Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17614 del 24/08/2020

Cassazione civile sez. III, 24/08/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 24/08/2020), n.17614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14444-2018 proposto da:

B.G., B.R., B.E., BR.EN.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE 2 SC C

INT 9, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO CONCETTI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA MANERBA;

– ricorrenti –

contro

SA EREDI GN. METALLI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

XXIV MAGGIO N. 43, presso lo studio dell’avvocato SILVIO

MARTUCCELLI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

CESARE CARMIGNANI, ANDREA COSTA, CHIARA ROMANELLI;

– controricorrente –

e contro

G.M., M.M., L.D.;

– intimati –

BR.GI., rappresentato e difeso dall’avvocato FEDERICO

GHIDOTTI, con studio in Brescia, via VANTINI n. 23;

– controricorrente adesivo al ricorso principale –

nonchè da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI

1, presso lo studio dell’avvocato DANIELE MANCA BITTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA MINA;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

SA EREDI GN. METALLI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA,

V.PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROMANELLI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CESARE CARMIGNANI,

CHIARA ROMANELLI;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

L.D., BR.GI., M.M.,

B.E., B.G., B.R., B.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 530/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 10/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la S.A. Eredi GN. Metalli s.p.a. convenne in giudizio B.E., Br.En., B.R., B.G., Br.Gi., M.M., G.M. e L.D. per sentirli condannare, in solido, a risarcire i danni derivati da reati di furto aggravato e di truffa aggravata commessi in pregiudizio della società attrice e consistiti nella sottrazione di ingenti quantità di metalli non ferrosi (barra di ottone);

dedusse che, in sede penale, la posizione dei convenuti era stata definita con condanna a seguito di rito abbreviato (quanto a Br.Gi. e a M.M.) o con applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (quanto a tutti gli altri) e che il giudice penale aveva riconosciuto alla società Eredi GN. il diritto al risarcimento del danno da liquidarsi in sede civile;

i convenuti si costituirono tutti in giudizio, contestando sia la loro responsabilità che l’esistenza dei danni e la quantificazione effettuata dall’attrice;

rigettate tutte le istanze istruttorie, il Tribunale di Brescia rigettò la domanda della Eredi GN. ritenendo che fosse mancata, da parte dell’attrice, la prova tanto dell’esistenza che dell’entità del danno;

la Corte di Appello di Brescia ha riformato la sentenza di primo grado ritenendo che la responsabilità degli appellati risultasse accertata per effetto del giudicato penale (quanto alle posizioni definite con giudizio abbreviato) o in via presuntiva (in relazione a quelle definite con patteggiamento della pena) e, per altro verso, che gli elementi emersi in sede penale (e segnatamente una intercettazione telefonica) consentissero di stimare in 500 quintali al mese per undici mesi la quantità del materiale sottratto, pervenendosi quindi (tenuto conto di un valore unitario di 2.000,00 Euro a tonnellata) a determinare il danno complessivo in 1.100.000,00 Euro; ha condannato pertanto tutti gli appellati al pagamento, in via solidale, dell’anzidetta somma, maggiorata degli interessi legali (sulla somma devalutata e annualmente rivalutata) dalla data del fatto indicata nel 16.2.2016; con successiva ordinanza, la Corte di Appello ha corretto tale data, indicando quella del 16.2.2006;

hanno proposto ricorso per cassazione B.E., R., G. ed En., affidandosi a quattro motivi illustrati da memoria; ad esso ha resistito, con controricorso, la S.A. Eredi GN. Metalli s.p.a.;

G.M. ha notificato controricorso contenente ricorso incidentale basato su cinque motivi;

successivamente, Br.Gi. ha notificato “controricorso per cassazione del litisconsorte necessario ex art. 370 c.p.c. con adesione alle domande dei ricorrenti principali e del ricorrente incidentale senza formulazione di domande proprie o motivi nuovi”;

ad entrambi ha resistito la S.A. Eredi GN. Metalli s.p.a. con distinti “contro-controricorsi”.

Considerato, quanto al ricorso principale, che:

il primo motivo denuncia la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c.: i ricorrenti deducono che, in primo grado, avevano opposto alla domanda risarcitoria il fatto che fosse stata disposta la confisca di beni posseduti dai condannati per un valore superiore a dieci milioni di Euro e che pertanto la Eredi GN. “avrebbe dovuto richiedere la restituzione del maltolto in sede di incidente di esecuzione e procedere civilmente solo all’esito non soddisfattorio di tale procedura”; aggiungono che la questione, sulla quale il Tribunale non si era pronunciato, era stata riproposta con la comparsa di costituzione in appello e rilevano che la Corte si era limitata a dare atto dell’avvenuta confisca, senza tuttavia pronunciarsi sulla questione della necessità che l’attrice si rivalesse sui beni confiscati;

