Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17615 del 05/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/09/2016, (ud. 15/07/2016, dep. 05/09/2016), n.17615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19539/2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

V.R., V.G., V.P.,

VE.GI., V.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 92/08/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di VENEZIA – MESTRE del 16/12/2013, depositata 11

20/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ETTORE CIRILLO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che, a sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione: “La CTR di Venezia ha respinto l’appello della Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 19/06/2012 della CTP di Treviso che aveva accolto il ricorso della V.R. ed altri – ed ha così annullato il diniego di rimborso sull’istanza di sollecito del rimborso (relativa ad un credito IVA risultante dalla dichiarazione della “Spazio Sette srl” afferente l’anno 2009, al 31 dicembre del quale anno la società anzidetta risultava essere cessata) diniego motivato per il difetto dei presupposti del D.P.R. n. 633 del 1972 , art. 30 e cioè per difetto del modello VR/2010 relativo all’annualità del 2009, risultando invece presentato il “quadro VR del modello IVA relativo alla successiva annualità (2010)”. La predetta CTR ha anzitutto rilevato che l’eccezione di carenza di legittimazione attiva in capo a chi aveva chiesto il rimborso non poteva condividersi per essere stato riconosciuto dalla stessa Agenzia (con apposita risoluzione) che la titolarità del diritto al rimborso può essere riconosciuta anche direttamente ai soci pro quota (salva la possibilità di delegare per l’incasso il liquidatore) e che l’eccezione di irregolarità del ricorso introduttivo doveva essere pure disattesa essendovi in calce sia la firma del liquidatore che quella dei singoli soci. Ciò posto, la CTR ha motivato la decisione evidenziando che la produzione del modello VR e ritenuta dalla giurisprudenza un fatto non sostanziale (ma di mero rilievo formale) inidoneo ad impedire l’esercizio del diritto al rimborso (anche in ossequio all’art. 18, par. 1 della sesta direttiva CEE), diritto che – d’altronde – per il caso dell’impresa cessata è appositamente regolato del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 (distintamente da tutte le altre previsioni di rimborso dell’IVA a credito) atteso che per l’impresa cessata l’IVA esposta a credito nella dichiarazione annuale non può essere in altro modo recuperata. L’Agenzia delle Entrate ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La parte contribuente non si e difesa. Il ricorso… può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c.. Infatti, con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 e preliminare rispetto al precedente per ragioni di priorità logica) l’Agenzia -pur dando atto che si tratta di impresa che ha cessato l’attività – si duole del fatto che sia stata dal giudice di appello ritenuta tempestiva la domanda proposta dal contribuente, per quanto questa non sia stata presentata se non a mezzo della esposizione del credito in dichiarazione (senza l’apposita dichiarazione modello VR prevista dall’art. 38 bis del predetto D.P.R.), e perciò senza la specificazione dei presupposti che hanno determinato il verificarsi dell’eccedenza richiesta a rimborso, così impedendo all’Amministrazione finanziaria di effettuare i necessari riscontri su questi ultimi. Il motivo appare manifestamente infondato, alla luce della pregressa (prevalente, alla quale si ritiene che si debba dare qui alimento) giurisprudenza di questa Corte: “La domanda di rimborso dell’IVA o di restituzione del credito d’imposta maturato dal contribuente deve ritenersi già presentata con la compilazione, nella dichiarazione annuale, del quadro relativo al credito, analogamente a quanto avviene in materia di imposte dirette, ed in linea con la Sesta Direttiva CEE, per la quale il diritto al ristoro dell’IVA versata “a monte”; principio basilare del sistema comunitario, per effetto del principio di neutralità, mentre la presentazione del modello di rimborso costituisce esclusivamente presupposto per l’esigibilità del credito e, quindi, adempimento necessario solo per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso. Ne consegue che, una volta manifestata in dichiarazione la volontà di recuperare il credito d’imposta, il diritto al rimborso, pure in difetto dell’apposita, ulteriore domanda, non può considerarsi assoggettato al termine biennale di decadenza previsto D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16 e, oggi, dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, ma solo a quello di prescrizione ordinario decennale ex art. 2946 c.c. (Sez. 5, Sentenza n. 15229 del 12/09/2012, in precedenza Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7684 del 16/05/2012 e Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20039 del 30/09/2011, da ultimo anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20255 