curatela – alla stipula del contratto, ma pure su quella di entrambi sulla determinazione del prezzo di cessione, pari a meno dell’1% del valore del credito: ma la difficoltà di realizzazione è appunto essa stessa il presupposto della cessione – con essa intendendo evidentemente il cedente liberarsi dell’alea di realizzazione e conseguire un corrispettivo certo ed immediato, accettando come certo un controvalore opportunamente decurtato – ed il prezzo concretamente determinato in relazione al rischio connesso all’effettiva realizzazione ed alla sua misura.

27. In questo contesto, la difficilissima recuperabilità del credito da cedere rappresentava una prognosi e come tale era soggetta ad un grado di opinabilità ed incertezza particolarmente elevato, rapportato del resto in modo non implausibile alla natura di Stato extracomunitario del debitore ceduto ed alla notoria complessità dei suoi rivolgimenti politici ed istituzionali in corso al tempo stesso della cessione (luglio 2003, subito dopo la seconda guerra del Golfo, avutasi, com’è noto, dal 20 marzo al 22 maggio 2003), trattandosi della convulsa ed incerta transizione del regime dalla repubblica presidenziale (formalmente “socialista araba” o “bàthista”, del presidente-dittatore Saddam Hussein, da poco arrestato e destinato ad uscire di scena anche fisicamente) a quella parlamentare federale favorita, se non imposta, dalla cosiddetta Coalizione internazionale, vittoriosa nella seconda Guerra del Golfo.

28. Il ben più delicato profilo della astuta, se non illecita o perfino criminosa, preordinazione di una prospettazione di infausto esito di pregressi tentativi di escussione involge profili di illiceità penale positivamente e definitivamente esclusi però dall’assoluzione con formula piena ormai definitiva.

29. Il medesimo profilo potrebbe, in alternativa o concorso, implicare anche la configurabilità di negative perturbazioni della formazione della volontà dei contraenti, ma allora da porre a base di iniziative per l’annullamento per errore o dolo, la cui azionabilità da parte del debitore ceduto è stata esclusa dalla qui gravata sentenza (in reiezione del primo motivo dell’appello delle “parti irachene”: v. pag. 15) con statuizione non soggetta a specifica censura e del resto corrispondente a corretta valutazione giuridica, per l’estraneità del ceduto alle azioni di annullamento, consentite appunto soltanto ai contraenti della cessione, tra cui questi non si annovera.

30. Ove ciò non bastasse, la qui gravata sentenza richiama (anche stavolta idoneamente per relationem, ad essa espressamente rinviando: v. pag. 21, settima riga) l’approfondita e condivisibile motivazione di Cass. 25/05/2007, n. 12235, la quale, dopo un’ampia ricostruzione dell’istituto, conclude (piè di pag. 18 e pag. 19) che “alla presupposizione può allora riconoscersi autonomo rilievo di categoria unificante assumente specifico significato laddove nell’ambito delle circostanze giuridicamente influenti sul contratto ad essa si riconducano, quali presupposti oggettivi, fatti e circostanze che, pur non attenendo alla causa del contratto o al contenuto della prestazione, assumono (per entrambe le parti ovvero per una sola di esse, ma con relativo riconoscimento da parte dell’altra) un’importanza determinante ai fini della conservazione del vincolo contrattuale. Circostanze che, pur senza essere – come detto – dedotte specificamente quale condizione del contratto, e pertanto rispetto ad esso “esterne”, ne costituiscano specifico ed oggettivo presupposto di efficacia in base al significato proprio del negozio determinato alla stregua dei criteri legali d’interpretazione, assumenti valore determinante per il mantenimento del vincolo contrattuale (es. l’ottenimento dello sperato finanziamento)”.

31. Conseguenza di tale impostazione è che “il relativo difetto legittima allora le parti non già a domandare una declaratoria di invalidità o di inefficacia del contratto, nè a chiederne la risoluzione per impossibilità sopravvenuta (art. 1256 c.c., artt. 1463 c.c. e ss.) della prestazione (contra, v. peraltro Cass., 22/9/1981, n. 5168), bensì all’esercizio del potere di recesso (anche qualora il presupposto obiettivo del contratto sia già in origine inesistente o impossibile a verificarsi)”.

32. Poichè i ricorrenti principali si limitano, nel loro ricorso, ad identificare apoditticamente la presupposizione con un requisito di efficacia del contratto e solo la, ricorrente incidentale ripropone, con ben più ampia argomentazione, la teoria della riconduzione di quell’istituto a quello della causa contrattuale, può concludersi che le censure non si fanno carico del ricco apparato argomentativo a sostegno degli approdi di legittimità appena ricordati ed espressamente (e idoneamente) richiamati, nè si ravvisano ragioni in questa sede per rivederli ufficiosamente.

33. E’ appena il caso di soggiungere che non giova ai ricorrenti principali lo sviluppo di ampie argomentazioni (alle pagine 8 e seguenti) nella memoria a confutazione della conclusione della giurisprudenza di legittimità sopra ricordata: infatti, non può mai rilevare alcuna integrazione delle lacune di esposizione del ricorso introduttivo (in generale, a conferma di una giurisprudenza a dir poco consolidata, v. Cass. Sez. U. ord. 09/03/2020, n. 6691), a maggior ragione con la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., che, alla stregua di quella già disciplinata dall’art. 378 c.p.c., ha l’unica funzione di illustrare tesi ed argomenti in precedenza ritualmente introdotti nel giudizio di legittimità e non anche quella di sanarne irregolarità od incompletezze; in altri termini, la consentita illustrazione delle tesi esposte non può mai spingersi a colmare il vizio derivante dalla mancata adeguata esposizione delle medesime in sede di ricorso (o di controricorso).

