Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17613 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. II, 29/08/2011, (ud. 13/05/2011, dep. 29/08/2011), n.17613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI VERONA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Orti della Farnesina n. 155, presso lo

studio dell’Avvocato BUDA Claudia Zhara, dalla quale è rappresentato

e difeso, unitamente all’Avvocato Giovanni R. Caineri dell’Avvocatura

civica di Verona, per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Federico Confalonieri n. 5, presso lo studio dell’Avvocato MANZI

Luigi, dal quale è rappresentato e difeso, unitamente all’Avvocato

Paola Zivani, per procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

in relazione la sentenza del Tribunale di Verona n. 2991 del 2008,

depositata il 5 novembre 2008;

Udita, la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13 maggio 2011 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito per il controricorrente l’Avvocato Carlo Albini, per delega;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, il quale nulla ha osservato in ordine alla

relazione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il Comune di Verona ha impugnato per cassazione la sentenza del Tribunale di Verona n. 2991, depositata il 5 novembre 2008, con la quale è stato dichiarato inammissibile l’appello da esso Comune proposto avverso la sentenza del Giudice di pace n. 2958/06 del 16 agosto 2006, che aveva accolto l’opposizione proposta da D.G. F. avverso 11 verbalI di violazione dell’art. 7 C.d.S.;

che il Tribunale ha ritenuto che l’appello del Comune fosse tardivo in quanto dal timbro apposto in calce alla sentenza del Giudice di pace emergeva che la sentenza stessa era stata depositata, e cioè pubblicata, il 22 giugno 2006, e non anche il 16 agosto 2006, data che, nella formulazione del detto timbro, corrispondeva alla data della comunicazione della sentenza, ininfluente ai fini della decorrenza del termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ.;

che dunque, ad avviso del Tribunale, tenuto conto che l’atto di appello era stato notificato il 10 ottobre 2007, lo stesso doveva ritenersi tardivo; peraltro, ha soggiunto il Tribunale, quand’anche il termine lo si fosse fatto decorrere dalla seconda data indicata in calce alla sentenza impugnata, del pari il gravame sarebbe stato tardivo, in quanto la notificazione era stata effettuata oltre il 16 settembre 2007;

che il Comune denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 133 e 327 cod. proc. civ., anche in relazione alla L. n. 742 del 1969, art. 1;

che, a conclusione del motivo, il Comune ricorrente formula i seguenti quesiti di diritto: “Dica la Corte se, per effetto del combinato disposto degli artt. 133 e 327 c.p.c., il termine annuale per l’impugnazione della sentenza non notificata inizia a decorrere dalla data della sua pubblicazione e, laddove sulla sentenza impugnata appaiano due date, una di deposito in cancelleria e l’altra, successiva, di pubblicazione indicata come tale dal cancelliere, a quale delle due date bisogna avere riguardo ai fini della decorrenza di detto termine”; “Dica la Corte, nell’ipotesi in cui sia considerata, nel caso, quale data di pubblicazione della sentenza, il giorno 16.8.2006, se sia tempestiva l’impugnazione notificata in data 10-12.10.2007, considerato il periodo di sospensione feriale ex L. 7 ottobre 1969, n. 742”;

che l’intimato resiste con controricorso;

che, essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione del ricorso con il rito camerale, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., che è stata comunicata alle parti e al pubblico ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il relatore designato ha proposto l’accoglimento del ricorso alla stregua delle seguenti ragioni:

“(…) Il motivo di ricorso, per quanto attiene al primo quesito, si appalesa manifestamente fondato, alla luce del principio per cui “per effetto del combinato disposto degli artt. 133 e 327 cod. proc. civ., il termine annuale per l’impugnazione della sentenza non notificata inizia a decorrere dalla data della sua pubblicazione e, laddove sulla sentenza pubblicata appaiano due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l’altra, successiva, di pubblicazione indicata come tale dal cancelliere, è solo a quest’ultima che bisogna aver riguardo ai fini della decorrenza del termine” (Cass., n. 12681 del 2008; Cass., n. 14862 del 2009).

Nel caso di specie, sulla sentenza del Giudice di pace risulta apposto un timbro del seguente tenore: “UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI VERONA depositato il 22.6.06 e pubblicato in data 16 agosto 2006”, recante la sottoscrizione del cancelliere.

Nè può essere condiviso l’assunto del controricorrente, secondo cui il termine annuale di cui all’art. 327 cod. proc. civ., avrebbe dovuto decorrere dalla data di deposito, giacchè nella scissione, operata presso la cancelleria del Giudice di pace di Verona, tra deposito e pubblicazione della sentenza chiaramente il primo termine va riferito al deposito della minuta in cancelleria e il secondo alla pubblicazione della sentenza, sicchè è da questo secondo momento che può iniziare a decorrere il termine perchè solo la pubblicazione della sentenza implica la condizione di conoscibilità della stessa, a prescindere dalla notificazione ad opera della controparte; conoscibilità sulla quale si basa l’operatività del termine lungo, anche alla luce delle considerazioni svolte nella sentenza della Corte costituzionale richiamata dal controricorrente.

