Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17606 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. I, 28/06/2019, (ud. 06/06/2019, dep. 28/06/2019), n.17606

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13043/2014 r.g. proposto da:

T.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Prof.

Bollani Andrea, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla Via

degli Scialoja n. 3, presso lo studio dell’Avvocato Luigi

Passalacqua;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona del curatore Dott.ssa L.G.,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a margine

del controricorso, dall’Avvocato Sergio Benetti, con cui

elettivamente domicilia in Roma, alla via Tacito n. 23, presso lo

studio dell’Avvocato Giovanni Giustiniani;

– controricorrente –

e

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – I.N.P.S., (cod. fisc.

(OMISSIS)), in persona del commissario straordinario Dott.

C.V.G., in proprio e quale procuratore speciale della

Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS (S.C.C.I.) s.p.a.,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a margine

del controricorso, dagli Avvocati Ester Ada Vita Sciplino, Antonino

Sgroi, Lelio Maritato e Carla D’Aloisio, con i quali elettivamente

domicilia in Roma, alla via C. Beccaria n. 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto medesimo.

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VICENZA depositato il 10/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/06/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con ricorso L. Fall., ex art. 98, comma 4, il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. chiese che il credito di Euro 57.025,80 di T.M., già ammesso al proprio passivo in privilegio ex art. 2751-bis, n. 1, c.c., venisse revocato in quanto quest’ultima era successivamente risultata iscritta alla gestione separata dell’INPS quale amministratrice di fatto della fallita, domandando, inoltre, all’INPS e/o alla T. il pagamento della somma di Euro 38.967,46.

1.1. Con decreto del 3/10 aprile 2014, l’adito Tribunale di Vicenza, nel contraddittorio con l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (d’ora in avanti, più semplicemente INPS) e la T., accolse quel ricorso e, per l’effetto, revocò la descritta ammissione al passivo e condannò la T. a restituire alla curatela fallimentare la somma di Euro 38.967,46. Quel giudice, posta la pacificità dei presupposti di ammissibilità dell’azione esercitata, ritenne che, dall’insieme delle risultanze istruttorie orali e documentali, potesse dirsi raggiunta la prova che la T. era stata solo formalmente inquadrata quale dipendente della società fallita, mentre, in realtà, ella aveva operato al suo interno senza alcun vincolo di subordinazione.

2. Avverso questo decreto la T. ricorre per cassazione affidandosi a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., cui resistono, con distinti controricorsi, la curatela fallimentare e l’INPS.

2.1. I formulati motivi prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 2697,1415, comma 2, e 1417 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, laddove il tribunale vicentino aveva motivato il disconoscimento del vincolo della subordinazione con l’affermazione che “nessun elemento è emerso a sostegno della opposta tesi dell’esistenza di un rapporto di subordinazione, quali tradizionalmente, ad esempio, il potere disciplinare, l’essere soggetto ad ordini, il dover rendere conto delle scelte operative, la presenza obbligatoria in azienda ed il cartellino…”. Si assume, in proposito, che la decisione doveva fondarsi sulla prova, in positivo, del concreto esercizio del potere gestorio, e non già sul supposto mancato raggiungimento, in negativo, della prova della subordinazione;

II) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: artt. 111 Cost., 2700 c.c. e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, ascrivendosi al suddetto tribunale di aver motivato la propria decisione esclusivamente avvalendosi delle dichiarazioni raccolte dagli ispettori dell’INPS, giudicate maggiormente attendibili rispetto alle testimonianze assunte nel processo;

III) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 2094 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, laddove il decreto impugnato aveva ritenuto sufficiente, al fine di escludere la sussistenza della subordinazione, il fatto che la T. si occupasse dell’ufficio amministrativo e del personale anche autorizzando, benchè entro certi limiti, ferie e permessi dei dipendenti: circostanza, questa, certo non incompatibile, a dire della ricorrente, con la subordinazione, come sempre avviene in qualsiasi impresa per i responsabili del settore amministrativo o per gli addetti all’ufficio del personale.

3. Tali doglianze sono esaminabili congiuntamente perchè accomunate dal medesimo vizio di inammissibilità.

3

3.1. Invero, giova ricordare che l’odierna revocazione ex art. 98, comma 4, L. Fall. è stata esercitata dalla curatela del fallimento (OMISSIS) s.r.l. dopo aver ricevuto la notifica – successivamente all’avvenuta ammissione al passivo di detta procedura della T. con provvedimento del giudice delegato rimasto non opposto – di un verbale di accertamento dell’Ufficio Ispettivo INPS in cui risultava acclarato che la T. era stata “iscritta, ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 2,comma 26, alla gestione separata I.N.P.S. con decorrenza prescrizionale ex lege quale amministratore di fatto della s.r.l. (OMISSIS)”, sicchè “i compensi ricevuti quale dipendente della s.r.l. (OMISSIS) sono stati ritenuti convenzionalmente congrui come compensi da amministratore”.