il motivo è inammissibile, in quanto:

viola l’art. 366 c.p.c., n. 6, poichè non riproduce direttamente, oltre che il tenore dell’atto di costituzione in primo grado che aveva prospettato l’eccezione, il tenore della comparsa di risposta d’appello con cui sarebbe avvenuta la riproposizione dell’eccezione ai sensi dell’art. 346 c.p.c. e neppure lo riproduce indirettamente, individuando in modo specifico la parte della comparsa in cui sarebbe stata contenuta l’attività ripropositiva, atteso che il ricorso si limita ad un generico riferimento alle pagine 22 e ss., così demandando a questa Corte, in via di supplenza, di ricercare che cosa in quelle pagine avrebbe integrato la riproposizione. Se è pur vero che l’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, sotto il profilo della riproduzione dell’atto su cui il motivo si fonda, può essere assolto anche in via indiretta, occorre tuttavia che venga precisata in modo specifico la parte dell’atto che si è riprodotta indirettamente, mentre il generico riferimento fatto dai ricorrenti si risolve in un’indicazione di assoluta genericità;

in secondo luogo, la stessa eccezione che si assume riproposta e non decisa viene descritta in modo assolutamente incomprensibile in iure, atteso che non si chiarisce in alcun modo quale principio giuridico sorreggerebbe l’idea che il danneggiato da reato per cui sia intervenuta confisca ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 1, e verosimilmente – e dell’art. 322 ter c.p. (e non 332 ter come indicato) dovrebbe soddisfarsi sul bene confiscato; sicchè il motivo denuncia una pretesa omissione di pronuncia che, apprezzata ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 2, risulta inammissibile per la stessa oscurità della quaestio iuris su cui si sarebbe omessa la pronuncia (cfr. Cass. n. 22341/2017). A tanto si aggiunga che risulta incomprensibile la ragione giuridica per cui il potere di azione cognitiva ai fini di quantificazione del risarcimento spettante al danneggiato da reato, che abbia ottenuto pronuncia di condanna generica dal giudice penale, come nella specie, dovrebbe risultare preclusa dall’esistenza della confisca.

col secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697,2056 e 1226 c.c.: premesso che la Corte aveva richiamato gli atti penali (e -segnatamente- un’intercettazione telefonica) sulla base dei quali aveva ritenuto possibile quantificare, seppur in via equitativa, il danno subito dalla società, i ricorrenti rilevano come “il potere del Giudice di liquidare il danno in via equitativa abbia carattere residuale, da utilizzare solo quando la parte a ciò onerata abbia fornito con la prova dell’esistenza del danno anche tutti gli elementi utili alla sua esatta quantificazione e, purtuttavia, residui un’oggettiva difficoltà della sua esatta quantificazione” e concludono che “parte attrice si è assolutamente disinteressata dal fornire il benchè minimo elemento utile alla prova del danno ed alla sua quantificazione, giustificando tale sua omissione con il fatto che neppure lei sapeva cosa le fosse stato sottratto”;

il motivo è inammissibile in quanto:

lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c. senza prospettare, come necessario, alcuna erronea applicazione dei criteri di riparto dell’onere probatorio; atteso, infatti, che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura allorquando il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, (cfr. Cass., S.U. n. 16598/2019, in motivazione), risulta inammissibile la deduzione della violazione che prescinda dall’individuazione di un’erronea distribuzione dell’onere probatorio;

contesta la correttezza della liquidazione equitativa sull’assunto erroneo che la Corte non disponesse di elementi utili a fornire la prova del danno: al contrario, la sentenza impugnata ha indicato gli specifici elementi sulla base dei quali è pervenuta alla stima dei quantitativi sottratti (secondo una “valutazione minima”) e ne ha determinato il valore sulla base di un valore unitario ricavato dalle dichiarazioni, non contestate, del legale rappresentante della Eredi GN.; l’esistenza di inevitabili margini di approssimazione (dovuti alle modalità con cui sono state commesse le sottrazioni e all’impossibilità di disporre di riscontri contabili) giustifica il ricorso alla valutazione equitativa, che risulta -comunque- ancorata a dati di cui è emersa prova adeguata;

