Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17607 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. I, 28/06/2019, (ud. 06/06/2019, dep. 28/06/2019), n.17607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19289/2014 r.g. proposto da:

T.G., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dagli

Avvocati Marco Ascoli e Riccardo Chilosi, con cui elettivamente

domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla Piazza

Martiri di Belfiore n. 2;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., in liquidazione (cod. fisc. (OMISSIS)),

con sede in (OMISSIS), in persona del curatore Dott.ssa

B.M., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a

margine della pagina 2 del controricorso, dall’Avvocato Sergio

Granata, con cui elettivamente domicilia in Roma, al Viale Parioli

n. 79/H, presso lo studio dell’Avvocato Pio Corti;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VARESE depositato il 19/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/06/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. T.G. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso il decreto del Tribunale di Varese del 17/19 giugno 2014, che rigettò l’opposizione proposta dal primo, L. Fall., ex art. 98, allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. e dichiarò inammissibile la domanda riconvenzionale ivi spiegata dalla curatela fallimentare. Quest’ultima resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

1.1. Per quanto qui di interesse, quel tribunale ritenne: i) indimostrata la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato tra il T. e la (OMISSIS) s.r.l. in bonis, dall’opponente posta a fondamento della sua richiesta di insinuazione, accertando, invece, che il primo era divenuto, almeno dal 2009, amministratore di fatto della seconda; ii) inammissibile la riconvenzionale della curatela fallimentare, volta ad ottenere la condanna del T. alla restituzione di quanto da lui percepito a titolo di retribuzione, atteso che la natura inequivocabilmente impugnatoria del giudizio di opposizione allo stato passivo precludeva la proponibilità, in detta sede, di domande nuove.

2. I formulati motivi prospettano, rispettivamente:

I) “Nullità del provvedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4”, per l’asserita esistenza di un “insanabile contrasto emerso tra dispositivo e motivazione” del decreto impugnato. Il tribunale, invero, nel dispositivo, aveva (correttamente) concluso per la inammissibilità delle domande riconvenzionali formulate dalla curatela, mentre, in motivazione, aveva comunque (ed erroneamente) esaminato il merito di una di esse: precisamente, quella riguardante l’accertamento della “veste di amministratore (unico) di fatto rivestita dal T.”, su cui si era impropriamente pronunciato “sulla base, tra l’altro, di documenti e prove testimoniali valutati… in palese contrasto con i più elementari principi di diritto, attribuendo alla decisione assunta un’individualità, un’autonomia ed un’indipendenza, anche per diversità di presupposti di fatto e di diritto, tale da fare stato ex art. 2909 c.c., se non impugnata, tra le parti” (cfr. pag. 8 del ricorso);

II) “Violazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3”, in particolare degli artt. 246 e 116 c.p.c., per avere il tribunale basato, “seppure inammissibilmente, l’accertamento della qualifica di amministratore di fatto in capo a T.G. in via pressochè esclusiva sulla testimonianza resa da T.C. al curatore ed all’udienza del 7.11.2013, senza tenere in alcuna considerazione l’eccezione – prontamente sollevata dall’odierno ricorrente – di incapacità ex art. 246 c.p.c. e/o quanto meno di inattendibilità, ex art. 116 c.p.c., di detto teste in quanto direttamente coinvolto, e, soprattutto, unica ed esclusiva responsabile del dissesto di (OMISSIS) s.r.l.” (cfr. pag. 10 del ricorso);

III) “Omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, sostanzialmente ascrivendosi al provvedimento impugnato un’errata e falsa interpretazione delle risultanze processuali, con particolare riferimento alle deposizioni rese ante causam alla curatela.

3. Il primo motivo è palesemente infondato.

3.1. Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente precisato che il contrasto tra motivazione e dispositivo che determina la nullità della decisione ricorre solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, nel suo complesso, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale (cfr., ex multis, Cass. n. 26074 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 22433 del 2017; Cass. n. 16488 del 2006; Cass. n. 17392 del 2004; Cass. n. 10129 del 1999). Nella specie, però, una tale situazione evidentemente non sussiste.

3.1.1. Posto, infatti, che nel dispositivo del decreto impugnato sono pronunciati il rigetto della opposizione L. Fall., ex art. 98, proposta da T.G. e la declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale ivi spiegata dalla curatela fallimentare, è sufficiente rilevare che, mediante quella opposizione, l’odierno ricorrente aveva insistito per l’insinuazione al passivo del fallimento (OMISSIS) s.r.l. del proprio complessivo credito di Euro 19.852,85, di cui Euro 5.136,83 per retribuzione relativa alla mensilità di maggio 2012 ed Euro 14.716,06 per TFR, negatagli dal giudice delegato sul presupposto che “l’attività svolta dall’istante doveva qualificarsi non come attività di lavoro subordinato, bensì come attività di amministratore di fatto della società fallita…” (cfr. pag. 2 del ricorso). Incombeva, pertanto, sull’opponente, in quella sede, l’onere di dimostrare l’allegata ragione giustificativa della propria pretesa, e, dunque, provare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato dal medesimo intrattenuto con la (OMISSIS) s.r.l. in bonis, negato dalla curatela fallimentare fin dalla precedente fase di verifica del passivo innanzi al giudice delegato. Prova che il tribunale ha ritenuto non fornita (cfr. pag. 2-4 del decreto impugnato), avendo accertato, all’esito della compiuta istruttoria orale e documentale, che il T., almeno dal 2009, aveva assunto la qualità di amministratore di fatto della menzionata società. La conferma della mancata ammissione al passivo, dunque, poggia, affatto chiaramente, sulla ritenuta carenza di prova del fatto costitutivo dell’invocato credito.

