Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17603 del 23/08/2011

Cassazione civile sez. VI, 23/08/2011, (ud. 05/07/2011, dep. 23/08/2011), n.17603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

A.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE

CLODIO 14, presso lo Studio dell’avvocato GRAZIANI ANDREA,

rappresentata e difesa dall’avvocato PANICO ALDO, giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MOVITER SRL (OMISSIS) in persona dell’amministratore e legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAPOSILE 10,

presso lo studio dell’avvocato BORIONI PAOLO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FIORE ANDREA, giusta procura alle

liti in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 906/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

12.2.2010, depositata il 02/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito per la ricorrente l’Avvocato Angelo Colucci (per delega avv.

Aldo Panico) che si riporta ai motivi del ricorso;

udito per la controricorrente l’Avvocato Paolo Borioni che si riporta

agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. TOMMASO

BASILE che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che, prestandosi il ricorso ad essere trattato con il procedimento di cui agli artt. 376 e 360 bis cod. proc. civ., è stata redatta relazione;

che la relazione ha il seguente contenuto:

“1. La domanda di condanna al pagamento dei lavori, eseguiti in un terreno di proprietà di A.E., proposta dalla Moviter, veniva rigettata dal Tribunale di Latina, che riteneva non provato il rapporto contrattuale tra la A. e la Moviter.

In esito all’impugnazione proposta dalla società, la Corte di appello di Roma riteneva provato il contratto di appalto di lavori tra le parti e, attualizzato l’importo richiesto sulla base del rendimento dei titoli di Stato, condannava la A. al pagamento di circa 78 mila e cinquecento Euro, oltre interessi legali decorrenti dalla sentenza (sentenza del 2 marzo 2010).

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la A. deducendo, genericamente, violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e 5.

Ha resistito con controricorso la Moviter.

Proposta di decisione:

1. Il ricorso non si articola in separati motivi; ma, senza neanche provvedere all’enunciazione di un’epigrafe, o rubrica, con l’indicazione delle norme violate, afferma che “il ricorso si fonda sull'”omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio”, nonchè sulla “violazione di norme di diritto”.

Tuttavia, poichè l’indicazione, ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 4, delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, ma come elemento richiesto al fine di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti della impugnazione (Cass. 4 giugno 2007, n. 12929), si ritiene possibile cogliere dalle argomentazioni addotte le censure rivolte alla sentenza; con conseguente ammissibilità del ricorso per tale aspetto, 2. L’unica chiara censura in diritto enucleabile concerne la parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la stipulazione di un contratto di appalto non richiede, quale requisito, la forma scritta, nè ad substantiam, nè ad probationem.

Al contrario di quanto ritenuto dalla ricorrente, costituisce principio pacifico nella giurisprudenza della Corte (Cass. 26 ottobre 2009, n. 22616; Cass. 6 giugno 2003, n. 9077; Cass. 16 luglio 1983, n. 4911), quello secondo cui “Il contratto di appalto non è soggetto a rigore di forme e, pertanto, per la sua stipulazione non è richiesta la forma scritta, nè ad substantiam, nè ad probationem, potendo essere concluso anche per facta conciudentia; con conseguente rilevanza della prova testimoniale, dedotta con riguardo all’effettiva esecuzione delle prestazioni per il cui corrispettivo la parte agisce” (su quest’ultimo profilo, Cass. n. 22616 del 2009).

Il rigetto di tale censura è adottata ai sensi dell’art. 360 bis cod. proc. civ., n. 1.

3. La ricorrente, al fine di sostenere di non essere parte del rapporto contrattuale – che ipotizza stipulato dal padre M., “rappresentante” della Edilcentro Cesame srl, utilizzatrice del terreno – e di avere solo collaborato col padre, presenziando spesso durante l’esecuzione dei lavori, deduce difetti motivazionali della sentenza.

Da un lato, lamenta l’illogicità ed insufficienza della motivazione, nel non aver il giudice considerato parti di dichiarazioni testimoniali in senso a lei favorevole. Ma, riproduce stralci delle stesse e non il testo integrale.