Nè più convincente appare l’assunto del medesimo controricorrente, secondo cui il decorso del termine per la proposizione dell’impugnazione avrebbe dovuto essere fissato nella data in cui il cancelliere dell’Ufficio del Giudice di pace aveva effettuato la comunicazione dell’avvenuto deposito, sul rilievo che detta comunicazione avrebbe avuto la medesima efficacia della notificazione ai fini del decorso del termine breve, trattandosi di comunicazione avvenuta in un procedimento della L. n. 689 del 1981, ex artt. 22 e 23 e non avendo il Comune di Verona eletto domicilio nel luogo ove aveva sede il Giudice adito.

Invero, “la comunicazione del deposito della sentenza, che il cancelliere da alle parti costituite, ai sensi dell’art. 133 cod. proc. civ., comma 2, con biglietto ai loro difensori, non è idonea a far decorrere il termine breve per impugnare la sentenza stessa per cassazione” (Cass., n. 2334 del 2006). In particolare, poi, con riferimento al giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, si è precisato che “la notifica d’ufficio della sentenza che decide l’opposizione, prevista obbligatoriamente dalla L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 9, non è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione di cui all’art. 325 cod. proc. civ., poichè, in difetto di un’espressa previsione di legge, non vi sono ragioni per derogare al disposto dell’art. 285 cod. proc. civ., ed al principio dispositivo, i quali impongono che sia un’iniziativa di parte a far decorrere il termine breve di cui sopra allo scopo di pervenire ad una più rapida conclusione del processo” (Cass., n. 16861 del 2007).

Quanto al secondo quesito, il motivo deve essere ritenuto manifestamente fondato, posto che il termine di proposizione dell’impugnazione decorreva dalla fine del periodo di sospensione feriale e cioè dal 16 settembre 2006, sicchè l’appello, proposto con citazione notificata il 12 ottobre 2007, non avrebbe potuto essere considerato intempestivo, in mancanza di notificazione della sentenza del Giudice di pace e di conseguente decorso del termine breve.

Sussistono pertanto le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”.

che il Collegio condivide la proposta di decisione, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta;

che deve, peraltro, rilevarsi che, successivamente al deposito della relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ., con sentenza n. 7240 del 2011, è stato riaffermato il principio secondo cui “quando sull’originale di una sentenza figuri una doppia attestazione da parte del cancelliere, il quale da atto che essa è stata depositata in una certa data e pubblicata in una data successiva, ai fini del computo del c.d. termine lungo per l’impugnazione di cui all’art. 327 cod. proc. civ., occorre fare riferimento alla data di deposito e non a quella di pubblicazione, in quanto è solo la prima che integra la fattispecie di cui all’art. 133 cod. proc. civ., mentre la successiva pubblicazione si collega ad attività che il cancelliere è obbligato a compiere per la tenuta dei registri di cancelleria o per gli avvisi alle parti dell’avvenuto deposito” (in precedenza, v. Cass. n. 17290 del 2009; Cass. n. 20858 del 2009);

che, il Collegio ritiene che il detto principio, la cui applicazione condurrebbe al rigetto del ricorso, essendosi ad esso la sentenza impugnata conformata, non sia condivisibile;

che, invero, appare opportuno premettere che l’art. 327 cod. proc. civ., che è relativo alla decadenza dall’impugnazione, stabilisce che gli ordinari mezzi di impugnazione “non possono proporsi dopo decorsi “sei mesi” (all’epoca della vicenda de qua “un anno”) dalla, pubblicazione della sentenza;

che la giurisprudenza più rigorista trae spunto dall’art. 133 cod. proc. civ., secondo il quale “la sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice”, per argomentare che, in presenza di una data di deposito attestata dal cancelliere, la parte dovrebbe desumerne che con quell’atto è già avvenuta la pubblicazione utile ai fini dell’impugnazione;

che l’evidente conflitto tra le due attestazioni contenute nella sentenza dovrebbe risolversi supponendo che con la seconda, e cioè quella relativa alla pubblicazione, il cancelliere abbia inteso riferirsi alle registrazioni di cancelleria previste dal D.M. n. 264 del 2004 (art. 13, comma 1, n. 16) e dall’art 28 disp. att. cod. proc. civ.;

che l’orientamento rigorista aggiunge che al termine deposito non può essere dato altro senso diverso da quello proprio dell’art. 133 cod. proc. civ., trattandosi di atto pubblico;

che, infine, si nega che sussista alcun sacrificio dell’affidamento del cittadino, il quale in presenza di un’attestazione di deposito deve riferirla a quell’attività di deposito che il cancelliere deve compiere ex art. 133 cod. proc. civ., per pubblicare la sentenza;

che nessuna delle argomentazioni sulle quali si fonda l’orientamento recepito, da ultimo, da Cass. n. 7240 del 2011, è convincente;

che occorre innanzitutto rilevare che la decadenza dall’impugnazione deriva, ai sensi dell’art. 327 cod. proc. civ. , dallo spirare di un termine che inizia a decorrere dalla “pubblicazione della sentenza”;