del 09/10/2015, sicchè l’orientamento deve considerarsi ormai consolidato a seguito di iniziali apparenti oscillazioni). Nella specie, gli indirizzi menzionati evidenziano che appare consolidato “il principio secondo cui qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta – non occorre, da pane sua, ai fine di ottenerne il rimborso, alcun altro adempimento, ma egli deve solo attendere che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte, prevista dall’art. 36 bis 600/1973, ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo strumento della rettifica della dichiarazione; una volta che il credito si sia consolidato (attraverso un riconoscimento esplicito in sede di liquidazione, ovvero per effetto di un riconoscimento implicito derivante dal mancato esercizio nei termini del potere di rettifica) l’Amministrazione e tenuta ad eseguire il rimborso e il relativo credito del contribuente; soggetto alla ordinaria prescrizione decennale”. Con riguardo, poi, alla vicenda dell’impresa societaria già cessata, si confronti la recente Cass. Sez 5, Sentenza n. 9941 del 15/05/2015. La valenza puramente formale della presentazione dell’ulteriore richiesta redatta sul menzionato modello VR rende priva di pregio anche l’ulteriore aspetto di doglianza prospettato dalla parte ricorrente facendo rilevare che la contribuente aveva tentato di sopperire al difetto del modello VR/2010 presentando il modello VR/2011 annesso alla dichiarazione IVA relativa all’anno 2010, doglianza di cui appare, perciò stesso, frustraneo persino l’esame. Con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 2945 c.c.) la parte ricorrente censura la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto non condivisibile l’eccezione di “carenza di legittimazione attiva di chi aveva chiesto il rimborso”, riproponendo l’assunto secondo cui alla data del 28.2.2011 (di presentazione della domanda di rimborso da parte del liquidatore) la “Spazio Sette srl” era già cessata da quattro giorni, risultando cancellata dal registro delle imprese in data 24.2.2011. La presentazione dell’istanza da parte di soggetto non più esistente avrebbe dovuto dare luogo al rilievo dell’improcedibilità in via amministrativa dell’istanza medesima, con conseguente “nullità” dell’intero procedimento in conseguenza del “vizio originario dell’istanza”. Anche detto motivo deve ritenersi manifestamente infondato, per la stessa identica ragione di giri anticipata a riguardo del motivo che precede, e cioè per la natura puramente formale e sostanzialmente irrilevante (ai fini dell’esercizio del diritto al rimborso) dell’istanza di cui la parte ricorrente riafferma la “initualità”, non potendo quest’ultima in nessun modo pregiudicare il diritto della parte “Sostanzialmente legittimata” a pretendere il rimborso ad ottenerne l’esecuzione (nel rispetto di quel principio di rango eurounitario di cui già si è detto). Ne vi e ragione alcuna per supporre che i soci – attori nel giudizio per ripetizione – non fossero sostanzialmente legittimati ad esercitare la pretesa, proprio alla luce dei principi insegnati da Cass. n. 6071/2013 che parte ricorrente erroneamente menziona a sostegno della tesi contraria, vedendosi qui in materia di esercizio di diritti e non giri di mere aspettative. Con il letto motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 2697 c.c.) la parte ricorrente assume che la commissione di primo grado abbia statuito la spettanza del credito IVA chiesto a rimborso, in virtù del riconoscimento implicito di esso da parte dell’Amministrazione Finanziaria” e che la CTR abbia “implicitamente confermato, sul punto, la sentenza di primo grado”. Si tratta di un presupposto logico della decisione qui impugnata del tutto impossibile da desumersi da quest’ultima, sicchè l’assunto di parte ricorrente va considerato un mero artificio retorico strumentale alla formulazione di quella diversa (e sostanziale) eccezione del difetto di prova della spettanza del credito che – de facto – sostanzia il mezzo di impugnazione. A detta questione deve attribuirsi valenza di “novità”, non risultando (in difetto di contraria allegazione che incombe alla stessa parte ricorrente) che la questione sia stata introdotta nel pregresso grado di giudizio sotto forma di censura all’operato del primo giudice. Non resta che ritenere che il motivo in esame sia inammissibilmente proposto”. Rilevato che, a seguito della notifica della relazione, non è stata depositata alcuna memoria; che la causa è stata riassegnata ad altro relatore con decreto prot. N. 97/6/16 dell’11 Luglio ‘16; osservato che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condividendo i motivi in fatto e in diritto della relazione, ritiene che ricorra l’ipotesi della manifesta infondatezza del ricorso, per tutte le ragioni sopra indicate nella relazione stessa; considerato che da tutto ciò non consegue alcuna statuizione in punto di spese mancando attività difensiva degli intimati.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2016

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