Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17607 del 14/07/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. VI, 14/07/2017, (ud. 24/05/2017, dep.14/07/2017),  n. 17607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17176-2014 proposto da:

S.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

AURELIANA, 63, presso lo studio dell’avvocato SARA DI CUNZOLO, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE,

(80078750587), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO

MARITATO, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO e GIUSEPPE MATANO;

– resistente con procura –

avverso la sentenza n. 1730/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 30/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/5/2017 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

RILEVATO

che:

– con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Salerno, S.M.C., bracciante agricola, conveniva in giudizio l’I.N.P.S. contestando la fondatezza e legittimità dei provvedimenti con i quali l’Istituto aveva disconosciuto i rapporti di lavoro alle dipendenze dell’azienda agricola Sa.Gi. per gli anni 2004, 2005 e 2007. Il Tribunale rigettava la domanda. A seguito di impugnazione da parte della S., la Corte di appello di Salerno, per quanto di interesse nel presente giudizio, confermava la pronuncia di prime cure. Riteneva la Corte territoriale infondate le censure dell’appellante relative alla attendibilità dei testi escussi ed alla idoneità delle dichiarazioni dai medesimi rese a contrastare le emergenze del verbale ispettivo;

– ricorre per cassazione S.M.C., affidandosi a tre motivi;

– l’I.N.P.S. ha depositato procura in calce al ricorso notificato;

– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

– la ricorrente ha depositato memoria;

– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con i motivi è lamentata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 2699 e 2700 c.c. anche in relazione all’art. 116 c.p.c. e degli artt. 4 in combinato disposto con il 38 e 24 Cost. nonchè art. 2729, comma 1, e artt. 115 e 116 c.p.c.) nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Si contesta la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che nessun elemento probatorio fosse stato offerto dalla parte privata per inficiare le risultanze dell’accertamento ispettivo ed ha considerato del tutto inidonee a tal fine la prova testimoniale a mezzo di braccianti inattendibili in quanto egualmente coinvolti nella vicenda oggetto dell’accertamento ispettivo. Si censura, poi, sotto il profilo della violazione dell’art. 2700 c.c. e art. 115 c.p.c., l’attribuita fede privilegiata al verbale redatto dagli ispettori anche in ordine alla veridicità degli accertamenti eseguiti dai verbalizzanti. Si rileva che le risultanze del verbale ispettivo devono valutarsi alla stregua di semplici presunzioni e che, nello specifico, l’attività svolta dalla S., a prescindere dall’esito della prova testimoniale, era comunque compatibile con gli elementi presuntivi ricavabili dallo stesso verbale;

– i motivi, nel complesso considerati, presentano profili di inammissibilità e sono comunque manifestamente infondati;

– la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (Cass., sez. un., n. 16598/2016, n. 11892/2016);

– la violazione dell’art. 116 c.p.c. è configurabile solo allorchè il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass. n. 11892/2016, n. 13960/2014, n. 20119/2009, n. 26965/2007);

– è pur vero che la ricorrente si duole della attribuita rilevanza al verbale ispettivo (che, come è noto, “fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonchè alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante nè ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche” – cfr. ex multis Cass. 27 ottobre 2008, n. 25842 -). Tuttavia tale documento non è stato acriticamente recepito dal giudice di appello che, anzi, dello stesso ha valorizzato solo gli elementi basati su dati oggettivi ricavati dall’accesso diretto dei funzionari sui fondi (`constatazioni fenomeniche di natura obiettivà) ovvero dall’esame dei documenti anche contabili della ditta, dal tipo di coltivazione, dal numero dei braccianti occupati e delle giornate di lavoro (si veda Cass. 7 novembre 2014, n. 23800 che, in applicazione del sopra richiamato principio, ha riconosciuto valore di piena prova al verbale ispettivo dell’I.N.P.S., i cui funzionari avevano personalmente esaminato il libro paga e matricola, nonchè le denunce contributive ed i pagamenti dell’impresa edile artigiana dell’opponente, accertando il mancato rispetto dei minimi retributivi), elementi, peraltro, pure sottoposti ad ulteriore verifica e non contrastati dagli esiti istruttori raccolti in corso di causa (deposizioni testimoniali valutate inattendibili o non conferenti);

– va, in ogni caso, aggiunto, quanto ai suddetti profili di violazione di legge, che è costante l’insegnamento di questa Corte per cui il vizio di violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena di inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare i fondamento della denunziata violazione (così e per tutte, Cass. 26 giugno 2013, n. 16038);

– è di tutta evidenza che, tanto con riguardo alle sopra indicate violazioni di legge quanto con riguardo al preteso malgoverno delle risultanze istruttorie, pur sotto un’intitolazione evocativa dei casi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, parte ricorrente non ha formulato altro che pure questioni di merito, il cui esame è per definizione escluso in questa sede di legittimità;

– per il resto va ricordato che, a seguito della modifica del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile, in base al comma 3 della medesima norma, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione, e dunque dall’11/9/2012, è deducibile solo il vizio di omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti; il controllo della motivazione è, così, ora confinato sub specie nullitatis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, configurabile solo nel caso di mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, di motivazione apparente, di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053/14);

– nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale; sicchè neppure potrebbe trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dall’odierna ricorrente;

– ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo;

– in conclusione, la proposta va condivisa e il ricorso va rigettato;

– nulla va disposto per le spese nei confronti dell’I.N.P.S. che si è limitato a depositare procura alle liti e non ha svolto attività difensiva;

– va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione – così Cass., Sez. un., n. 22035/2014.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA