Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17600 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. I, 28/06/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 28/06/2019), n.17600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12516/2013 proposto da:

Comune Casacalenda, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via G. Ferrari 11, presso lo studio

dell’avvocato Aldo Pinto e rappresentato e difeso dall’avvocato

Antonio Guida, in forza di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Impresa M.F. & C Sas, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Zara 16, presso lo studio dell’avvocato Salvatore Napolitano, che la

rappresenta e difende in forza di procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

Regione Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 82/2012 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 24/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/05/2019 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, nel senso del rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Impresa M.F. & c. s.a.s. (di seguito, semplicemente M.) ha richiesto e ottenuto in data 28/8/2001 decreto ingiuntivo dal Tribunale di Larino recante intimazione al Comune di Casacalenda di pagarle la somma di Lire 54.935.865, oltre spese, a titolo di interessi per ritardato pagamento dei corrispettivi del contratto di appalto del 14/5/1993, relativo al miglioramento della dotazione idrica degli abitanti e rete fognaria per l’importo complessivo di Lire 2.230.000.000, finanziato dalla Regione Molise.

Il Comune di Casacalenda ha proposto opposizione, chiedendo la revoca del decreto e la chiamata in causa della Regione Molise, indicata come responsabile dei ritardi di pagamento lamentati dalla M.; analoga richiesta, in subordine, è stata proposta dalla M. per far valere la responsabilità della Regione in caso di accoglimento dell’opposizione.

Dopo la chiamata in causa della Regione, il Tribunale ha accolto l’opposizione, revocando il decreto opposto e condannando la M. al rimborso delle spese sia del Comune, sia della Regione.

2. La M. ha proposto appello contro la sentenza di primo grado, a cui ha resistito l’appellato Comune di Casacalenda, proponendo appello incidentale condizionato, volto a rivalersi eventualmente sulla Regione Molise.

La Regione ha chiesto il rigetto dell’appello e ha ribadito eccezione di incompetenza in relazione alla domanda proposta nei suoi confronti dalla M., in ragione della ritenuta competenza arbitrale.

La Corte di appello di Campobasso con sentenza non definitiva del 20/11/2007, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità della clausola di cui all’art. 3 del contratto di appalto del 14/5/1993 fra la M. e il Comune, ha dichiarato inammissibile la domanda avanzata dal Comune nei confronti della Regione a causa della competenza in proposito del collegio arbitrale, ha rigettato l’eccezione proposta dalla Regione di inammissibilità della domanda proposta nei suoi confronti dalla M., ritenuta fondata extracontrattualmente ex art. 2043 c.c., e ha pertanto rimesso la causa in istruttoria al fine di accertare le ragioni del ritardo nei pagamenti da parte del Comune e in particolare per stabilire se essi fossero dipesi da ritardo nel versamento dei finanziamenti regionali.

Il Comune ha proposto ricorso per regolamento di competenza in data 3/1/2008, impugnando la sentenza non definitiva nella parte in cui aveva dichiarato l’inammissibilità della chiamata in causa della Regione da parte sua in ragione della competenza arbitrale.

La M. e il Comune hanno formulato riserva di appello avverso la sentenza non definitiva all’udienza del 9/1/2008.

Con ordinanza del 6/9/2010 n. 18274 la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il regolamento di competenza.

Esperita consulenza tecnica, con sentenza definitiva del 24/3/2012, la Corte di appello di Campobasso ha revocato il decreto ingiuntivo, ponendo tuttavia a carico dell’ingiunto le spese della fase monitoria, e ha condannato il Comune di Casacalenda, ritenuto responsabile dei ritardi di pagamento, al pagamento in favore della M. della somma di Euro 24.350,53, nonchè alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio; ha inoltre compensato le spese del doppio grado di giudizio fra la Regione e le altre due parti del processo.

3. Con atto notificato il 7/5/2013 ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Casacalenda avverso la sentenza non definitiva del 20/11/2007, impugnata nella parte in cui aveva dichiarato la nullità della clausola di cui all’art. 3, del contratto di appalto del 14/5/1993 fra la M. e il Comune, e quella definitiva del 24/3/2012, entrambe non notificate, svolgendo complessivamente tre motivi.

Con atto notificato il 14/6/2013 ha proposto controricorso la M., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso ed eccependo in via preliminare l’intervenuto giudicato sulla sentenza non definitiva del 20/11/2007.

