Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17610 del 28/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/07/2010, (ud. 23/06/2010, dep. 28/07/2010), n.17610

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA POSTUMIA 1

presso lo studio dell’avvocato GIANCASPRO NICOLA, rappresentato e

difeso dall’avvocato BARBERIS RICCARDO, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 92/2004 della COMM. TRIB. REG. di POTENZA,

depositata il 08/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2010 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.M. ricorre in cassazione avverso la sentenza, di cui in epigrafe, resa dalla Commissione Tributaria Regionale competente con la quale era stato accolto l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Matera, che aveva accolto il ricorso proposto da esso G. contro l’avviso di accertamento IRPEF relativo al periodo d’imposta 1995.

Il detto avviso era stato emanato dall’Amministrazione in virtù di accertamento analitico fondato su di un processo verbale della G. di Finanza. Il giudice d’appello aveva motivato sostenendo che la Guardia di Finanza aveva eseguito una puntuale e corretta individuazione delle percentuali di ricarico sulla scorta del raffronto dei prezzi di acquisto con quelli di vendita per ciascuna categoria di merce venduta, ed aveva correttamente determinato maggiori ricavi, pari alle differenze tra le rimanenze rilevate e le giacenze iniziali dichiarate.

Il ricorso è fondato su di un duplice motivo. L’intimata non controdeduce.

Motivazione:

Con il primo motivo del ricorso G.M. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e dell’art. 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3 e 5) per avere il giudice d’appello errato nel ritenere applicabile alla fattispecie l’accertamento analitico solo in virtù della percentuale di ricarico, pur in presenza di una contabilità corretta ed in mancanza di ulteriori indizi.

La doglianza, a prescindere dai profili di inammissibilità per l’assoluta genericità, è infondata.

Le contestazioni mosse si risolvono, infatti, da una parte in una apodittica affermazione di contrasto tra le norme indicate e la sentenza impugnata, senza alcuna specifica indicazione delle affermazioni di diritto, contenute nella sentenza, che implicherebbero tale contrasto (Cass. n. 5076/2007), e dall’altra parte in un’altrettanto vaga doglianza sulla motivazione, censurata solo con il richiamo all’art. 360 c.p.c., n. 5. Manca in effetti l’individuazione delle ragioni per le quali il dedotto vizio della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione in contrasto con il principio (Cass. 16459/2004; Cass. SS.UU. n. 5802/1998) secondo il quale il vizio di motivazione, deducibile in sede di legittimità, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale desumibile dalla sentenza, sia ravvisabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, posto che la citata norma conferisce alla Corte di Cassazione solo il potere di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui spetta individuare le fonti del proprio convincimento, scegliendo tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass, n. 4891/2000; n 2446/2000).

Invero, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, l’inattendibilità dell’intero apparato contabile può risultare in via presuntiva dal sussistere di rilevanti differenze tra i ricavi dichiarati e quelli indirettamente ricostruiti. Nel caso di specie il giudice dell’appello, risolvendo una questione di merito non censurabile in sede di legittimità come vizio di legge ma solo per vizio della motivazione, ha ritenuto la sussistenza di concreti elementi proba tori nella “puntuale e corretta individuazione delle percentuali di ricarico, sulla scorta del raffronto dei prezzi di acquisto con quelli di vendita per ciascuna categoria di merce venduta”. Tale affermazione non è stata contrastata in alcun modo dall’attuale ricorrente che, con riferimento al lamentando vizio di motivazione, non riporta nè la motivazione dell’atto impugnato, nè il processo verbale dal quale è scaturita la rettifica, e neppure indica, riportandole, le censure mosse con il ricorso introduttivo.

Questa Corte non è stata quindi messa in grado di esercitare la sua funzione istituzionale di controllo di legittimità nè con riferimento alla scelta dell’accertamento analitico (che, evidentemente costituisce il prius), nè con riferimento alla percentuale di ricarico che, secondo la sentenza impugnata, è stata effettuata “mediante utilizzo della media aritmetica ponderata per ogni tipologia di merce venduta”.

Il motivo in esame deve pertanto essere rigettato.

Con il secondo motivo il contribuente lamenta la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39; la carenza di motivazione degli atti di accertamento impugnati ed il vizio di motivazione; motiva assumendo che il giudice dell’appello non ha censurato la mancanza di una idonea motivazione dell’atto impugnato e non ha congruamente motivato.

La censura è inammissibile perchè difetta il requisito della specificità del motivo, non essendo indicate le ragioni per le quali parte ricorrente ritiene illegittima la decisione della C.T.R. nella parte in cui ritiene che la Guardia di Finanza abbia eseguito una puntuale e corretta individuazione delle percentuali di ricarico sulla scorta del raffronto tra dei prezzi di acquisto con quelli di vendita. Infatti, quando – come nella specie – è denunziata violazione e falsa applicazione della legge e non risultano indicate anche le argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le medesime o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione. Non è invero sufficiente un’affermazione apodittica (nella specie, il semplice e generico riferimento agli elementi contenuti o richiamati nell’accertamento, senza alcun aggancio al contenuto dell’impugnata sentenza), non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente – viceversa – porre la Corte in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (Cass. n. 10295/07; 12984/06). La censura è, inoltre, inammissibile nella parte in cui è dichiaratamente rivolta contro l’atto di accertamento e la motivazione dello stesso, anzichè avverso la sentenza impugnata. E’ sufficiente ribadire, al riguardo, che il ricorso per Cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. 17 luglio 2007 n. 15952; Cass. 6 giugno 2006 n. 13259; Cass. 15 marzo 2006 n. 5637; Cass. 15 febbraio 2003 n. 2312); nonchè il principio per cui col ricorso in Cassazione si impugna solo la sentenza di appello, la quale costituisce l’unico oggetto del giudizio di legittimità (Cass. n. 9993/03; n. 8265/02;

n. 8852/01; n. 3986/1999; n. 5083/1998) e non anche direttamente l’avviso di accertamento.

In virtù di quanto fin qui esposto il ricorso deve essere rigettato.

Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese del giudizio di legittimità atteso che l’intimato non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2010

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