E tanto esime dal rilevare che quelle argomentazioni persistono nell’ignorare le ampie argomentazioni del già richiamato fondamentale arresto a Sezioni Unite, inadeguatamente liquidato con espressioni sommarie, quando non di sufficienza, nonchè con inutile rinvio alle precedenti, ma appunto con quello espressamente superate, pronunce sul punto: con conseguente ulteriore ragione di loro inammissibilità ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

34. In conclusione, può anche qui ribadirsi:

– da un lato, che “si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto – comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere obiettivo – essendo il suo verificarsi indipendente dalla loro volontà e attività – e certo “sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio, in modo da assurgere a fondamento – pur in mancanza di un espresso riferimento – dell’esistenza ed efficacia del contratto”;

– nonchè, dall’altro, che “la presupposizione, non attenendo all’oggetto, nè alla causa, nè ai motivi del contratto, consiste in una circostanza ad esso “esterna”, che pur se non specificamente dedotta come condizione ne costituisce, specifico ed oggettivo presupposto di efficacia, assumendo per entrambe le parti, o anche per una sola di esse – ma con riconoscimento da parte dell’altra -, valore determinante ai fini del mantenimento del vincolo contrattuale, il cui mancato verificarsi legittima l’esercizio del recesso”;

– e tanto a definitivo suggello dell’inammissibilità, sancita dalla corte territoriale, dell’azione in concreto svolta dai debitori ceduti ed a definitiva reiezione pure nel merito della tesi dei ricorrenti principali.

E) Il motivo di ricorso incidentale.

35. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, la Unicredit spa denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 105 c.p.c., in violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 e omessa motivazione in violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4”: sostanzialmente insistendo nel ribadire di non essersi limitata ad aderire passivamente alle conclusioni del Fallimento attore, ma di avere avanzato domande inerenti a diritti propri, connesse all’accoglimento delle domande del Fallimento stesso, per poi censurare la decisione della corte territoriale (che ha appunto definito irrilevante l’erronea qualificazione in riferimento alla reiezione delle domande principali) con mero rinvio ai motivi già sviluppati, tutti imperniati sulla qualificazione delle domande come autonome.

36. Il ricorso incidentale è però inammissibile per almeno due indipendenti ragioni, ad iniziare dal rilievo che, se a pagina 31 si sostiene l’erroneità della qualificazione dell’intervento come adesivo, tanto si fa evocando fra virgolette ed in corsivo un passo che si indica corrispondente alla pagina 13 del ricorso incidentale, ma che in realtà non trova ivi la dovuta corrispondenza.

37. Comunque, la formulazione della censura la rende eccentrica rispetto alla ratio decidendi: invero, a pagina da 30 a 32 del ricorso incidentale, Unicredit si sforza di dimostrare l’autonomia delle domande, qualità che però la corte territoriale riconosce nel momento in cui qualifica erronea la contraria qualificazione ad opera del primo giudice, ma ritiene comunque irrilevante.

38. Infatti, come ricordato nel ricorso incidentale, le domande della banca avevano ad oggetto:

– la condanna di SPL ed Eurocrediti alla restituzione – per il solo fatto della dichiarazione di nullità o annullamento o comunque inefficacia della cessione – ad essa Banca, che l’ha pagata alla cessionaria S.P.L. in forza della sentenza 319/04, della somma di Euro 7.503.258,33 e non alla Repubblica dell’Iraq o a chi per essa (domanda rivolta contro tutte le parti in causa);

– la dichiarazione (da emettersi anche incidenter tantum con domanda contro tutte le parti in causa ad eccezione degli Enti iracheni che si sono surrogati alla Curatela attrice) che, poichè la cessione del credito – accertata nulla o annullata o comunque ritenuta inefficace – era stata stipulata sulla presupposizione della difficilissima recuperabilità del credito, non sussistevano ragioni di danno a suo carico originate dalla cessione del credito.

39. Poichè il presupposto di tutte tali domande è manifestamente l’invalidità – a vario titolo – della cessione del credito (nonchè l’assenza di danni nelle condotte quale terza pignorata, oggetto però di separati giudizi e quindi inammissibilmente dedotta nel presente, come statuito dalla qui gravata sentenza con passaggio motivazionale specifico non reso oggetto di idonea censura in questa sede), il fatto che quel presupposto sia stato definitivamente escluso non solo e non tanto rendeva prive di fondamento le pretese dell’odierna ricorrente incidentale, quanto soprattutto la onerava di argomentare specificamente per quale ragione la reiezione delle domande principali non avrebbe dovuto riverberare i suoi effetti preclusivi sulle domande fondate sul medesimo presupposto.

40. Infine, le argomentazioni svolte dalla ricorrente incidentale nella memoria in ordine alla tematica della presupposizione sono inammissibili, sia per la definizione in rito del suo ricorso, sia per le stesse ragioni delle omologhe tesi dei ricorrenti principali.

F) Conclusioni.

41. Il ricorso principale va rigettato ed il ricorso incidentale dichiarato inammissibile.

42. Nei rapporti tra le parti impugnanti sussistono gli estremi per una compensazione integrale, vista la dipendenza delle domande della ricorrente incidentale da quelle della ricorrente principale e l’infondatezza od inammissibilità di tutte; nei rapporti con la controricorrente Eurocrediti srl tutte le ricorrenti, principali ed incidentale, si qualificano soccombenti e vanno condannate in solido alle spese del giudizio di legittimità da quella sostenute.

43. Infine, poichè ricorso principale e quello incidentale sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono rispettivamente rigettato e dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a ogni parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale.

Condanna le ricorrenti principali e la ricorrente incidentale Unicredit spa, tra loro in solido, al pagamento delle spese in favore della controricorrente Eurocrediti srl, liquidate in Euro 18.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei r ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2020

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