Con atto notificato il 19/6/2013 la Regione Molise ha proposto controricorso, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

In data 22/6/2018 il Comune di Casacalenda ha depositato memoria difensiva.

Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Dopo la rifissazione dell’adunanza camerale dal 4/7/2018 al 15/5/2019, in data 2/5/2019 il Comune di Casacalenda ha depositato ulteriore memoria difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La controricorrente M. ha formulato una eccezione di carattere preliminare di inammissibilità del ricorso per intervenuto giudicato interno formatosi sulla sentenza non definitiva n. 264/2007, pure impugnata dal Comune di Casacalenda, nella parte in cui ha dichiarato la nullità della clausola di cui all’art. 3 del contratto di appalto inter partes del 14/5/1993, oggetto di riserva di impugnazione in data 9/1/2008.

1.1. La M. ricorda che il Comune aveva impugnato la predetta sentenza, che conteneva statuizioni sia sulla competenza, sia sul merito, con regolamento di competenza notificato il 3/1/2008, nella parte in cui aveva dichiarato inammissibile la chiamata della Regione da parte del Comune, affermando al proposito la competenza del collegio arbitrale di cui all’art. 14 del disciplinare di concessione.

La riserva di impugnazione del 9/1/2008 era da ritenersi inammissibile alla luce dell’art. 43 c.p.c., u.c., testo vigente ratione temporis, secondo cui nel caso in cui l’istanza di regolamento di competenza sia proposta prima dell’impugnazione ordinaria i termini per la proposizione di questa riprendono a decorrere dalla comunicazione della sentenza che regola la competenza.

Pertanto il Comune avrebbe dovuto impugnare la sentenza 264/2007 entro trenta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza della Cassazione che aveva regolato la competenza in data 29/9/2010, ossia entro trenta giorni dalla comunicazione del 6/9/2011, dovendosi applicare il termine breve, poichè la notifica del ricorso per regolamento di competenza comportava la piena conoscenza della sentenza impugnata.

1.2. L’eccezione preliminare non può essere accolta.

La tesi patrocinata dalla controricorrente è viziata dal difetto di coordinamento nella lettura della disciplina della proposizione immediata del regolamento di competenza avverso la sentenza che decide questioni di competenza e questioni di merito rispetto alle regole dettate in materia di impugnazioni differita, previa formulazione di riserva facoltativa di ricorso contro le sentenze definitive (art. 361 c.p.c.).

L’art. 43, comma 3 si limita a stabilire che nel caso in cui l’istanza di regolamento di competenza sia proposta prima dell’impugnazione ordinaria i termini per la proposizione dell’impugnazione ordinaria riprendono a decorrere dalla comunicazione della sentenza che regola la competenza; tale precetto attiene al coordinamento fra impugnazione per regolamento di competenza e impugnazione ordinaria, ma deve, a sua volta, essere armonizzato rispetto alla disciplina dettata per le impugnazioni differite attraverso formulazione di riserva di impugnazione (per appello ex art. 340 c.p.c., o per ricorso per cassazione ex art. 361 c.p.c.).

Il termine per impugnare in via ordinaria non riprende quindi a decorrere, se, a sua volta, è sospeso per effetto di altra disposizione dettata in sedes materiae, come avviene allorchè la sentenza che ha dettato statuizioni sia sulla competenza sia sul merito, impugnata immediatamente con regolamento di competenza, sia una sentenza non definitiva, tempestivamente e ritualmente gravata da riserva di impugnazione differita.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez.3, 4/8/2016 n. 16283; Sez.2 3/6/2014 n. 12410; Sez.1, 9/1/2013 n. 343), per effetto della riserva, l’impugnazione della sentenza non definitiva viene differita al momento della pubblicazione della sentenza definitiva, ragion per cui la sentenza non definitiva si intende convenzionalmente pronunciata nella stessa data, come parte della statuizione sull’intera controversia.

2. Con il primo motivo di ricorso diretto contro la sentenza non definitiva del 10/11/2007, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il Comune ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 4, e D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 35 e 36, art. 1372 c.c., e delle regole sull’interpretazione dei contratti ex art. 1362 – 1371 c.c., nonchè insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

2.1. La L. n. 741 del 1981, art. 4, comma 1, rimanda per l’importo degli interessi dovuti a “norme di legge, di capitolato generale e speciale o di contratto”.