che la parte che deve sottostare al termine è quindi indotta, sia dal principio di affidamento, sia da un’interpretazione letterale di questa disposizione, ad ancorare la propria attività alla pubblicazione e non al deposito della sentenza;

che, dunque, la data di deposito può rilevare, al fine di conoscere la data di pubblicazione ex art. 133 cod. proc. civ., solo ove nell’atto da impugnare non sia presente una specifica attestazione che riguardi la pubblicazione;

che il conflitto tra le due attestazioni deve essere necessariamente risolto attribuendo ad una di esse un senso diverso da quello che è foriero delle conseguenze della pubblicazione della sentenza, che è il momento in cui l’atto è reso conoscibile alle parti e che fa decorrere il tempo utile per il gravame;

che, secondo il non condiviso orientamento prima riportato, la contraddizione va risolta attribuendo all’attestazione di “pubblicazione” un senso che è estraneo – e anzi opposto – a quello proprio del termine, individuandolo nelle attività di annotazione nei registri di cancelleria, che è attività meramente interna dell’ufficio;

che, di contro, è ben più piana una lettura che attribuisca all’attestazione di “deposito” il senso di “deposito in minuta”;

che siffatta lettura trova ancoraggio nell’art. 119 disp. att., che prescrive la consegna di una minuta da parte dell’estensore al presidente del Collegio e da questi al cancelliere, che ne affida la scritturazione al dattilografo di ruolo, e prevede che, ultimata la sottoscrizione, presidente ed estensore verificano la corrispondenza all’originale alla minuta, la sottoscrivono e la avviano alla pubblicazione da parte del cancelliere;

che non può non rilevarsi come, nel corso del tempo l’attestazione del deposito in minuta sia invalsa negli uffici giudiziari quale momento utile a fissare l’adempimento (rilevante anche disciplinarmente) dell’attività di predisposizione della sentenza da parte dell’estensore;

che l’affermarsi degli strumenti elettronici ha progressivamente compresso le fasi disciplinate dalla richiamata disposizione di attuazione, grazie alla scritturazione diretta da parte dell’estensore e alla consegna al cancelliere di un testo che: a) a volte deve essere controfirmato dal presidente; b) a volte consta della sola motivazione e deve essere completato con “l’intestazione” della sentenza (cioè con l’epigrafe predisposta sovente dalla cancelleria); c) a volte è completo, ma perviene al cancelliere quando questi non è in condizione, per il carico di lavoro, di provvedere al deposito nel senso proprio di cui all’art. 133;

che, potendo verificarsi che il differimento del formale deposito della sentenza, per la condizione delle cancellerie, sia spesso di alcuni giorni e talvolta di molte settimane, deve ritenersi che l’uso dell’attestazione “depositato in minuta” mantenga attualità al fine di scandire i tempi dell’attività giurisdizionale e quelli della cancelleria;

che è dunque ben più agevole ritenere che in presenza di una doppia contraddittoria attestazione – tra deposito e pubblicazione della sentenza – la prima si riferisca al deposito della minuta, cioè a un’attività codificata, interna al procedimento di pubblicazione della sentenza e riconoscibile nella prassi giudiziaria;

che, d’altra parte, non può sottacersi che l’interpretazione rigorista, che il Collegio non condivide, finisce con il sottrarre alle parti una frazione, che può essere anche molto consistente, giungendo in situazioni patologiche ad alcuni mesi, del tempo utile per l’impugnazione, che deve essere non inferiore a sei mesi (un anno prima della modifica dell’art. 327 cod. proc. civ.);

che infatti, anteriormente alla “pubblicazione”, la sentenza, per quanto depositata, non è infatti nota ai contendenti, altro significato non potendosi attribuire alla circostanza che la cancelleria abbia proceduto a una doppia attestazione, alla seconda attribuendo la denominazione di “pubblicazione”, così rendendo evidente che, prima di quella data, la sentenza non era stata ancora “resa pubblica”;

che pertanto il senso del primo termine, “depositato”, va desunto dalla connessione con l’uso del secondo, che da una luce convincente alla vicenda amministrativa, salvaguardando i diritti dei litiganti;

che conclusivamente, va riaffermato il principio secondo cui, “per effetto del combinato disposto degli artt. 133 e 327 cod. proc. civ., il termine annuale per l’impugnazione della sentenza non notificata inizia a decorrere dalla data della sua pubblicazione e, laddove sulla sentenza pubblicata appaiano due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l’altra, successiva, di pubblicazione indicata come tale dal cancelliere, è solo a quest’ultima che bisogna aver riguardo ai fini della decorrenza del termine” (Cass., n. 12681 del 2008; Cass. n. 14862 del 2009; Cass. n. 3217 del 2011, non massimata);

che, quindi, aderendo alla proposta di decisione di cui alla relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ., il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Verona, in diversa composizione, perchè proceda all’esame dell’appello tempestivamente proposto dal Comune di Verona;

che al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Verona, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 13 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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