Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17601 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. I, 28/06/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 28/06/2019), n.17601

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13919/2016 proposto da:

D.V., elettivamente domiciliato in Roma, Via Dardanelli n.

37, presso lo studio dell’Avvocato Giuseppe Campanelli che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.I., elettivamente domiciliata in Roma, via De

Cristofaro n. 40, presso lo studio dell’Avv. Maurizio Caligiuri,

rappresentata e difesa dall’Avv. Giovan Battista Esposito giusta

procura speciale a margine della comparsa di costituzione tardiva;

– resistente –

avverso la sentenza n. 527/2015 della Corte d’appello di Lecce,

sezione distaccata di Taranto, depositata il 16/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/05/2019 dal cons. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Taranto, con sentenza in data 9 giugno 2015, disponeva che D.V. versasse a B.I., in conseguenza della cessazione degli effetti civili del matrimonio fra loro contratto, un assegno divorzile di Euro 300 mensili.

2. La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, dopo aver rilevato che il D., proprietario di un immobile, poteva contare su un reddito di Euro 1.850 mensili netti, mentre la B. era riuscita a procurarsi soltanto impegni lavorativi saltuari e umili, reputava che l’entità dell’assegno posto a carico dell’appellante D. dal primo giudice fosse adeguata ai parametri che riflettono le esigenze compensative-indennitarie stabilite dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.

La corte distrettuale rigettava perciò l’appello proposto, con sentenza del 16 dicembre 2015, confermando la decisione impugnata.

3. Ricorre per cassazione avverso questa pronuncia D.V., affidandosi a cinque motivi di impugnazione.

L’intimata B.I. si è costituita in giudizio al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c..

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 3, la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5,comma 6, e art. 2697 c.c., in quanto la corte distrettuale non avrebbe preteso che fosse la B. a dare prova dell’insussistenza di propri adeguati mezzi economici e dell’impossibilità di procurarseli; al contrario, posto che l’assegno non era una misura automatica conseguente dal venir meno del vincolo matrimoniale ma derivava dall’impossibilità per il coniuge debole di reperire mezzi idonei a mantenere un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, sarebbe stato onere dell’appellata dedurre e provare elementi significativi e indicativi della situazione di bisogno e necessità che giustificava la richiesta di riconoscimento di un assegno di divorzio. 3.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’accertamento del ricorrere dei presupposti per il riconoscimento di un assegno di divorzio in favore dell’appellata: la corte territoriale, in assenza di prove fornite dalla presunta parte debole, avrebbe erroneamente ravvisato il suo stato di bisogno attraverso presunzioni del tutto infondate.

3.3 D quinto motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5,comma 6: il giudice di merito avrebbe fatto cattiva applicazione dei principi inerenti la determinazione dell’assegno divorzile fissati da tale norma, senza valorizzare adeguatamente la sentenza penale di condanna della B. per il reato di cui all’art. 570 c.p., a cui aveva contrapposto la natura consensuale della separazione e gli esiti del giudizio canonico, gli obblighi derivanti dal successivo matrimonio contratto dal D. e la durata del vincolo matrimoniale.

4. I motivi – da trattarsi congiuntamente in ragione del coincidente riferimento all’errata valutazione della congerie istruttoria, per come offerta dalla parte a ciò onerata, in funzione della verifica dei presupposti previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, ai fini del riconoscimento di un assegno divorzile – sono fondati, nel senso che si va a illustrare.

4.1 Va detto anzitutto che i principi a cui la corte di merito non avrebbe dato corretta attuazione non corrispondono alla più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. U., 18287/2018), che ha posto ordine in un ambito dove, a seguito di un prolungato orientamento secondo cui l’assegno divorzile doveva consentire all’avente diritto di mantenere lo stesso tenore di vita di cui godeva in costanza di matrimonio (Cass., Sez. U., 11490/1990), si era ritenuto poi di negare l’assegno di divorzio nel caso in cui il richiedente fosse economicamente autosufficiente (Cass. 11504/2017).

