Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1761 del 28/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 1761 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 8396-2008 proposto da:
VITELLARO MARIA CATENA VTLMCT61M69H281U, SANTAGATI
ANTONIO

SNTNTN48A26D960P,

VITELLARO

GIUSEPPE

VTLGPP64C04H281U, VITELLARO TULLIO ENZO
VTLTLN70H3OH281X quali eredi di CARRUBBA GIUSEPPE,
domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi
dall’avvocato SANTAGATI ANTONIO con studio in 93012
GELA (CL), VICO IMPERIA 4 giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

1

Data pubblicazione: 28/01/2014

ERGO ASSICURAZIONI S.P.A. 10802220151 in persona del

suo procuratore Dott. GIUSTO SCALISI, elettivamente

,

domiciliata in ROMA, VIA DI MONTE VERDE 162, presso lo

II.

studio

dell’avvocato

MARCELLI

GIORGIO,

che

la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LOASSES

– controricorrente nonchè contro

COMMISSARIO LIQUIDATORE DELLA D’EASS S.P.A., SORTINO
GAETANO, SAI FONDIARIA S.P.A.;
– intimati –

avverso la sentenza n. 32/2007 della CORTE D’APPELLO
di CALTANISSETTA, depositata il 29/01/2007, R.G.N.
176/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/11/2013 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito l’Avvocato GIORGIO MARCELLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso p.q.r.;

ERNESTO giusta delega in atti;

R.G.N. 8396/08
Udienza del 7 novembre 2008

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il 7 marzo 1992 sulla Strada Provinciale tra Sommatina (CL) e
Caltanissetta si verificò un sinistro stradale che coinvolse:
(a)

il veicolo Fiat Ritmo targ. CL98617, di proprietà del sig. Salvatore

Vitellaro e condotto dal medesimo, assicurato per la r.c.a. dalla Ambrosiana

Bayerische Assicurazioni s.p.a., e quindi in “Ergo Assicurazioni s.p.a.”, e
come tale d’ora innanzi sarà indicata), sul quale era trasportata la sig.a
Giuseppa Carrubba;
(b)

il veicolo Alfa Romeo Giulietta targato CL143403, condotto dal sig.

Gaetano Soffino e di proprietà del medesimo, assicurato dalla D’EASS s.p.a..

2. In conseguenza del sinistro la sig.a Giuseppa Carrubba patì lesioni
personali, e per essere risarcita di tale danno nel 1993 convenne dinanzi al
Tribunale di Gela Gaetano Soffino, Salvatore Vitellaro, la D’EASS s.p.a. e la
Ergo s.p.a., chiedendone la condanna in solido al risarcimento del danno.

3. Il Tribunale di Gela con sentenza 13.10.2003 n. 397 affermò in via
presuntiva la colpa concorsuale dei due conducenti coinvolti, ai sensi dell’art.
2054, comma 2, c.c., e condannò tutti i convenuti al risarcimento del danno
biologico patito dalla vittima.

4. La sentenza venne appellata sia dalla sig.a Giuseppa Carrubba, che si
dolse della mancata liquidazione del danno c.d. morale; sia dalla Ergo s.p.a.,
che si dolse della ritenuta corresponsabilità del proprio assicurato.

5. La Corte d’appello di Caltanissetta, con sentenza 29.1.2007 n. 32,
accolse ambedue gli appelli, e di conseguenza condannò i soli Gaetano
Soffino e D’EASS s.p.a. (nelle more posta in liquidazione coatta
amministrativa) al risarcimento del danno, contestualmente riliquidato in
euro 25.998,71.

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Assicurazioni s.p.a. (che in seguito mutò ragione sociale dapprima in

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Udienza del 7 novembre 2008

Condannò altresì i suddetti Sortino e D’EASS alla rifusione in favore della
sig.a Giuseppa Carrubba delle spese del grado di appello, che quantificò in €
1.400.
Condannò, infine, la sig.a Giuseppa Carrubba sia a restituire alla Ergo s.p.a.
le somme da questa pagatele in esecuzione della sentenza di primo grado,

due gradi di giudizio.

6. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione, con unico
ricorso, sia dai sigg.ri Giuseppe, Maria Catena e Tullio Enzo Vitellaro, eredi
di Giuseppa Carrubba (nelle more del giudizio deceduta); sia dall’avv.
Antonio Santagati, difensore della sig.a Carrubba nei gradi di merito, in
proprio.
Ha resistito con controricorso la società Ergo s.p.a..
MOTIVI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso dell’avv. Antonio Santagati.
7.1. Il ricorso dell’avv. Antonio Santagati si fonda su un solo motivo.
Egli lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3, sia la violazione di legge (art. 360 n.
3, c.p.c., con riferimento all’art. 93 c.p.c.), sia la nullità processuale (art.
360 n. 4, c.p.c., con riferimento all’art. 112 c.p.c.) per avere la Corte
d’appello di Caltanissetta omesso di provvedere sulla sua istanza di
distrazione delle spese, formulata nella comparsa conclusionale d’appello.

7.2. Il ricorso è inammissibile.
Quando, infatti, il giudice ometta di pronunciarsi sull’istanza di distrazione
delle spese proposta dal difensore, il rimedio esperibile, in assenza di
un’espressa indicazione legislativa, è costituito dal procedimento di
correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 cod. proc. civ., e
non dagli ordinari mezzi di impugnazione, non potendo la richiesta di
distrazione qualificarsi come domanda autonoma.
Questo principio, ormai pacifico, è stato affermato tra l’altro dalle Sezioni
Unite di questa Corte con la sentenza pronunciata da Sez. U, Sentenza n.