Dall’altro, sostiene l’omessa considerazione del contrasto tra le dichiarazioni testimoniali, come valutate dal giudice, e la prova scritta, “costituita dalla mancanza di girata della sig.ra A. negli effetti cambiari dati in pagamento dei lavori, cambiali cedute e girate dalla Edilcentro Cesame srl”. Nel ricorso non riproduce il testo dei documenti, nè provvede alla specifica indicazione della sede processuale dove gli stessi siano stati prodotti (ex art. 366 cod. proc. civ., n. 6, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, applicabile ratione temporis.

Per questi profili, le censure sono inammissibili e l’inammissibilità è correlata alla sussistenza di precedenti conformi.

3.1. La Corte ha già affermato, ai sensi dell’art. 360 bis cod. proc. civ., il principio secondo cui “Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione (su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o) sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente (le circostanze oggetto della prova o) il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative”. (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915).

Con specifico riferimento alle prove testimoniali, nell’ambito di un principio consolidato in tema di omessa o erronea valutazione delle risultanze istruttorie in generale, denunciata ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 20 febbraio 2003, n. 2527,) ha pure ritenuto che “Qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove testimoniali, ha l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi, risolvendosi, altrimenti, il dedotto vizio di motivazione in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto delle deposizioni testimoniali” (Cass. 12 marzo 2009, n. 6023).

4. Quanto alla censura che la ricorrente rivolge alla sentenza impugnata in ordine alla determinazione del quantum, attualizzato al momento della decisione, in riferimento alla violazione dell’art. 1224 cod. civ., comma 2 (pag. 7 e ss.), non sono univocamente individuabili le ragioni per cui si chiede la cassazione, con conseguente inammissibilità del profilo.

Infatti, si deduce che, avendo il giudice utilizzato le presunzioni per liquidare il maggior danno, sulla base della sentenza delle s.u.

(Sez. Un. 16 luglio 2008, n. 19499), la debitrice non ha potuto articolare la prova contraria, vigendo, all’epoca del processo, altra “univoca interpretazione dell’art. 1224 c.c., secondo la quale era onere del creditore chiedere e provare il maggior danno”.

Contemporaneamente, si lamenta che la società aveva chiesto danni generici, “per cui la Corte è andata ultra petita” e ha interpretato il suddetto articolo sulla base di un principio affermato dalle s.u.

“dopo una evoluzione giurisprudenziale altalenante su materia controversa, con una sentenza pubblicata dopo il rinvio per la discussione” (p. 8).

A prescindere dalla contraddittoria esposizione dello stato della giurisprudenza sul punto, prima ritenuto consolidato in una direzione, poi altalenante, rileva, ai fini della non univocità della censura, la contemporanea prospettazione di una violazione di norma sostanziale (art. 1224 cod. civ.) e di una violazione processuale (art. 112 cod. proc. civ.)”;

che la suddetta relazione è stata notificata agli avvocati delle parti costituite e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che il Collegio condivide le osservazioni in fatto e le argomentazioni e le conclusioni in diritto della relazione;

che i rilievi, mossi dalla ricorrente con memoria, relativi alla non ricorrenza della violazione di cui all’art. 366 cod. proc. civ., n. 6, non sono idonei ad inficiare le argomentazioni della relazione;

che la ricorrente – la quale condivide la relazione quanto al profilo della forma nel contratto di appalto – vorrebbe delimitare con la memoria l’ambito della censura esaminata nella relazione con il terzo profilo;

che, secondo consolidata giurisprudenza (riferita all’art. 378 cod. proc. civ., ed applicabile all’art. 380 bis cod. proc. civ., comma 2, per identità di ratio), l’eventuale vizio del ricorso non può essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ., la cui funzione è quella di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi già debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli (Cass. 29 marzo 2006, n. 7237);

che, pertanto, il primo motivo è manifestamente infondato; il secondo e il terzo sono inammissibili;

che la decisione sul primo e secondo motivo è correlata alla sussistenza di precedenti conformi;

che, in conclusione, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna A.E. al pagamento, in favore di Moviter srl, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 5 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2011

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