Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17609 del 05/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/09/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 05/09/2016), n.17609

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. LOMBNARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.S. e P.A., rappresentati e difesi, per

procure speciali a margine del ricorso, dall’Avvocato FUNDARO’

Antonina (detta Antonella), domiciliata in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria civile della Corte suprema di cassazione;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è

domiciliato per legge;

– resistente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Caltanissetta n.

633/2014, depositato il 12 giugno 2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

maggio 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Caltanissetta il 10 settembre 2012, S.S. e P.A. chiedevano la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento dei danni non patrimoniali derivati dalla irragionevole durata di un giudizio amministrativo iniziato dinnanzi al TAR Sicilia con ricorso depositato il 16 giugno 1998, non ancora concluso alla data della domanda;

che la Corte d’appello, rilevato che il giudizio aveva avuto una durata di circa quattordici anni, detratti tre anni di durata ragionevole, accertava un ritardo di undici anni, in relazione al quale liquidava un indennizzo di 3.850,00 Euro, applicando il criterio di 350,00 Euro per anno di ritardo in considerazione dell’oggetto del giudizio, della presentazione della istanza di prelievo solo nel maggio 2011 e dell’esito del giudizio stesso (conclusosi con sentenza di rigetto del 24 gennaio 2013), e compensava per metà le spese del giudizio;

che avverso questo decreto i ricorrenti hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria;

che l’intimato Ministero dell’economia e delle finanze non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

che con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 art. 111 Cost., 6 CEDU, in combinato disposto tra loro e in relazione agli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c., dolendosi della esiguità dell’indennizzo liquidato;

che il motivo è infondato;

che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, se è vero che il giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane, tuttavia, in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto in motivazione (Cass. n. 18617 del 2001; Cass. n. 17922 del 2010);

che in una recente pronuncia (Cass. n. 18332 del 2015), questa Corte ha ritenuto che i principi affermati, alla luce anche delle indicazioni provenienti dalla Corte europea, debbano però essere integrati con gli ulteriori approdi della giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato, in via generale, che “in tema di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, il giudice, nel determinare la quantificazione del danno non patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, può scendere al di sotto del livello di “soglia minima” là dove, in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto, parametrata anche sulla condizione sociale e personale del richiedente, l’accoglimento della pretesa azionata renderebbe il risarcimento del danno non patrimoniale del tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del pregiudizio sofferto” (Cass. n. 12937 del 2012);

che questa Corte, inoltre, dopo aver rilevato che, con riguardo alla liquidazione dell’indennizzo da irragionevole durata dei giudizi amministrativi, sulla base dei criteri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (decisioni Volta et autres c. Italia, del 16 e Falco et autres c. Italia, del 6 aprile era ritenuto (Cass., 18 giugno 2010, n. 14753; febbraio 2011, n. 3271; Cass., 13 aprile 2012, n. 5914), che fosse possibile liquidare un indennizzo pari a 500,00 Euro per anno di ritardo, ha ulteriormente affermato che, per l’indicata tipologia di giudizi, il criterio di 500,00 Euro per anno costituisce l’adeguato indennizzo per la violazione della ragionevole durata del processo e che da esso il giudice del merito possa discostarsi con adeguata motivazione, evidenziando le specificità del caso, con riguardo sia alla natura e alla rilevanza dell’oggetto del giudizio, sia al comportamento processuale delle parti (Cass. n. 20617 del 2014; Cass. n. 20862 del 2014; Cass. n. 5912 del 2015);

che, alla luce di questo approdo, nella citata sentenza questa Corte ha ritenuto che il decreto impugnato si sottraesse alle censure proposte, atteso che, in presenza di sicuri indici di un sostanziale riduzione del patema d’animo, aveva liquidato un indennizzo forfettario ed equitativo, la cui idoneità ad assicurare un ristoro per la irragionevole durata del processo andava valutata con riguardo, non ai criteri generali di liquidazione di tale tipo di indennizzo (750,00 Euro per i primi tre anni di ritardo e 1.000,00 Euro per ciascuno degli anni successivi), ma all’ordinario criterio di liquidazione dell’indennizzo per la irragionevole durata dai giudizi amministrativi;

che, alla luce di tale principio, la esiguità dell’interesse manifestato dalle parti, le quali solo a distanza di tredici anni dal ricorso introduttivo hanno presentato istanza di prelievo, nonchè l’esito del giudizio stesso ben possono costituire ragioni giustificatrici di una significativa riduzione degli ordinari criteri di liquidazione dell’indennizzo da irragionevole durata;

che, del resto, i ricorrenti si limitano ad invocare l’applicazione dei criteri di liquidazione, ma non svolgono alcuna specifica censura in ordine alle ragioni indicate a fondamento della decisione;

che con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, dolendosi della disposta parziale compensazione, in assenza di ragioni eccezionali idonee a giustificarla;

che il motivo è fondato, alla luce del principio per cui “nel procedimento d’equa riparazione disciplinato dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, la liquidazione dell’indennizzo in misura inferiore a quella richiesta dalla parte, per l’applicazione, da parte del giudice, di un moltiplicatore annuo diverso da quello invocato dall’attore, non integra un’ipotesi di accoglimento parziale della domanda che legittima la compensazione delle spese, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, poichè, in assenza di strumenti di predeterminazione anticipata del danno e del suo ammontare, spetta al giudice individuare in maniera autonoma l’indennizzo dovuto, secondo criteri che sfuggono alla previsione della parte, la quale, nel precisare l’ammontare della somma richiesta a titolo di danno non patrimoniale, non completa il petitum della domanda sotto il profilo quantitativo, ma soltanto sollecita, a prescindere dalle espressioni utilizzate, l’esercizio di un potere ufficioso di liquidazione” (Case. n. 14976 del 2015);

che la Corte d’appello, all’evidenza, si è discostata da tale principio, avendo ravvisato, nella specie, una inesistente ipotesi di reciproca soccombenza;

che, dunque, rigettato il primo motivo di ricorso ed accolto il secondo, il decreto impugnato deve essere cassato in relazione alla censura accolta;

che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, provvedendosi ad elidere dal decreto impugnato la compensazione delle spese per la metà;

che, quanto alle spese del giudizio di cassazione, in considerazione del parisiale accoglimento del ricorso, le stesse possono essere compensate per metà e liquidate, per l’intero, nella misura di Euro 892,50 per compensi, oltre accessori di legge e spese forfetarie;

che le spese, come liquidate, vanno poi distratte in favore del difensore del ricorrente, dichiaratosi antistatario.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo; cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo la causa nel merito, elide dal decreto impugnato la statuizione di compensazione delle spese per la metà; condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento di metà delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, per l’intero, in Euro 892,50, oltre accessori di legge e spese forfetarie, dichiarando compensata la restante metà; dispone la distrazione delle spese in favore del difensore del ricorrente, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2016

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