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sia a pagare alla medesima società assicuratrice le spese processuali dei

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Udienza del 7 novembre 2008

16037 del 07/07/2010, ed in seguito ribadito anche da questa Sezione, con
la sentenza pronunciata da Sez. 3, Sentenza n. 1301 del 30/01/2012.

7.3. Ovviamente nulla rileva che la sentenza da correggere sia stata
contemporaneamente impugnata da altre parti: l’art. 287 c.p.c., infatti,

pronunciata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 335 del 2004,
stabilisce che il solo giudice competente alla correzione dell’errore materiale
sia quello che ha emesso la sentenza da correggere, a nulla rilevando che la
sentenza da correggere abbia formato oggetto di impugnazione (Sez.

L,

Sentenza n. 9968 del 12/05/2005).
E comunque, anche prima dell’intervento della Corte costituzionale, il
principio secondo cui è ben possibile che la medesima sentenza formi
oggetto nello stesso tempo sia d’un ricorso per correzione di errore
materiale, sia d’un ricorso per cassazione, era del tutto pacifico, consolidato
e risalente nella giurisprudenza di legittimità, a partire dalla sentenza
“capostipite” rappresentata da Sez. 1, Sentenza n. 2694 del 25/07/1968.

7.4. E’ doveroso aggiungere, per completezza, che non è consentito a
questa Corte procedere alla conversione del ricorso per cassazione proposto
dall’avv. Antonio Santagati in un ricorso per correzione di errore materiale,
ex art. 287 c.p.c., né applicare i princìpi in tema di rimessione in termini per
decadenza dovuta ad errore scusabile, consistito nell’aver fatto affidamento
su orientamenti giurisprudenziali in materia processuale, imprevedibilmente
mutati al momento della decisione.
Infatti – ed anche questo è un principio del tutto pacifico – alla Corte di
cassazione non si potrebbe comunque mai domandare di correggere l’errore
materiale contenuto in una sentenza di merito: sia perché tale competenza
è funzionale ed è riservata al giudice che ha pronunciato la sentenza
impugnata (art. 287 c.p.c.), sia perché giammai potrebbe il giudice di
legittimità esaminare il merito e procedere alle correzioni richieste (come
ritenuto, tra le altre, da Sez. L, Sentenza n. 9968 del 12/05/2005; Sez. 1,

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specialmente dopo la pronuncia di parziale illegittimità costituzionale

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Udienza dei 7 novembre 2008

Sentenza n. 7301 del 07/04/2005; Sez. 5, Sentenza n. 12004 del
22/05/2006).

8. Il primo motivo di ricorso dei sigg.ri Giuseppe, Maria Catena e
Tullio Enzo Vitellaro.

Enzo Vitellaro (d’ora innanzi, per brevità, “i sigg.ri Vitellaro”) lamentano,
contemporaneamente, sia la violazione di legge, sia la nullità del processo,
sia il vizio di motivazione (ex art. 360 nn. 3, 4 e 5).
Allegano che il giudice d’appello avrebbe erroneamente ritenuto ammissibile
l’appello proposto dalla Ergo s.p.a., il quale invece si sarebbe dovuto
giudicare tardivo.
Spiegano a tal riguardo che la sentenza di primo grado venne impugnata
dalla sig.a Giuseppa Carrubba con appello principale, nel quale gli appellati
erano citati a comparire per l’udienza del 19 novembre 2004.
Tale udienza venne differita d’ufficio, ex art. 168 bis, comma 4, c.p.c., al 10
dicembre 2004, ed in tale udienza la Ergo s.p.a. si costituì, depositando la
comparsa contenente l’appello incidentale.
Tuttavia, poiché tale appello investiva un capo della sentenza (quello
concernente la colpa dell’assicurato, sig. Giuseppe Vitellaro) diverso da
quello investito dall’appello principale (concernente invece la mancata
liquidazione del danno c.d. morale), esso doveva essere proposto entro il
termine di cui all’art. 327 c.p.c., giacché l’impugnazione c.d. autonoma non
può essere proposta tardivamente (così il ricorso, foglio 10 1 ).

8.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione (art. 360, n. 5, c.p.c.),
il motivo è manifestamente infondato, noto essendo che il vizio di
motivazione è concepibile solo in merito alla ricostruzione dei fatti, non
certo con riferimento all’errore di diritto (come questa Corte viene
unanimemente ripetendo da quasi mezzo secolo, sinanche a Sezioni Unite:
cfr. da ultimo, Sez. U, Sentenza n. 28054 del 25/11/2008; nello stesso
senso, Sez. L, Sentenza n. 11883 del 06/08/2003; Sez. L, Sentenza n.
i Dalla pag. 9 in poi, tutti i fogli del ricorso sono contrassegnati dal solo numero “1”.

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8.1. Col primo motivo di ricorso i sigg.ri Giuseppe, Maria Catena e Tullio

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Udienza del 7 novembre 2008

1258 del 26/02/1982; Sez. 2, Sentenza n. 970 del 16/03/1976, e via
risalendo sino a Sez. 3, Sentenza n. 2727 del 05/11/1966).
Nel caso di specie non vi è contrasto alcuno sulle date in cui sono stati
proposti l’appello principale e quello incidentale, mentre la doglianza dei
ricorrenti riguarda unicamente la decisione con cui la Corte d’appello ha

8.3. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge (ovvero la nullità
processuale) il motivo è altrettanto infondato.
Il presente giudizio è iniziato con atto di citazione notificato il 3 agosto 1993.
Esso è quindi soggetto alle norme processuali vigenti prima delle modifiche
introdotte dalla legge 26.11.1990 n. 353, in virtù di quanto previsto dall’art.
90 della legge appena citata, il quale ha disposto che ai giudizi pendenti alla
data del 30 aprile 1995 continuassero ad applicarsi le disposizioni vigenti
anteriormente. E per “giudizi pendenti” devono intendersi, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, quelli nei quali la notificazione della
citazione davanti al giudice di primo grado sia avvenuta prima del
30.4.1995 (Sez. 2, Sentenza n. 11301 del 16/05/2007; Sez. 2, Sentenza n.
4005 del 18/02/2011).
Or bene l’art. 343, comma 1, c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche
introdotte dalla I. 353/90, stabiliva che “l’appello incidentale si propone
nella prima comparsa o, in mancanza di costituzione in cancelleria, nella
prima udienza”.

