Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17613 del 24/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/08/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 24/08/2020), n.17613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16081-2017 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BUCCARI, 11,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TALLADIRA, rappresentato e

difeso dall’avvocato TIZIANA SODANI;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO N. (OMISSIS) DELLA (OMISSIS) S.P.A. IN LIQUIDAZIONE

S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO, 32, presso la

studio dell’avvocato FRANCESCO SILVESTRI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 6543/2017 del TRIBUNALE di FROSINONE,

depositata il 23/05/2017 r.g.n. 2576/2014.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con decreto 23 maggio 2017, il Tribunale di Frosinone rigettava l’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 98 L. Fall., da P.A. avverso lo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) s.p.a., dal quale era stato escluso, per difetto di prova, il credito di Euro 7.350.000,00, o diversa somma accertanda oltre accessori, che aveva insinuato in via privilegiata, per le molteplici invenzioni industriali realizzate nel corso del rapporto di lavoro dal 1972 al 2004 alle dipendenze della società, che le aveva brevettate ed utilizzate;

2. esso ribadiva l’esclusione del credito dallo stato passivo, benchè fosse risultata la realizzazione di una pluralità di innovazioni tecnologiche, qualificabili, in assenza di pattuizione di una speciale retribuzione corrispettiva dell’invenzione nell’esecuzione della prestazione lavorativa (cd. “di servizio”, ai sensi del R.D. n. 1127 del 1939, art. 23, comma 1), quali invenzioni “d’azienda” (ai sensi dell’art. 23, comma 2 R.D. cit.), da remunerare con un equo premio, riconoscibile nei limiti della prescrizione decennale (trattandosi di equo indennizzo e non di retribuzione di prestazione lavorativa) decorrente dal rilascio del singolo brevetto, verificatasi per le invenzioni industriali anteriori al 5 aprile 1995; e benchè fossero pure state individuate le invenzioni remunera bili in base all’elenco dell’ing. C.G. (delle quali P.A. era coinventore insieme con terzi), in applicazione della cd. “formula tedesca” (I = P x V; ossia: Indennità dovuta pari al Prodotto tra il contributo offerto dal lavoratore al raggiungimento dell’invenzione e il Valore dell’invenzione);

3. alla luce delle scrutinate risultanze istruttorie, il Tribunale negava la sufficienza degli elementi di prova (anche testimoniali) raccolti, per la loro parzialità, equivocità ed assenza di un obiettivo riscontro documentale, tale da riuscire persino inidonei al conferimento di un eventuale incarico peritale in funzione del riconoscimento dell’equo compenso;

4. avverso tale decreto, con atto notificato il 23 giugno 2017, il lavoratore ricorreva per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c., cui resisteva il Fallimento con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente deduce violazione di legge, per omessa ammissione di C.t.u. e violazione e falsa applicazione degli artt. 1206 e 2056 c.c., art. 115 c.p.c., per mancato esercizio del potere giudiziale di determinazione del premio in via equitativa, anche tenuto conto del complesso materiale raccolto nel giudizio tra le stesse parti davanti al giudice del lavoro del Tribunale di Frosinone, che aveva anche, prima della sua interruzione per il fallimento della società datrice, conferito incarico per la sua liquidazione al C.t.u. (primo motivo); violazione e falsa interpretazione dell’art. 2969 (rectius: 2697) c.c., per una rivalutazione parziale e non corretta delle prove raccolte, che ben avrebbero consentito una liquidazione dell’equo premio (secondo motivo); nullità della sentenza per motivazione contraddittoria, perplessa ed obiettivamente incomprensibile, per la ritenuta infondatezza della pretesa creditoria del lavoratore, nonostante i brevetti specificamente individuati fossero stati riconosciuti a lui riferibili (terzo motivo);

2. i tre motivi sono, per ragioni di stretta connessione, congiuntamente esaminabili;

3. essi sono infondati;

3.1. il Tribunale ha correttamente ritenuto di non poter esercitare il potere discrezionale di liquidazione del danno in via equitativa a norma degli artt. 1226 e 2056 c.c.. Esso presuppone, infatti, la prova dell’esistenza di danni risarcibili e l’obiettiva impossibilità o particolare difficoltà di provare il danno nel suo preciso ammontare: con la conseguenza dell’onere per la parte interessata di provare non solo l’an debeatur del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi in re ipsa, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà; e ciò in modo da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della sua precisa determinazione (Cass. 8 gennaio 2016, n. 127; Cass. 17 ottobre 2016, n. 20889);

3.2. giova poi ricordare che l’esercizio di un tale potere giudiziale è espressione di quello più generale previsto dall’art. 115 c.p.c., che dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa: pertanto subordinato, da un lato, alla condizione che per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo ammontare e presupponendo, dall’altro, già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno (Cass. 22 febbraio 2018, n. 4310);

3.3. ebbene, in base ad un chiaro e congruo ragionamento argomentativo (per le ragioni esposte dal primo capoverso di pg. 8 al primo di pg. 9 del decretala sentenza), il Tribunale ha accertato la mancanza di elementi di prova idonei alla determinazione dell’equo premio, neppure sufficienti a consentire il previo conferimento di un incarico peritale, sottolineando come il lavoratore nemmeno abbia “ritenuto di formulare alcuna richiesta di emissione di ordine di esibizione” dei “bilanci di VDC e di eventuali altri documenti contabili… necessari per poter determinare… l’equo premio”. E ciò nonostante sapesse che nel giudizio davanti al giudice del lavoro interrotto, questi avesse autorizzato il C.t.u., nell’ambito dell’incarico conferitogli, ad una tale acquisizione (così all’ultimo capoverso di pg. 8 del decretala sentenza);

3.4. per tali ragioni, non sussiste neanche il denunciato vizio di motivazione, sub specie di nullità della decisionesentenza per motivazione contraddittoria, perplessa ed obiettivamente incomprensibile. A seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (secondo cui non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6), esso ricorre nelle ipotesi (al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia) di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. 25 settembre 2018, n. 22598): qui evidentemente da escludere;

3.5. i tre motivi si risolvono così in una contestazione della valutazione probatoria operata dal Tribunale in ordine all’inesistenza di elementi probatori idonei alla determinazione, neppure tramite C.t.u. per la liquidazione dell’equo premio, del credito vantato dal lavoratore. Ma è noto come il ricorrente non possa rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 6 aprile 2011, n. 7921; Cass. 7 aprile 2017, n. 9097; Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404);

4. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 15.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2020

 

 

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