Le Sezioni Unite, abbandonati tanto ogni automatismo fondato sul pregresso tenore di vita o sull’autosufficienza, quanto la concezione bifasica del procedimento di determinazione dell’assegno divorzile fondata sulla distinzione fra criteri attributivi e criteri determinativi, hanno ritenuto che l’assegno divorzile, di natura composita (assistenziale e perequativa/compensativa) e non meramente assistenziale, vada riconosciuto in applicazione del principio di solidarietà postconiugale, ispirato ai parametri costituzionali di cui agli artt. 2 e 29 Cost., tenendo conto dei criteri equiordinati previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e preferendo a un criterio assoluto e astratto che valorizzi l’adeguatezza o l’inadeguatezza dei mezzi una visione che propenda per la causa concreta e la contestualizzi nella specifica vicenda familiare, tramite la valorizzazione dell’intera storia coniugale nel suo completo evolversi e la realizzazione una prognosi futura che consideri le condizioni (di età, salute, etc.) dell’avente diritto.

In questa prospettiva il giudice, nello stabilire se e in quale misura debba essere riconosciuto l’assegno divorzile richiesto, è tenuto, una volta comparate le condizioni economico patrimoniali delle parti e ove riscontri l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente e l’impossibilità di procurarseli per ragioni obbiettive, ad accertare rigorosamente le cause di una simile situazione alla luce dei parametri indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, verificando in particolare se la sperequazione sia la conseguenza del contributo fornito dal richiedente alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all’età dello stesso e alla durata del matrimonio.

La quantificazione dell’assegno andrà poi compiuta non tenendo a parametro il pregresso tenore di vita o l’autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato a un simile contributo.

4.2 Nel verificare i presupposti per il riconoscimento di un assegno divorzile il giudice deve compiere quindi una valutazione concreta ed effettiva dell’adeguatezza dei mezzi del richiedente e dell’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive fondata innanzitutto sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti.

Questa verifica tuttavia non è di per sè sufficiente, ma deve essere collegata causalmente alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, onde accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del matrimonio dipenda da scelte condivise di conduzione della vita familiare in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, tenuto conto della durata del matrimonio e delle effettive potenzialità professionali e reddituali alla conclusione della relazione matrimoniale.

La corte distrettuale ha mancato di attribuire all’assegno riconosciuto la funzione equilibratrice-perequativa che esso doveva necessariamente avere, omettendo di verificare in maniera appropriata se l’inadeguatezza dei mezzi della richiedente e l’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive fosse saldamente ancorata alle caratteristiche e alla ripartizione dei ruoli endofamiliari.

Questa indagine non solo è viziata da una immotivata presunzione di orientamento delle scelte di vita della richiedente verso attività casalinghe avvenuta di comune accordo, pur in presenza di un giudicato penale proprio in ordine al rifiuto della donna di occuparsi della casa e della famiglia per la durata della convivenza matrimoniale (dato che il libero convincimento del giudice nella valutazione degli elementi assunti a fonte di presunzione non può spingersi fino a vanificare il disposto dell’art. 654 c.p.p.), ma, soprattutto, trascura di considerare il fattore causale e il dato cronologico, onde valutare se e in quale misura un simile eventuale orientamento per la breve durata del matrimonio abbia inciso sulle potenzialità professionali e reddituali.

E tale omissione ha finito per condurre la corte territoriale ad attribuire valore determinante alla comparazione della situazione economico-patrimoniale delle parti, quando al contrario la situazione della richiedente costituiva una mera premessa fenomenica ed oggettiva che doveva essere seguita dalla verifica delle riconducibilità delle cause che avevano prodotto la condizione di inadeguatezza agli indicatori delle caratteristiche dell’unione matrimoniale così come descritti nella prima parte della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, i quali peraltro assumono rilievo in misura direttamente proporzionale alla durata del matrimonio.

5. La sentenza impugnata andrà dunque cassata, con rinvio della causa alla corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Rimangono assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso i quali, censurando le modalità con cui il giudice del merito ha accertato la consistenza patrimoniale e reddituale delle parti, si appuntano sul risultato di una verifica non più attuale che il giudice di merito dovrà necessariamente rinnovare in sede di rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo e il quinto motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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