8.4. Stabilito dunque che l’appello incidentale della Ergo s.p.a. non poteva
ritenersi tardivo sol perché proposto in una comparsa depositata nella prima
udienza, resta da stabilire se essa possa ritenersi tardivo perché proposto
oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c..
I ricorrenti invocano una risposta affermativa, sostenendo la tesi secondo
cui la possibilità di proporre un appello incidentale tardivo è concessa
dall’art. 343 c.p.c. soltanto a chi intenda impugnare lo stesso capo della
sentenza già impugnato dall’appellante principale (così il ricorso, pagg. 1011).

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ritenuto tempestivo il gravame: dunque un tipico vizio di violazione di legge.

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Questa tesi è tuttavia erronea, per due ragioni.

8.4.1. La prima ragione è che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza
precedente il ricorso e che quindi sarebbe dovuta essere ben nota ai
ricorrenti, dirimendo i precedenti contrasti hanno stabilito che

parte contro cui è diretta (appellante principale, coappellante, coappellato),
e quale che sia il capo della sentenza impugnato (il medesimo impugnato
dall’appellante principale, ovvero uno diverso), in tutti i casi in cui
l’impugnazione principale

“metta in discussione l’assetto di interessi

derivante dalla sentenza”, sicché, se venisse accolta, “comporterebbe una
modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate”
dall’appellante incidentale (Sez. U, Sentenza n. 24627 del 27/11/2007; già
in precedenza, peraltro, sia Sez. U, Sentenza n. 652 del 23/01/1998, sia
Sez. U, Sentenza n. 4640 del 07/11/1989, Rv. 464074 avevano stabilito
che l’art. 334 cod. proc. civ. deve trovare applicazione con riguardo a
qualsiasi capo della sentenza impugnata in via incidentale, ancorché
autonomo rispetto a quello investito dall’impugnazione principale).
Alla luce di tale criterio è evidente che l’appello della sig.a Giuseppa
Carrubba, sollecitando una più cospicua liquidazione del danno, aveva
proprio lo scopo – per usare le parole delle Sezioni Unite – di modificare
l’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate

dalla Ergo

s.p.a.: e dunque consentiva a quest’ultima l’impugnazione incidentale
tardiva.

8.4.2. La seconda ed indipendente ragione per la quale il secondo motivo di
ricorso dei sigg.ri Vitellaro è infondato è che in ogni caso, anche a volere
aderire all’ormai abbandonato orientamento secondo cui l’impugnazione c.d.
autonoma non poteva proporsi tardivamente, ai sensi dell’art. 343 c.p.c.,
comunque quella proposta dalla Ergo s.p.a. non fu una “impugnazione
autonoma”.

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l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, quale che sia la

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Persino il pregresso ed abbandonato orientamento, che negava la possibilità
di proporre in via incidentale tardiva un’impugnazione autonoma, qualificava
quest’ultima come l’appello:
(a)

diretto contro una parta diversa da quella che ha proposto

l’impugnazione principale;

abbia formato oggetto della impugnazione principale “e che non sia con
questo in rapporto di dipendenza o connessione” (ex multis,

Sez. 1,

Sentenza n. 687 del 14/04/1965).
Non è invece autonoma, ma tardiva tout court ai sensi dell’art. 334 c.p.c.,
l’impugnazione proposta contro una statuizione contenuta nella sentenza
impugnata in via principale, e che sia “in rapporto di dipendenza o di
connessione” con la statuizione impugnata dall’appellante principale (Sez. 1,
Sentenza n. 993 del 24/05/1965; Sez. 2, Sentenza n. 9719 del
25/09/1990).
Nel nostro caso, l’appellante principale si dolse della quantificazione del
danno di cui aveva chiesto il risarcimento, e l’appellante incidentale
dell’affermazione della propria responsabilità concorrente: i due capi della
sentenza impugnata erano dunque in evidente rapporto di dipendenza,
posto che l’accoglimento del gravame sull’an avrebbe reso inopponibile alla
Ergo l’eventuale accoglimento del gravame anche sul quantum.
Pertanto l’appello della Ergo, investendo una statuizione strettamente
connessa a quella che aveva formato oggetto dell’appello principale, non
poteva qualificarsi come “autonomo”, ed anche ad aderire al vecchio e più
rigoroso orientamento che negava l’applicabilità dell’art. 343 c.p.c. alle
impugnazioni autonome, non poteva ritenersi tardivo.

9. Il secondo motivo di ricorso dei sigg.ri Giuseppe, Maria Catena e
Tullio Enzo Vitellaro.
9.1. Col secondo motivo di ricorso i sigg.ri Vitellaro allegano che la sentenza
impugnata sarebbe viziata sia da violazione di legge, sia da nullità
processuale, sia da vizio di motivazione (ex art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.).

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(b) oppure proposto contro un capo della sentenza diverso da quello che

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Espongono che la Corte d’appello avrebbe liquidato le spese processuali a
favore della propria dante causa, ed a carico delle parti soccombenti:
(-) in misura inferiore al minimo tariffario stabilito dal decreto ministeriale
applicabile ratione temporis (ovvero il d.m. 8.4.2004 n. 127);
(-) riducendo immotivatamente le somme richieste nella notula depositata

9.2. Nell’esame di tale doglianza è opportuno, per maggior chiarezza,
premettere alcuni generali princìpi e regole operative cui il giudice di merito
deve attenersi nella liquidazione delle spese di lite, per poi esaminare se nel
caso di specie tali princìpi e regole siano stati rispettati dalla Corte d’appello
di Caltanissetta.