col terzo motivo (“nullità della sentenza – violazione del disposto dell’art. 115 c.p.c. anche in relazione alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 1 e art. 58 e art 167 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – Violazione e falsa applicazione di diritto – art. 2697 c.c.”), i ricorrenti rilevano che, per determinare l’ammontare del danno, la Corte ha moltiplicato il quantitativo di metallo ritenuto sottratto per il valore unitario di 2000,00 Euro a tonnellata e censurano la sentenza per avere ritenuto esistente una dichiarazione di controvalore della merce secondo mercato da parte della società attrice “e, poi, nel considerare utilizzabile -e quindi provato- il controvalore della merce sottratta in ragione di Euro 2000 alla tonnellata sulla base del principio di non contestazione”; e ciò per non essere il nuovo testo dell’art. 115 c.p.c., introdotto dalla L. n. 69 del 2009, applicabile al presente giudizio, iniziato prima del 4.7.2009; sotto altro profilo, escludono la possibilità di fare ricorso al principio di non contestazione sulla base della previsione dell’art. 167 c.p.c., giacchè la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto operante il principio di non contestazione alla luce di tale norma soltanto quando un fatto sia esplicitamente ammesso dalla controparte o quando questa abbia comunque improntato la propria difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col suo disconoscimento, ipotesi entrambe non ricorrenti nel caso in esame;

il motivo è inammissibile:

quanto alla non contestazione, premesso che le dichiarazioni di cui si tratta concernono il valore di mercato unitario (a tonnellata) del materiale sottratto e che, per quanto emerge dallo stesso ricorso (a pagg. 5 e 12), la società attrice aveva indicato nell’atto di citazione tale valore unitario in 2.000,00 Euro, l’assunto della non applicabilità del principio di non contestazione (operante ex art. 167 c.p.c. e sulla base degli orientamenti di legittimità già consolidati all’epoca dell’inizio del giudizio) avrebbe richiesto la trascrizione delle deduzioni svolte sul punto dagli odierni ricorrenti, al fine di consentire a questa Corte di apprezzare l’esistenza di una posizione difensiva incompatibile con l’indicazione di valore effettuata dalla parte attrice; in difetto di elementi circa l’esatto tenore di tale posizione difensiva, il ricorso risulta privo di autosufficienza (cfr. Cass. n. 20637/2016); il tutto senza trascurare i profili revocatori della censura (attinente -per quanto si legge a pag. 12, ultime righe, del ricorso- al fatto che la dichiarazione di controvalore non fosse tale) che -parimenti- ne comportano l’inammissibilità;

quanto alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., valgono le considerazioni svolte in relazione al secondo motivo;

il quarto motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697,2700,2712,2717 e 2729 c.c. e art. 116 c.p.c.: premesso che il risarcimento è stato determinato sull’assunto che fosse stato sottratto un quantitativo di 5.500 tonnellate (rectius: quintali) di barre di ottone e che la Corte territoriale è pervenuta a tale quantificazione sulla base di un’intercettazione telefonica (la n. 4169 del 9.6.2005) acquisita agli atti dei procedimenti penali, i ricorrenti assumono che “doveva ritenersi inibito alla Corte l’utilizzo di tale trascrizione dell’intercettazione telefonica e l’averlo fatto comporta la violazione dell’art. 2712 c.c.” atteso che la “riproduzione è stata espressamente contestata” dai convenuti Br.Gi. e M.” e che, comunque, “l’unità di misura metrica utilizzata per la quantificazione della merce sottratta non emerge dalla stessa, bensì è il frutto di una supposizione fatta dagli inquirenti a ragione degli investimenti che le parti si sarebbero riproposti di fare”; aggiungono che le risultanze delle indagini preliminari possono assumere nel giudizio civile valenza di semplici indizi e che “difetta nel ragionamento della Corte territoriale ogni propria valutazione in merito ai requisiti di gravità, precisione e concordanza che la prova indiziaria deve possedere per essere assunta a fondamento della decisione”;

il motivo è inammissibile, in quanto:

in relazione alla dedotta violazione dell’art. 2712 c.c., non sono stati indicati in alcun modo i termini in cui la “riproduzione” sarebbe stata contestata, risultando a Cal fine insufficiente il mero richiamo (in nota) agli atti in cui tale contestazione sarebbe avvenuta; infatti i ricorrenti non si sarebbero dovuti limitare a tale richiamo, ma avrebbero dovuto trascrivere il contenuto della contestazione (o, comunque, dar conto specificamente del suo tenore) onde consentire a questa Corte di apprezzare, sulla base della sola lettura del ricorso, l’oggetto e le ragioni della dedotta contestazione;

quanto alla valutazione della gravità, precisione e concordanza degli indizi valutati dalla Corte, i ricorrenti si limitano ad effettuare in riferimento alla previsione dell’art. 2729 c.c.- una contestazione assolutamente generica della ragionata ricostruzione operata dalla sentenza impugnata sulla base del contenuto dell’intercettazione, senza sollecitare uno scrutinio nei termini indicati da Cass., S.U. n. 1785/2018 (in motivazione, pagg. 14-17);

quanto -infine- alle altre norme richiamate nella rubrica, il motivo risulta assolutamente generico poichè difetta qualunque illustrazione delle ragioni di censura (anche in riferimento alla previsione di cui all’art. 2697 c.c., per le stesse ragioni sopra illustrate).

