Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17605 del 24/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/08/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 24/08/2020), n.17605

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5318-2014 proposto da:

F.P.D.B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ANGELOZZI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ELEONORA LO

COCO;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO

25/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO SANTORI;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto rappresentato e difeso dagli

avvocati SERGIO PREDEN, ANTONELLA PATTERI, LUIGI CALIULO, ANTONINO

SGROI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5112/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/08/2013 R.C.N. 5769/2010.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 29.8.2013, la Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di F.P.D.B.C. volta a condannare Telecom Italia s.p.a. a pagare la somma di Euro 478.839,43 sulla propria posizione contributiva presso l’INPS, quale riserva matematica necessaria alla costituzione della rendita vitalizia reversibile pari alla quota di pensione corrispondente ai contributi omessi sul trattamento da lui percepito per il lavoro svolto all’estero;

che avverso tale pronuncia F.P.D.B.C. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura;

che l’INPS e Telecom Italia s.p.a. hanno resistito con distinti controricorsi;

che Telecom Italia s.p.a. ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 190,324 e 429 c.p.c., nonchè dell’art. 2909 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che sulla statuizione del giudice di prime cure concernente la sua rinuncia alla domanda principale proposta con il ricorso introduttivo del giudizio e concernente la riliquidazione del proprio trattamento pensionistico per effetto della maggiore contribuzione spettantegli si sarebbe formato il giudicato interno per mancata impugnazione, laddove la memoria conclusiva redatta all’esito del giudizio di primo grado non conteneva alcuna rinuncia a tale domanda;

che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 115 e 202 c.p.c., per non avere la Corte territoriale ammesso la prova orale volta a dimostrare che Telecom Italia s.p.a. aveva regolarmente pagato i contributi sul trattamento estero corrisposto ad altro dipendente;

che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione della L. n. 583 del 1967, artt. 14 e 18, L. n. 153 del 1969, art. 12, e D.Lgs. n. 658 del 1996, art. 3, per avere la Corte di merito ritenuto che i compensi percepiti in relazione al lavoro prestato all’estero non dovessero essere assoggettati a contribuzione, benchè si trattasse di assegni ad personam correlati ad un trattamento di merito;

che, con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 317 del 1987, art. 4, (conv. con L. n. 398 del 1987), per avere la Corte territoriale ritenuto che la norma cit., secondo la quale la contribuzione dovuta sui trattamenti corrisposti per il lavoro prestato all’estero si calcola sulla retribuzione convenzionale determinata con decreto del Ministro del lavoro, si applicasse anche ai dirigenti, per i quali viceversa non esistono contratti collettivi o decreti ministeriali che abbiano proceduto alla quantificazione della retribuzione convenzionale su cui calcolare la contribuzione dovuta a loro favore;

che, con il quinto motivo, il ricorrente denuncia “omessa e falsa applicazione” (sic) del D.Lgs. n. 658 del 1996, art. 1, comma 1, e dell’art. 12 preleggi per non avere la Corte di merito ritenuto che dall’1.1.1997 il trattamento corrisposto per il lavoro prestato all’estero dovesse essere assoggettato a contribuzione;

che il primo motivo è infondato, avendo sul punto l’impugnata sentenza rilevato che il giudice di prime cure aveva dato atto dell’intervenuta rinuncia alla domanda principale e che nessuna censura avverso tale statuizione l’odierno ricorrente aveva proposto nel proprio appello incidentale, ciò che nel ricorso per cassazione non è minimamente revocato in dubbio;

che il secondo motivo è inammissibile per difetto d’interesse, non avendo il ricorrente proposto alcuna censura nei confronti dell’autonoma ratio decidendi contenuta a pag. 7 della sentenza impugnata (secondo cui, stante l’indisponibilità della normativa in materia, nessun rilievo potrebbe assumere l’eventuale diverso comportamento tenuto da Telecom Italia s.p.a. in casi analoghi), ed essendo consolidato il principio secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, atteso che, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, il loro accoglimento non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 22753 del 2011 e, più di recente, Cass. n. 18641 del 2017);

che parimenti inammissibile è il terzo motivo, atteso che, per un verso, parte ricorrente non ha proposto alcuna impugnazione avverso la statuizione della sentenza secondo cui, per il periodo anteriore all’1.1.1997, l’invocazione della L. n. 153 del 1969, art. 12, al fine di assoggettare a contribuzione l’intero trattamento percepito per il lavoro prestato all’estero, si scontrerebbe con il giudicato interno intervenuto sull’affermazione del primo giudice circa la persistente vigenza della speciale disciplina di cui alla L. n. 1450 del 1956 e che, per un altro verso, la sussumibilità dei trattamenti corrisposti per il lavoro prestato all’estero nell’ambito degli assegni di merito e ad personam di cui alla L. n. 583 del 1967, art. 14, introduce una questione di cui la sentenza impugnata nulla dice e che, richiedendo accertamenti di fatto in ordine alle modalità con cui la società odierna controricorrente effettuava la scelta dei dirigenti da distaccare all’estero (cfr. spec. pag. 26 del ricorso per cassazione), non può essere proposta per la prima volta in questa sede di legittimità (così da ult. Cass. n. 32804 del 2019);

che egualmente inammissibile è la censura di cui al quarto motivo, introducendo parimenti una questione di cui la sentenza impugnata nulla dice, vale a dire l’avvenuta determinazione ad personam del corrispettivo versato per il lavoro all’estero dell’odierno ricorrente: dall’esposizione contenuta nel ricorso per cassazione non è dato comprendere se, quando e come tale questione sia stata introdotta nel giudizio di merito;

che l’inammissibilità del quarto motivo determina ex se l’ininfluenza del quinto, non avendo la sentenza impugnata affermato in alcun modo la non assoggettabilità a contribuzione dei compensi de quibus a far data dal 1.1.1997, ma avendo piuttosto argomentato la loro sottoposizione alla regula iuris desumibile dal D.L. n. 317del 1987, cit., conformemente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. pagg. 7-8 della sentenza impugnata);

che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 11.200,00, di cui Euro 11.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, per ciascuna delle parti controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2020

 

 

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