9.3. L’art. 75 disp. att. c.p.c. impone al difensore, al momento del
passaggio in decisione della causa, di “unire al fascicolo di parte la nota
delle spese, indicando in modo distinto e specifico gli onorari e le spese, con
riferimento all’articolo della tariffa dal quale si desume ciascuna partita”.
La nota delle spese di cui all’art. 75 c.p.c. non è vincolante per il giudice, il
quale, nel condannare la parte soccombente alla rifusione delle spese in
favore di quella vittoriosa (art. 91, comma primo, c.p.c.), può tuttavia
escludere la ripetizione delle spese ritenute eccessive o superflue (art. 92,
comma primo, c.p.c.).

9.4. Le previsioni del codice di rito appena ricordate vanno integrate con
quanto disposto dall’art. 60 r.d.l. 27.11.1933, n. 1578 (convertito, con
modificazioni, in legge 22 gennaio 1934, n. 36), recante l’ordinamento della
professione di avvocato (applicabile ratione temporis al presente giudizio, ai
sensi dell’art. 1, comma 1, d. Igs. 1.12.2009 n.179, il quale ha sancito la
permanenza in vigore perché “indispensabile” del suddetto provvedimento).
L’art. 60, comma quarto, r.d.l. 1578/33 stabilisce che l’autorità giudiziaria
deve contenere la liquidazione delle spese entro i limiti del massimo e del
minimo stabiliti col decreto ministeriale di fissazione delle tariffe forensi.

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dai difensori in esito al giudizio di primo grado.

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Il successivo comma quinto, infine, consente al giudice di liquidare importi
superiori al massimo od inferiori al minimo tariffario: nel primo caso,
“quando il pregio intrinseco dell’opera lo giustifichi”;

nel secondo caso,

“quando la causa risulti di facile trattazione”. La riduzione, tuttavia, non può
essere inferiore alla metà (art. 4 I. 13.6.1942, n. 794).

giudice deve essere motivata”.

9.5. Dal blocco normativo appena riassunto discendono i seguenti corollari:
(a) quando il giudice liquida le spese secondo gli importi risultanti dalla
notula

ritualmente depositata, non è tenuto a particolari oneri di

motivazione, salvo che la congruità di essa non sia stata specificamente
contestata;
(b) quando, invece, il giudice ritiene di dovere avvalersi della facoltà di cui
all’art. 92, comma primo, c.p.c. (e cioè escludere la ripetizione delle spese
eccessive o superflue) ha l’onere di indicare:
(b’) quali spese abbia inteso ridurre od escludere;
(b”) quali ragioni le rendano eccessive o superflue (ex plurimis, Sez.
3, Sentenza n. 18906 del 08/08/2013; Sez. 6-2, Ordinanza n. 7293 del
30/03/2011; Sez. L, Sentenza n. 4404 del 24/02/2009; Sez. 3, Sentenza
n. 2748 del 08/02/2007; Sez. 5, Sentenza n. 13085 del 01/06/2006; Sez.
L, Sentenza n. 11483 del 01/08/2002; Sez. 2, Sentenza n. 8160 del
15/06/2001; Sez. 1, Sentenza n. 6816 del 02/07/1999, e via risalendo
sino alla sentenza “capostipite”, rappresentata da Sez. 3, Sentenza n. 196
del 10/01/1966; vale la pena aggiungere che la contraria opinione, espressa
isolatamente da Sez. 3, Sentenza n. 22347 del 24/10/2007, deve ritenersi
superata dalla giurisprudenza successiva e comunque non convincente,
soprattutto perché nella motivazione di quella sentenza la tesi qui rifiutata
venne formulata senza il sostegno di alcuna motivazione);
(c) analogamente, il giudice avrà l’obbligo di motivare la propria decisione ed in questo caso per espressa previsione di legge – quando ritenga di
liquidare gli onorari in misura superiore al massimo od inferiore al minimo

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Nell’una, come nell’altra ipotesi, la legge soggiunge che “la decisione del

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Udienza del 7 novembre 2008

(Sez. L, Sentenza n. 564 del 12/01/2011; Sez. L, Sentenza n. 27804 del

21/11/2008).

9.6. Nel caso di specie, la Corte d’appello non ha motivato in alcun modo la
propria decisione di riduzione delle spese di soccombenza rispetto a quelle

Tale statuizione del giudice di merito è evidentemente irrispettosa dei
princìpi elencati al § 9.5: in particolare di quello secondo cui il dissenso del
giudice dalle somme richieste con la notula o la liquidazione di importi
inferiori al minimo tariffario dev’essere espressamente motivata.

9.7. Rilevato il difetto assoluto di motivazione della sentenza impugnata, si
pone a questa Corte il delicato problema di stabilire se tale vizio imponga
ipso iure la cassazione con rinvio della sentenza impugnata senza alcun’altra
considerazione, ovvero se non sia possibile in questa sede di legittimità
verificare comunque la congruità delle spese liquidate dal giudice d’appello,
onde limitarsi a correggerne la motivazione, ai sensi dell’art. 384, ultimo
comma, c.p.c..
Ritiene questa Corte che a soluzione corretta sia la seconda.

