Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17612 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. II, 29/08/2011, (ud. 13/05/2011, dep. 29/08/2011), n.17612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17604/2009 proposto da:

P.V., P.A. (OMISSIS), D.

M.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.G.

BELLI 27, presso lo studio dell’avvocato MEREU Giacomo, che li

rappresenta e difende unitamente agli avvocati SBISA’ GIUSEPPE, DE

STEFANO NICOLA, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FRANCESCO ORESTANO 21, presso lo studio dell’avvocato PONTESILLI

MARIO, rappresentata e difesa dall’avvocato DE PASCAL Francesca,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 87/2009 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE del

13.1.09, depositata il 13/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

13/05/2011 dal Consigliere Dott. Relatore PASQUALE D’ASCOLA;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Paolo Mereu (per delega avv.

Giacomo Mereu) che si riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO

VELARDI che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

A. e P.C. nel 1998 convenivano in giudizio P.M., chiedendo l’accertamento del diritto di passaggio, anche per intervenuta usucapione, su un fondo di proprietà della convenuta sito in (OMISSIS) fg. 27 mapp. 169, con la condanna alla rimessione in pristino dei luoghi.

La domanda veniva respinta dal tribunale di Udine e detta sentenza era confermata il 13 marzo 2009 dalla Corte d’appello di Trieste.

P.A. e gli eredi di C. hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 10 luglio 2009 e imperniato su 7 motivi La P.M. ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

Il Collegio ha raccomandato la motivazione in forma semplificata.

Il ricorso è soggetto ratione temporis alla disciplina novellatrice di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, giacchè il nuovo rito, che abroga l’art. 366 bis c.p.c., si applica, per effetto della disposizione transitoria contenuta nella L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, solo con riferimento alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione sia stato pubblicato successivamente alla data di entrata in vigore della legge (Cass. 26364/09).

Il primo motivo lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 654 c.p.p., art. 211 disp. att c.p.p., e dell’art. 295 c.p.c.. La censura non espone il quesito di diritto che è indispensabilmente previsto, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., a pena di inammissibilità, per l’illustrazione di ciascun motivo nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3), e 4).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. 19769/08). Pertanto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità’ di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (SU 26020/08).

Analoga ragione di inammissibilità colpisce il terzo e il quarto motivo di ricorso, nella parte in cui denunciano violazione dell’art. 345 c.p.c..

Gli altri motivi denunciano vizi di motivazione.

Essi non contengono la chiara indicazione del fatto controverso prescritta dall’art. 366 bis c.p.c.. Anche questa omissione è sanzionata con l’inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c.. In proposito la giurisprudenza (SU n. 20603/07; Cass. 4309/08; 16528/08) ha chiarito che la censura ex art. 360, n. 5, deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, per consentire una pronta identificazione delle questioni da risolvere.

E’ stato affermato che nella norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ., nonostante la mancanza di riferimento alla conclusività (presente, invece, per il quesito di diritto), il requisito concernente il motivo di cui al n. 5 del precedente art. 360 – cioè la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione della sentenza impugnata la rende inidonea a giustificare la decisione” – deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione e1 conseguentemente inidonea sorreggere la decisione.

Va inoltre rilevato che il secondo motivo, che maggiormente censura la valutazione delle risultanze istruttorie, riporta solo in minima parte il contenuto di una prova testimoniale, senza riportar testualmente e integralmente gli elementi istruttori di cui invoca il riesame. Viola quindi, con conseguente inammissibilità della doglianza, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il quale impone al ricorrente che deduce l’omessa, o insufficiente motivazione della sentenza impugnata, per l’asserita mancata valutazione di atti processuali o documentali, l’onere di indicare – mediante l’integrale trascrizione di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e non valutata o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio suddetto, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative(Cass. 11886/06; 8960/06; 7610/06).

Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 2.500,00 per onorari, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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