3.1.2. L’inammissibilità della domanda riconvenzionale della curatela fallimentare, invece, è stata giustificata esclusivamente mediante il richiamo all’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la L. Fall., art. 99,nel testo novellato dapprima dal D.Lgs. n. 5 del 2006, e successivamente dal D.Lgs. n. 169 del 2007, configurando il giudizio di opposizione allo stato passivo in senso inequivocabilmente impugnatorio, esclude l’ammissibilità di domande nuove, non proposte nel grado precedente, quali le domande riconvenzionali, non essendo tali domande previste dal comma 5 di tale disposizione, il quale contiene la precisa indicazione del contenuto della memoria difensiva del curatore fallimentare e specificamente delle difese che in quella sede devono essere svolte a pena di decadenza, comprensiva delle eccezioni e delle prove, mentre non fa menzione di eventuali domande riconvenzionali (cfr. Cass. n. 6900 del 2010; Cass. n. 8929 del 2012; Cass. n. 19003 del 2017).

3.1.3. E’ palese, dunque, alla stregua di quanto fin qui riferito, che nessuna contraddittorietà tra dispositivo e motivazione del provvedimento impugnato, nei sensi precisati dalla richiamata giurisprudenza di legittimità, sia configurabile nella fattispecie in esame.

4. Il secondo motivo è complessivamente inammissibile.

4.1. Rileva, infatti, il Collegio che, secondo un principio generale costantemente ricorrente nella giurisprudenza di legittimità, l’incapacità a deporre prevista dall’art. 246 c.p.c., si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., così da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia che ivi è in discussione, non avendo, invece, rilevanza l’interesse di fatto ad un determinato esito del giudizio stesso – salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione dell’attendibilità del teste -, nè un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio (cfr., ex aliis, Cass. n. 167 del 2018; Cass. n. 21418 del 2015; Cass. n. 9353 del 2012; Cass. n. 5079 del 1990; Cass. n. 805 del 1978).

4.1.1. Inoltre, la valutazione della sussistenza, o meno, dell’interesse che dà luogo ad incapacità a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., è rimessa, così come quella riguardante l’attendibilità dei testi e la rilevanza delle deposizioni, al giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivata (cfr., ex multis, Cass. n. 167 del 2018; Cass. n. 1188 del 2007; Cass. n. 1101 del 2006; Cass. n. 15526 del 2000; Cass. n. 17630 del 2010, in motivazione).

4.1.2. Infine, si è chiarito che la nullità della testimonianza resa da persona incapace (in quanto portatrice di un interesse che avrebbe potuto legittimare il suo intervento in giudizio) deve essere eccepita subito dopo l’espletamento della prova, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2 (salvo che il difensore della parte interessata sia stato assente all’assunzione del mezzo istruttorio, nel qual caso la nullità può essere eccepita nell’udienza successiva), sicchè, in mancanza di tempestiva eccezione, deve intendersi sanata, senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare, proposta a norma dell’art. 246 c.p.c., possa ritenersi comprensiva dell’eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione. Ove poi l’eccezione di nullità della testimonianza resa dall’incapace venga respinta, la parte interessata ha l’onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi la medesima, in caso contrario, ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (cfr. Cass. n. 23896 del 2016; Cass. n. 21670 del 2013; Cass. n. 23054 del 2009; Cass. n. 8358 del 2007; Cass. n. 2995 del 2004).

4.2. Ne consegue che, qualora la parte, in sede di ricorso per cassazione, deduca la violazione dell’art. 246 c.p.c., senza tuttavia indicare, come concretamente avvenuto nella specie, anche agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di aver sollevato tempestiva eccezione di nullità della testimonianza comunque resa, e di aver riproposto la stessa eccezione nel prosieguo del giudizio, deve ritenersi comunque sanata l’eventuale nullità derivante dall’incapacità dei testi per l’irritualità della relativa eccezione.

4.3. A tanto deve soltanto aggiungersi che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. n. 16467 del 2017; Cass. n. 16056 del 2016).

5. Il terzo motivo è parimenti inammissibile.

5.1. Infatti, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata un decreto decisorio reso il 19 giugno 2014), oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”, tale dovendosi considerare: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); il) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

5.2. Le argomentazioni oggi esposte, sul punto, dal ricorrente si risolvono, invece, sostanzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale, una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dal tribunale lombardo: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

6. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunciando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il T. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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