9.8. L’art. 384, ultimo comma, c.p.c., stabilisce che “non sono soggette a
cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il
dispositivo sia conforme al diritto; in tal caso la Corte si limita a correggere
la motivazione”.
Tale norma è stata tradizionalmente interpretata nel senso che il potere
della Corte di cassazione di correggere la motivazione della sentenza
impugnata può essere esercitato solo quando una motivazione esista, ma
sia scorretta, e non già quando manchi del tutto: e ciò sul presupposto che
la mancanza della motivazione non permette di accertare se la pronuncia
impugnata sia stata motivata da erronee considerazioni giuridiche o da
valutazioni di fatto (Sez. 5, Sentenza n. 23328 del 09/11/2011; Sez. 2,
9…

Sentenza n. 2440 del 14/03/1988).

II

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domandate con l’appellante nella propria notula.

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Udienza del 7 novembre 2008

Tuttavia questo risalente principio non osta, nel nostro caso, ad una
integrazione della motivazione della sentenza impugnata, lasciandone fermo
il dispositivo.
Ciò per quattro ragioni.

della violazione dei minimi tariffari stabiliti dal decreto ministeriale
applicabile ratione temporis (ovvero il d.m. 8.4.2004 n. 127), e quindi
postulano un errore di diritto.
Per verificare se tale errore sussista, questa Corte dovrebbe dunque
compiere un giudizio di diritto, non un accertamento in fatto. In questa sede
infatti non si discute della spettanza delle suddette spese, o del corretto uso
da parte del giudice di merito del potere di compensarle o meno (statuizioni
le quali ostituiscono tipicamente valutazioni di fatto riservate al giudice di
merito), ma si discute unicamente della corrispondenza tra spese liquidate
in sentenza e spese liquidabili secondo la legge, il che costituisce una tipica
valutazione in diritto (tra le tante decisioni in tal senso, Sez. 2, Sentenza n.
3651 del 16/02/2007).
Se, dunque, all’esito di tale accertamento in diritto il quantum liquidato a
titolo di spese processuali dalla Corte d’appello dovesse rivelarsi corretto,
l’omessa motivazione da parte del giudice di merito potrà essere surrogata
in questa sede di legittimità, alla stregua di qualsiasi altro vizio d’una
motivazione che sostenga una decisione corretta.
Questo principio è già stato affermato da questa Corte, con riferimento
all’ipotesi in cui il giudice di merito provveda sulla domanda o sull’eccezione
proposta dalla parte, ma senza spiegare compiutamente le ragioni in diritto
della propria decisione, ovvero senza prendere in esame una questione di
diritto proposta dalla parte. Ricorrendo tale ipotesi, già in passato si è
stabilito che, ove la questione di diritto non esaminata dal giudice di merito
fosse comunque infondata, lo iato tra la richiesta della parte e la decisione
del giudice “deve essere colmato dalla Corte di Cassazione attraverso
l’impiego del potere di correzione della motivazione (art. 384, secondo
comma, cod. proc. civ.), integrando la decisione

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[di merito] mediante

9.8.1. La prima ragione è che i ricorrenti, col motivo in esame, si dolgono

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Udienza del 7 novembre 2008

l’enunciazione delle ragioni che la giustificano in diritto, senza necessità di
rimettere al giudice di rinvio il compito di dichiarare infondato in diritto il
motivo non esaminato” (così Sez. 1, Sentenza n. 3388 del 18/02/2005).
Il medesimo principio inoltre, sia pure in materia diversa da quella delle
spese processuali, è stato già condiviso anche da questa Sezione, allorché

traduce, automaticamente, in un vizio di omissione di pronuncia, con
conseguente annullamento con rinvio della decisione, quando [la domanda
di parte] avrebbe dovuto essere rigettata non essendo i fatti allegati dal
deducente di per sé idonei in diritto a sorregger[la], in tal caso lo iato
potendo essere colmato dalla Corte di cassazione attraverso l’impiego del
potere di correzione della motivazione ai sensi dell’art. 384, secondo comma,
cod. proc. civ.” (Sez. 3, Sentenza n. 743 del 23/01/2002).

9.8.2. La seconda ragione è il principio di economia processuale e di
ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 cost., alla luce del quale
deve essere interpretato l’art. 384 c.p.c. (in tal senso, Sez. 3, Sentenza n.
15810 del 28/07/2005; Sez. 5, Sentenza n. 1615 del 25/01/2008).
Tale principio renderebbe irragionevole cassare una sentenza non motivata,
per rinviarla al giudice di merito il quale, però, non potrebbe adottare un
decisum diverso da quello della decisione cassata.

9.8.3. La terza ragione è di ordine logico.
Come già visto, l’orientamento che nega la possibilità di applicazione dell’art.
384, comma 4, c.p.c., al cospetto d’una motivazione mancante, si fonda
sull’assunto secondo cui la mancanza della motivazione nella sentenza
impugnata non permette alla Corte di cassazione di accertare se la
pronuncia sia stata motivata da erronee considerazioni giuridiche o da
valutazioni di fatto (Sez. 5, Sentenza n. 23328 del 09/11/2011; Sez. 2,
Sentenza n. 2440 del 14/03/1988).
Questo orientamento, quale che ne sia la condivisibilità in iure, si è formato
con riferimento a fattispecie in cui il giudice di merito aveva omesso di
motivare decisioni che, in teoria, si sarebbero potute fondare tanto su

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ritenne che la mancanza di motivazione nella decisione impugnata “non si

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Udienza dei 7 novembre 2008

ragioni giuridiche, quanto su ragioni di fatto (ad es., la sussistenza o meno
della prova).
Quell’orientamento, quindi, non potrebbe trovare applicazione, per difetto
del necessario presupposto teorico, in un caso come il presente, nel quale
non esistono fatti controversi tra le parti, ma soltanto il dubbio sulla