3.2. Il Tribunale di Vicenza, poi, ha opinato che, “nel contrasto tra alcune delle deposizioni rese in udienza dai testi, secondo i quali la resistente (la T., in quella sede. Ndr) non esercitava autonomi poteri gestori, e quelle rese dalla totalità di coloro che furono sentiti dagli ispettori dell’INPS, che hanno messo in evidenza i profili di cogestione della impresa da parte dei coniugi ( T./ B.. Ndr), deve essere data la prevalenza a queste ultime, sia perchè tra di loro tutte coerenti (mentre non tutti i testi hanno di fatto smentito in udienza la versione data in sede ispettiva), sia anche perchè rese nell’immediatezza dell’ispezione, e senza coercizione…” (cfr. pag. 3-4 del decreto impugnato). Ha, quindi, riportato il contenuto delle dichiarazioni in base alle quali ha considerato raggiunta la prova che l’odierna ricorrente fosse stata solo formalmente inquadrata quale dipendente della società fallita, mentre, in realtà, ella aveva operato al suo interno senza alcun vincolo di subordinazione. Ha, infine, escluso che fossero emersi elementi idonei a far qualificare il rapporto predetto come subordinato.

3.3. Fermo quanto precede, è allora utile ricordare che questa Corte ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto, intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua (pur corretta) interpretazione (cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra, invece, violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretativo ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti all’erronea ricognizione non già della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

3.4. Le censure in esame si risolvono, invece, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui la ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – come si è appena detto – non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

3.5. In applicazione dei suesposti principi, allora, va rimarcato che il tribunale vicentino – con una motivazione che non integra affatto violazione delle regole dettate in tema di onere della prova, oltre che priva di vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti – è giunto alla conclusione che, nella specie, il quadro probatorio desumibile dall’istruttoria espletata, valutato in ciascun elemento e nel suo complesso, fosse idoneo a far ritenere raggiunta la dimostrazione della insussistenza del carattere della subordinazione in relazione all’attività complessivamente svolta dalla T. per conto della (OMISSIS) s.r.l.; nè potrebbe sostenersi, fondatamente, che l’argomentare del giudice di merito abbia trascurato alcuni dati dedotti dalla odierna ricorrente per la semplice ragione di averli ritenuti, esplicitamente, o implicitamente, irrilevanti.

3.6. Il tribunale suddetto, infatti, ha ampiamente descritto (cfr., amplius, pag. 3-7 del decreto impugnato) gli elementi istruttori che l’hanno indotto a quella conclusione, ed il corrispondente accertamento, effettuato valorizzando come maggiormente attendibili alcune deposizioni rispetto ad altre, integra una valutazione fattuale, a fronte della quale la ricorrente, con i motivi in esame, tenta, sostanzialmente, di opporvi una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione, in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della decisione impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

3.7. In altri termini, la T. incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. può porsi, rispettivamente, solo allorchè la parte ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (cfr. Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (cfr. Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), peraltro, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (cfr. Cass. n. 11176 del 2017). In effetti, non è compito di questa Corte quello di condividere, o meno, la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), altresì evidenziandosi che i fatti e/o i documenti e/o le deposizioni di cui oggi la ricorrente lamenta, sostanzialmente, l’errata “valutazione” (piuttosto che l’omesso esame), al più potrebbero rappresentare elementi indiziari da porre a fondamento di un ragionamento presuntivo volto a giungere a conclusioni magari diverse da quelle esposte dal tribunale veneto, così procedendosi, però, a valutazioni che, impingendo nel merito, sono inammissibili nel giudizio di legittimità.

3.8. A tanto deve soltanto aggiungersi, quanto alle argomentazioni della memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. depositata dalla T., ed alla sentenza del Tribunale di Vicenza n. 665 del 2016, ad essa allegata, che ne costituisce il logico presupposto, che detta decisione: i) non rientra certamente tra i documenti che, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., sono producibili in Cassazione; ii) non risulta essere passata in cosa giudicata, avendo contro di essa proposto appello l’INPS (come specificamente si legge nella menzionata memoria. Cfr. pag. 2), senza che, tuttora, se ne conosca l’esito; iii) non è stata pronunciata anche nei confronti della curatela fallimentare oggi controricorrente, sicchè non può considerarsi opponibile a quest’ultima; iv) non potrebbe, comunque, cagionare, una volta divenuta definitiva, un conflitto di giudicati con la decisione dell’odierno ricorso, attesa la parziale diversità soggettiva tra i due giudizi e, soprattutto, tenuto conto di quanto espressamente sancito dalla L. Fall., art. 96, u.c..

4. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, restando le spese del giudizio di legittimità regolate, in favore di ciascuna parte controricorrente, in base al principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la T. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascun controricorrente, in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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