Il ricorrente osserva che, non vertendosi in tema di appalto dello Stato, non esisteva una norma di legge in tema di interessi e non erano direttamente applicabili gli artt. 35 e 36 del capitolato generale delle opere pubbliche; si doveva quindi far riferimento al contratto, per determinare, avuto riguardo alle regole ermeneutiche contrattuali, se le parti avessero rinviato in ordine alla misura degli interessi ai predetti artt. 35 e 36, e se operasse, in caso affermativo, la sanzione di nullità dei patti in deroga di cui al richiamato art. 4.

La Corte di appello non ha proceduto in tal senso e ha invece direttamente ritenuto applicabile la L. n. 741 del 1981, art. 4, comma 3; non era invece affatto ultroneo stabilire la natura regolamentare o legislativa del capitolato generale, che aveva natura regolamentare solo relativamente ai contratti stipulati dallo Stato.

Con affermazione tautologica la Corte di appello aveva ritenuto che la nullità della clausola derivasse direttamente dalla legge, omettendo di esaminare il contenuto complessivo del contratto e di stabilire la volontà effettiva delle parti, ponendo in relazione le clausole di cui agli artt. 3 e 5, con l’art. 14 del Capitolato speciale di appalto.

2.2. L’esposto primo motivo riguarda la sentenza non definitiva, reputata errata in diritto per aver ritenuto applicabile la L. n. 741 del 1981, art. 4, quantunque non si trattasse di appalto dello Stato, in tal modo violando le norme di ermeneutica e risultando per giunta affetta pure da un vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione; secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare se fosse stata intenzione delle parti richiamare il Capitolato Generale.

2.3. In primo luogo, le censure in diritto afferenti alla violazione delle norme di ermeneutica appaiono inammissibili.

Infatti, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e ss..

Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali. Inoltre, la parte che ha proposto una delle opzioni ermeneutiche possibili di una clausola contrattuale, non può contestare in sede di giudizio di legittimità la scelta alternativa alla propria effettuata dal giudice del merito (Sez. 1, n. 27136 del 15/11/2017, Rv. 646063 – 01- 02; conf. Sez. 5, n. 873 del 16/01/2019, Rv. 652192 – 01).

2.4. Le censure rivolte al percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale difettano inoltre di specificità, in quanto esposte in modo totalmente generico, senza affrontare in modo puntuale e dettagliato le regioni addotte dalla Corte di appello per far discendere dall’art. 14 del Capitolato speciale di appalto il richiamo contrattuale delle regole dettate dal Capitolato generale delle opere pubbliche.

2.5. E’ tuttavia dirimente l’argomento normativo in ordine alla diretta applicabilità alla specie del Capitolato generale per le opere pubbliche, prevista dalla L.R. Molise 14 aprile 1979, n. 19, art. 11, comma 1, (“Norme per l’esecuzione dei lavori e delle opere pubbliche di interesse regionale”), secondo il quale “Per tutto quanto non diversamente disposto dalla presente legge, l’esecuzione dei lavori deve avvenire in conformità del Regolamento 25 maggio 1895, n. 350 e del Capitolato Generale d’Appalto approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063…”.

3. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, diretto contro la sentenza definitiva del 24/3/2012 il ricorrente denuncia error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte di appello pronunciato d’ufficio su di una eccezione invece riservata alla parte.

3.1. Il ricorrente osserva che incombeva alla Regione l’onere di provare che il ritardo nell’erogazione della terza rata di finanziamento era derivato da causa ad essa non imputabile e lamenta che la Corte di appello abbia deciso sulla base di una eccezione, in senso stretto, che la Regione non aveva sollevato, visto che essa si era invece limitata a un fugace riferimento alla nota n. 1859 del 21/2/1994, senza aver mai eccepito o richiesto di provare che il ritardo nell’erogazione della rata era dipeso da tale nota o dal mancato adempimento di quanto con essa richiesto.

3.2. Il motivo riguarda la sentenza definitiva e lamenta, in buona sostanza, che, nel riconoscere la responsabilità del Comune, la Corte di appello, attribuendo rilevanza al fatto che legittimamente la Regione avesse chiesto prima dell’accredito l’invio degli atti tecnici, avrebbe pronunciato su di una eccezione in senso stretto che la Regione non aveva mai sollevato.