9.8.4. La quarta ragione, infine, è di ordine sistematico.
Infatti, quale che fosse la soluzione che si volesse dare al problema dei
limiti entro i quali alla Corte di cassazione è consentito correggere od
integrare la motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384,
comma 4, c.p.c., tale soluzione non potrebbe non tenere conto della
specificità della statuizioni sulle spese di lite.
Nel giudizio di legittimità, il codice di procedura accorda ampi poteri alla
Corte di cassazione in questa materia: le è infatti consentito accertare e
liquidare non solo le spese del giudizio di legittimità, ma anche quelle dei
gradi di merito, quando la sentenza impugnata sia cassata senza rinvio (art.
385, comma 1, c.p.c.).
Questa norma costituisce espressione del generale principio di economia
processuale, in virtù del quale non è luogo a trasferire una causa dall’uno
all’altro giudice, quando il giudice rinviante potrebbe da sé solo svolgere le
attività richieste al giudice cui la causa è rinviata.
Or bene, se alla Corte di cassazione è riconosciuta la possibilità di
esaminare i fascicoli di merito e liquidare le relative spese processuali
quando il giudizio sia destinato a concludersi dinanzi ad essa a causa
dell’erroneità della decisione impugnata, a fortiori tale possibilità dovrà
ritenersi sussistente quando il giudizio si arresti nella sede di legittimità non
perché la decisione impugnata fosse erronea e da cassare senza rinvio, ma
perché era corretta nel decisum.
Nel primo caso, infatti, la Corte di cassazione è chiamata ad una
liquidazione ex novo delle spese di lite, e comunque ad un riparto difforme
da quello adottata nella sentenza cassata senza rinvio.

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correttezza in iure degli importi liquidati a titolo di spese processuali.

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Udienza del 7 novembre 2008

Nel secondo caso, per contro, la Corte è chiamata a valutare la correttezza
di una liquidazione già effettuata dal giudice di merito.
Ora, poiché tanto nel caso di cassazione senza rinvio quanto nel caso di
rigetto del ricorso il processo si arresta, sarebbe contrario ad ogni logica
ritenere che – dati due esiti processuali ad progressum litis impedientes – il

alla Corte quando le spese si tratti di liquidarle ex novo, e le sia invece
negato quando si tratti di verificare la correttezza d’una liquidazione già
compiuta. Se così fosse, infatti, si perverrebbe all’assurdo di imporre il
rimedio più grave (la cassazione con rinvio) dove il vizio è meno grave, e
viceversa.

9.9. Deve pertanto concludersi su questo punto affermando il principio
secondo cui, quando sia impugnata dinanzi alla Corte di cassazione la
liquidazione delle spese compiuta dal giudice di merito, per avere questi
ridotto senza motivazione gli importi richiesti con la notula ritualmente
depositata, è consentito alla Corte di cassazione, ove non siano necessari
accertamenti di fatto, verificare la correttezza della suddetta liquidazione e,
in caso positivo, rigettare il ricorso integrando la motivazione della sentenza
impugnata, in applicazione dell’art. 384, comma 4, c.p.c..

10. Verifica delle spese liquidate dal giudice di appello.
10.1. Avendo l’appello principale ad oggetto la domanda di liquidazione di
un maggior importo a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale,
quantificato dalla Corte d’appello in euro 5.199,71, il valore della causa ai
fini dell’individuazione dello scaglione tariffario applicabile va individuato in
base al decisum e non al petitum (Sez. L, Sentenza n. 4966 del
08/03/2005). Sarà quindi applicabile nella specie lo scaglione di valore
compreso tra 2.600,01 e 5.200 euro, di cui al d.m. 127/04.
Il difensore della sig.a Giuseppa Carrubba, in esito al giudizio di secondo
grado, depositò una nota spese ex art. 75 disp. att. c.p.c., trascritta alle pp.
13-14 del ricorso.

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potere di esaminare direttamente gli atti di merito sia dalla legge accordato

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Udienza dei 7 novembre 2008

Tale nota spese non è conforme alle prescrizioni del d.m. 8.4.2004 n. 127,
applicabile ratione temporis.

10.2. Per quanto riguarda i diritti di avvocato si rilevano le seguenti mende.

Nel caso di specie, infatti, il difensore dell’appellante principale, che l’aveva
assistita anche in primo grado, nel giudizio di appello non ha fatto che
reiterare la domanda di risarcimento del danno c.d. morale, disattesa dal
Tribunale. Vi è stata, dunque, una coincidenza totale quanto a presupposti
di fatto e questioni di diritto tra la citazione in primo grado e quella in
appello. In una simile fattispecie processuale, l’esazione del diritto per la
“archivio” della pratica e l’ “esame” della stessa costituirebbero una
evidente duplicazione, a fronte della quale non è riscontrabile una attività
concretamente svolta.

10.2.2. La voce “corrispondenza informativa” non è dovuta. E’ infatti
principio pacifico quello secondo cui l’esigibilità dei diritti spettanti per la
corrispondenza informativa previsti dall’art. 22 della Tabella B allegata alla
tariffa professionale di cui al d.m. 127/04 “presuppone necessariamente la
documentazione e, comunque, la prova non equivoca dell’effettività della
prestazione professionale, la quale non può farsi derivare dalla sola
esistenza del rapporto di clientela, questo non implicando necessariamente
ed indefettibilmente un’attività informativa diversa dalle consultazioni con il
cliente” (così Sez. 2, Sentenza n. 344 del 10/01/2011, Rv. 616386; nello
stesso senso, Sez. L, Sentenza n. 13893 del 23/07/2004 (Rv. 574942); Sez.
L, Sentenza n. 13539 del 15/09/2003, Rv. 566867; Sez. 3, Sentenza n.
738 del 23/01/2002, Rv. 551751; Sez. L, Sentenza n. 6283 del
12/12/1985, Rv. 443392).
Vale la pena aggiungere che la diversa opinione manifestata da Sez. L,
Sentenza n. 21841 del 17/10/2007, Rv. 599551, non fa sussistere in realtà
alcun contrasto giurisprudenziale, in quanto essa venne formulata

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10.2.1. Le voci “posizioni ed archivio” ed “esame pratica” non sono dovute.