Considerato, quanto al ricorso incidentale del G., che:

dopo aver prestato adesione integrale ai motivi del ricorso principale, il G. ha svolto cinque motivi di ricorso incidentale deducendo:

sub A), la violazione dell’art. 270 c.p.p., degli artt. 2712, 2727 e 2729 c.c. e degli artt. 115,116 e 261 c.p.c., censurando l’utilizzo illegittimo del materiale probatorio proveniente dai procedimenti penali e la quantificazione presuntiva dei materiali sottratti;

sub B), la nullità della sentenza o del procedimento per essere state ritenute utilizzabili le intercettazioni telefoniche, benchè contestate dai convenuti;

sub C), la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697,2727,2729,2733,2734 e 2735 c.c. e, altresì, degli artt. 115 e 116 c.p.c. in punto di determinazione presuntiva del danno che sarebbe stato subito dalla società;

sub D), la violazione degli artt. 1226,2056,2697,2727 e 2729 c.c. e, altresì, degli artt. 115 e 116 c.p.c. in punto di liquidazione equitativa dell’importo di 1.100.000,00 Euro;

sub E), la nullità della sentenza o del procedimento per aver “determinato il danno derivato alla S.A. Eredi GN. Metalli spa nella misura di Euro 1.100.000,00 pur non avendo la stessa assolto in alcun modo all’onere probatorio posto a suo carico”;

il ricorso è inammissibile alla luce del principio secondo cui “l’impugnazione incidentale tardiva, da qualunque parte provenga, va dichiarata inammissibile laddove l’interesse alla sua proposizione non possa ritenersi insorto per effetto dell’impugnazione principale” (Cass. n. 12387/2016 e Cass. n. 6156/2018);

dato che l’interesse del G. all’impugnazione non è sorto per effetto del ricorso dei B. (non diretto contro di lui), ma già in conseguenza dell’emanazione della sentenza, il “ricorso incidentale” avrebbe dovuto essere proposto nei termini ordinari di impugnazione, senza possibilità di usufruire dei termini previsti dall’art. 334 c.p.c. per l’impugnazione incidentale tardiva (cfr. Cass. n. 10367/2004, Cass. n. 6807/2007, Cass. n. 7049/2007, Cass. n. 1120/2014 e Cass. n. 20040/2015); non può dunque consentirsi al G. di recuperare, mediante il ricorso incidentale tardivo, la possibilità di effettuare un’impugnazione il cui interesse era già presente dal momento della pubblicazione della sentenza (non a caso, i motivi di censura ripropongono per la maggior parte le ragioni già svolte dai ricorrenti principali);

in punto di tardività dell’impugnazione incidentale, deve ritenersi che la circostanza che la sentenza della Corte di Appello sia stata oggetto di correzione non valga a far decorrere un nuovo termine (rispetto a quello originario di pubblicazione), alla luce del principio secondo cui “il termine per l’impugnazione di una sentenza di cui è stata chiesta la correzione decorre dalla notificazione della relativa ordinanza, ex art. 288 c.p.c., u.c., se con essa sono svelati “errores in iudicando” o “in procedendo” evidenziati solo dal procedimento correttivo, oppure l’errore corretto sia tale da ingenerare un obbiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione, interferendo con la sostanza del giudicato ovvero, quando con la correzione sia stata impropriamente riformata la decisione, dando luogo a surrettizia violazione del giudicato; diversamente, l’adozione della misura correttiva non vale a riaprire o prolungare i termini di impugnazione della sentenza che sia stata oggetto di eliminazione di errori di redazione del documento cartaceo, chiaramente percepibili dal contesto della decisione, in quanto risolventisi in una mera discrepanza tra il giudizio e la sua espressione” (Cass. n. 8863/2018; cfr. Cass. n. 22185/2014, Cass. n. 6969/2006); ipotesi, quest’ultima, ricorrente nel caso in esame giacchè la correzione ha riguardato la mera data di decorrenza degli interessi legali (emendando un errore che era chiaramente percepibile dal contesto della decisione) le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate in favore della S.A. Eredi GN. a carico sia dei ricorrenti principali che del ricorrente incidentale.

sussistono, in relazione ad entrambi i ricorsi, le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità dei ricorsi e condanna sia i ricorrenti principali, in solido fra loro, che il ricorrente incidentale al pagamento delle spese di lite in favore della Eredi GN. Metalli s.p.a., liquidandole -a carico di ciascuna parte- in Euro 10.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2020

 

 

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