3.3. Il motivo è infondato poichè presuppone implicitamente che la regolazione dell’ipotetica responsabilità della Regione nei confronti dell’Impresa avvenga su base contrattuale, mentre avrebbe potuto essere sussistente solo in via extracontrattuale, come puntualmente statuito alle pagine 8 e 9 della sentenza non definitiva.

La verifica della antigiuridicità della condotta della Regione, nella cornice della sua eventuale responsabilità aquiliana per lesione del credito per tardiva erogazione dei ratei di finanziamento al Comune ben doveva e poteva essere condotta in relazione alla domanda subordinata proposta dalla M., indipendentemente dalle eccezioni sollevate dalla Regione, quanto ai suoi rapporti contrattuali con il Comune.

4. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1218,2697 e 2909 c.c., e artt. 115 e 116 c.p.c., art. 279 c.p.c., commi 2 e 4, art. 324 c.p.c., nonchè insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

4.1. La Corte di appello, individuando il Comune quale unico obbligato verso l’Impresa M., aveva violato l’efficacia vincolante della sentenza non definitiva 267/2007, che aveva invece ritenuto ammissibile la chiamata diretta della Regione da parte della M. e aveva disposto c.t.u. per l’accertamento del soggetto obbligato fra Comune e Regione.

4.2. Con il terzo motivo, sempre afferente alla sentenza definitiva, il ricorrente allega la violazione del giudicato discendente dalla sentenza non definitiva, perchè sarebbe stata affermata la responsabilità del Comune malgrado la questione fosse stata lasciata aperta; lamenta altresì la violazione dell’onere della prova per le ragioni di cui al secondo motivo ed un vizio motivazionale.

A parte la palese inammissibilità della censura motivazionale, proposta del tutto genericamente, il motivo è per il resto infondato: la sentenza non definitiva del 2007 era del tutto neutra ed agnostica sul punto dell’individuazione del soggetto responsabile e si era limitata a prospettare, ma solo astrattamente, la possibilità di una responsabilità extracontrattuale della Regione nei confronti dell’Impresa, completamente da verificare nel merito, tant’è che a tal fine la Corte di appello aveva disposto la consulenza tecnica poi espletata.

La responsabilità (contrattuale) del Comune, alternativamente considerata rispetto alla responsabilità extracontrattuale della Regione nella struttura della sentenza non definitiva, è stata affermata dalla Corte di appello all’esito del ragionamento decisorio che accompagna la sentenza definitiva.

4.3. Il ricorrente aggiunge che inoltre la Corte di appello aveva ritenuto decisiva la richiesta di visione formulata dalla Regione con la nota 1859 del 21/2/1994, senza motivare in ordine alle ragioni per cui tale richiesta potesse esonerare la Regione dalla sua responsabilità ex art. 1218 c.c., che peraltro nulla aveva ritualmente eccepito al proposito, e senza considerare che la stessa consulenza tecnica non aveva affatto sostenuto che il Comune era stato inadempiente rispetto a tale richiesta e aveva accertato i ritardi di erogazione delle due tranches della terza rata (rispettivamente 13 e 50 giorni).

4.4. Quanto all’onere della prova vale l’argomento ostativo all’accoglimento del secondo motivo, esposto nel p. 3.

Quanto ai modesti ritardi nell’erogazione delle rate di acconto n. 3 e 3 bis, la Corte di appello li ha ritenuti giustificati in relazione alla legittima richiesta di chiarimenti avanzata dalla Regione e non adeguatamente prevenuta dal Comune con giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità.

Per altro verso, la doglianza relativa ai cinquanta giorni di ritardo accertati dal Consulente nell’erogazione della terza rata bis viene esposta dal ricorrente in modo del tutto generico, senza argomentarne rilevanza e incidenza sul ritardo da esso maturato nei confronti dell’Impresa M..

5. Il ricorso deve quindi essere rigettato e la parte ricorrente soccombente deve essere condannata alla rifusione delle spese processuali in favore dei controricorrenti, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente Impresa M.F. & c. s.a.s., liquidate nella somma di Euro 3.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge, e in favore della controricorrente Regione Molise, liquidate nella somma di Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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