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Udienza del 7 novembre 2008

limitatamente all’assistenza giudiziale prestata nelle cause soggette al rito
del lavoro.

10.2.3. La voce “esame documentazione avversaria” non è dovuta, non
avendo alcuna delle parti prodotto documenti nuovi in appello, né avendolo

10.2.4. La voce “vacazioni” non è dovuta, in quanto il compenso per
vacazioni spetta solo con riferimento alle attività per le quali sia
espressamente previsto (così la voce n. 77 della tariffa), nessuna delle quali
rientra tra le voci elencate nella notula.

10.2.5. La voce “esame n. 6 ordinanze” non è dovuta, in quanto del tutto
estranea alla Tabella B allegata al d.m. 127/04.
La voce n. 15 della Tariffa infatti subordina il compenso all’esame del
“dispositivo di ogni sentenza, decreto o ordinanza”. La circostanza che siano
stati accomunati in una unica voce i decreti, le ordinanze e le sentenze, così
come il chiaro riferimento al “dispositivo” di tali provvedimenti, rendono
evidente che il diritto è dovuto solo per l’esame di provvedimenti che
abbiano un contenuto decisorio, perché altrimenti mancherebbe un
“dispositivo” in senso tecnico da esaminare.
Nel caso in esame, invece, le ordinanze di mero rinvio pronunciate dalla
Corte d’appello non hanno un contenuto decisorio, non hanno un
“dispositivo”, e non rientrano dunque nella previsione di cui alla voce 15
della Tariffa.

10.2.6. Le voci “precisazione delle conclusioni” e “esame conclusioni
avverse” non sono dovute per il giudizio d’appello, quando in esso vengano
reiterate le domande o le eccezioni già sollevate in primo grado (così Sez. L,
Sentenza n. 21841 del 17/10/2007).

10.2.7. La voce “collazione atti” non è dovuta nella misura indicata (16 euro
per 5 fogli), ma nella minor misura di euro 8 per cinque fogli (e quindi 40

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richiesto.

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Udienza del 7 novembre 2008

euro), ai sensi della voce 80 della Tariffa. Questa, infatti, distingue tra la
collazione per mezzo di “dattilografia” e quella per mezzo di “stampa”, e la
redazione di atti mediante l’uso di word processor rientra ovviamente nella
prima categoria.

euro per ogni ulteriore destinatario (voce 23 della tariffa): dunque nel
nostro caso, in cui l’appello si sarebbe dovuto notificare a 4 persone, sono
dovuti 37 euro, e non 45 come richiesto dai ricorrenti.

10.2.9. Per l’esame di ogni relata di notifica è dovuto un “diritto” di 13 euro,
(voce 24 della tariffa): dunque nel nostro caso sono dovuti 52 euro, e non
65 come richiesto dai ricorrenti.

10.3. Per quanto concerne, invece, i diritti di avvocato, deve in primo luogo
rilevarsi come correttamente – sebbene implicitamente, per quanto si dirà la Corte d’appello ha applicato i minimi tariffari.
Il giudizio infatti ha avuto ad oggetto una fattispecie tipicamente seriale,
che non presentava alcuna difficoltà né teorica, né pratica, verosimilmente
impostata in base ad atti predisposti in base a format preimpostati, e
coinvolgente questioni di diritto arcinote.
Per quanto riguarda gli onorari di avvocato, la notula trascritta alle p. 13-14
del ricorso presenta le seguenti mende.

10.3.1. La voce “assistenza udienze di trattazione” non è dovuta, non
essendosi svolta nel giudizio di appello alcuna udienza di “trattazione” in
senso tecnico, e cioè nella quale si sia discussa la causa.

10.3.2. La voce “discussione” non è dovuta, per la stessa ragione indicata al
§ precedente.

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10.2.8. Per la richiesta di notifica è dovuto un “diritto” di 13 euro, più 8

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Udienza del 7 novembre 2008

10.4. La comparazione degli onorari richiesti dagli odierni ricorrenti, e di
quelli liquidati dal giudice d’appello è riassunta, per maggior chiarezza, nella
seguente tabella:

Spese giudiziali dovute ai sigg.ri Vitellaro

N.

Compenso

Prestazione

Richiesto

Dovuto

1

posizione archivio

52

non dovuto

2

esame pratica

13

non dovuto

3

atto di appello

52

52

4

procura ed autentica

13

13

5

richiesta notifica

45

37

6

esame notifica

65

52

7

consultazioni col cliente

52

52

8

corrispondenza informativa

52

non dovuto

9

formazione fascicolo

13

13

10

iscrizione causa a ruolo

13

13

11

costituzione in giudizio

13

13

12

esame comparsa avversaria

52

52

52

non dovuto

esame documentazione
13

avversaria

14

partecipazione a 6 udienze

156

156

15

vacazioni

90

non dovuto

16

esame n. 6 ordinanze

78

non dovuto

17

precisazione conclusioni

52

non dovuto

18

esame conclusioni avversarie

104

non dovuto

19

ritiro fascicolo

13

13

20

assegnazione causa a sentenza

13

13

52

52

26

26

redazione comparsa
21
22

conclusionale
redazione nota spese

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Diritti

R.G.N. 8396/08
Udienza del 7 novembre 2008

23

collazione
Totale diritti

80

40

1.151

597

24

studio della controversia

125

125

25

consultazioni con la cliente

65

65

26

redazione atto di appello

110

110

27

assistenza udienze di trattazione

160

non dovuto

28

redazione comparsa

295

295

29

discussione

105

non dovuto

860

595

Totale onorari

Totale generale

1.192

10.5. La liquidazione delle spese di lite compiuta dalla Corte d’appello (pari
ad euro 1.200, a fronte di diritti ed onorari effettivamente spettanti per euro
1.192) è stata dunque conforme a diritto. L’omessa indicazione delle ragioni
per le quali la Corte d’appello ha disatteso la

notula

depositata

dall’appellante principale resta corretta dalle osservazioni svolte supra, ai §§
10 e ss., in applicazione della previsione di cui all’art. 384, comma 4, c.p.c..

11. Il terzo motivo di ricorso dei sigg.ri Giuseppe, Maria Catena e
Tullio Enzo Vitellaro.
11.1. Col terzo motivo di ricorso i sigg.ri Vitellaro lamentano la violazione di
legge (art. 360, n. 3, c.p.c.), con riferimento agli artt. 1218, 1219, 2043,
1223, 1224 c.c..
Lamentano che il giudice d’appello, pur accogliendo il gravame ed
ampliando la misura del risarcimento determinata in primo grado, ha
condannato i debitori al pagamento degli interessi legali sulla somma
dovuta, “dalla data della sentenza di primo grado ad oggi”, invece che dalla
data in cui venne commesso il fatto illecito.
In tal modo, proseguono i ricorrenti, la Corte d’appello ha disatteso i princìpi
affermati dalle Sezioni Unite con la nota sentenza n. 1712 del 17.2.1995, la
quale ha stabilito che il debitore di una obbligazione aquiliana deve, nel caso

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Onorari

R.G.N. 8396/08
Udienza del 7 novembre 2008

di ritardato adempimento, gli interessi compensativi sulla somma via via
rivalutata, con decorrenza dalla data dell’illecito.

11.2. Il Tribunale di Gela, accogliendo la domanda attorea, determinò il
risarcimento dovuto alla sig.a Giuseppa Carrubba rivalutandolo alla data

Questa somma comprendeva sia il capitale rivalutato (lire 24.925.000); sia
il danno da mora (lire 15.347.202), correttamente calcolato secondo i criteri
stabiliti da Cass. 1721/95.
Il danno da mora venne calcolato con decorrenza dalla data dell’illecito, sino
alla data della liquidazione (cfr. la sentenza di I grado, p. 8).

11.3. La Corte d’appello ritenne la sentenza di I grado erronea, nella parte
in cui aveva omessa di liquidare anche il c.d. danno morale.
Ritenne di dover liquidare questo danno nella misura del 25% della somma
liquidata a titolo di risarcimento del danno biologico.
Applicò dunque questa percentuale sulla somma di euro 20.798,86, che per
quanto detto rappresentava il coacervo del danno biologico e degli interessi
compensativi, come liquidati dal Tribunale.
Ne ricavò l’importo di euro 5.199,71: e dunque una somma che
rappresentava sia il 25% del danno biologico, sia il 25% del danno da mora
maturato tra l’illecito e la sentenza di primo grado.

11.4. Il giudice d’appello, quindi, ha rideterminato l’importo complessivo del
risarcimento nella somma di euro 25.998,57: tale somma rappresentava il
coacervo del capitale e degli interessi compensativi (e cioè del danno da
ritardato adempimento) computato con i criteri stabiliti da Cass. 1712/95
fino alla data della sentenza di primo grado.
Così monetizzato il credito risarcitorio, la Corte d’appello ha quindi
condannato i debitori al pagamento degli interessi legali su tale somma,
dalla data della sentenza di primo grado in poi.

11.5. Tale decisione è ineccepibile.

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della liquidazione, e quantificandolo in euro 20.798,86.

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Udienza del 7 novembre 2008

Per effetto della decisione di primo grado, infatti, il credito di valore vantato
t

dall’attrice era stato monetizzato e si era trasformato in un credito di valuta,
iniziando a produrre interessi legali dalla data della sentenza.
La Corte d’appello, non dovendo procedere ad una liquidazione ex novo del
danno, ma dovendo soltanto integrare la liquidazione compiuta dal

c.d. danno morale, attualizzato alla data della sentenza di primo grado e
comprensivo, per quanto si è detto, anche degli interessi compensativi dalla
data del fatto a quella in cui l’obbligazione di valore si era convertita in
obbligazione di valuta, e cioè alla data della sentenza di primo grado.
Fatto ciò, ha altrettanto correttamente accordati alla creditrice gli interessi
legali, ex art. 1283 c.c., dalla data della sentenza di primo grado, perché è
da tale data che il credito risarcitorio, divenendo liquido, ha iniziato a
produrre interessi.
Se la Corte d’appello avesse accordato gli interessi legali surimporto
liquidato a titolo di danno morale dalla data del fatto, come preteso dagli
odierni ricorrenti, avrebbe liquidato due volte il danno da mora per il
periodo tra l’illecito e la sentenza di primo grado: per tale periodo, infatti,
gli interessi legali liquidati dalla Corte d’appello si sarebbero sommati a
quelli già liquidati, sul credito rivalutato anno per anno, dal Tribunale,
secondo il prospetto di cui a p. 9 della sentenza di primo grado.

12. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti in
solido, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c..
Nei rapporti interni tra i coobbligati esse si ripartiranno in parti uguali.

P.q.m.
la Corte di cassazione:
-) dichiara inammissibile il ricorso proposto dall’avv. Antonio Santagati;
-) rigetta il ricorso proposto dai sigg.ri Giuseppe Vitellaro, Maria Catena
Vitellaro e Tullio Enzo Vitellaro;


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Tribunale, del tutto correttamente ha accordato alla creditrice il ristoro per il

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Udienza del 7 novembre 2008

-) condanna tutti i ricorrenti in solido alla rifusione nei confronti della Ergo
Assicurazioni s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si
liquidano in euro 2.200, di cui 200 per spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile

della Corte di cassazione, addì 7 novembre 2013.

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