Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17600 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. II, 21/08/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 21/08/2020), n.17600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 469-2016 proposto da:

P.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato GIORGIO

MARINO, ed elettivamente domiciliata, presso il suo studio, in ROMA,

VIA OPPIDO MAMERTINA 4;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO n. (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a., in persona del curatore

Dott. C.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE

VALVO ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ROMA, VIA

SILVIO PELLICO 24;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3975/2015 della CORTE d’APPELLO di ROMA,

depositata il 2/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/12/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 122/2007 il Tribunale di Rieti – Sezione Distaccata di Poggio Mirteto respingeva, con compensazione delle spese di lite, l’opposizione proposta da P.A. avverso il decreto ingiuntivo n. 102/2001, emesso in favore della (OMISSIS) S.P.A. – fallita nel corso del giudizio, interrotto e proseguito nei confronti del Fallimento – per il pagamento della somma di L. 41.349.330, oltre accessori e spese, inerente fornitura di abbigliamento marca Pickwick.

Contro tale sentenza, a P. proponeva appello, assumendo che la decisione fosse carente in fatto e illegittima in diritto: “a) per avere il primo Giudice sovrapposto la propria interpretazione alla domanda emergente dall’opposizione e dalle note ex art. 183 c.p.c., stante a proposta eccezione ex art. 1460 c.c. e le conclusioni per la revoca del decreto ingiuntivo, il riconoscimento del diritto ex art. 1460 c.c. “dando atto dell’inadempimento reiterato”; b) per la violazione di legge ex art. 183 c.p.c., memoria in cui aveva riformulato le proprie conclusioni chiarendone la portata con la declaratoria di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c., finalizzata alla revoca del decreto ingiuntivo, non potendo interpretarsi come nuova domanda la specificazione di quella già formulata con l’opposizione; c) per l’errata interpretazione degli artt. 1497 e 1453 c.c., richiamata la giurisprudenza di legittimità in materia di oneri probatori nel giudizio di risarcimento danni da inadempimento contrattuale, avendo dimostrato l’esponente l’inadempimento della controparte, per cui era dovuta la revoca del decreto ingiuntivo”.

Si costituiva in appello il Fallimento n. (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a. contestando la fondatezza dei motivi di gravame e proponendo appello incidentale in ordine all’ingiusta compensazione delle spese di lite del primo grado, per chiara violazione del principio di soccombenza. Chiedeva il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado limitatamente al capo con cui era rigettata l’opposizione, con riforma invece del capo relativo alla compensazione delle spese, con liquidazione delle spese del doppio grado.

Con sentenza n. 3975/2015, depositata in data 2.7.2015, la Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello e accoglieva l’appello incidentale, condannando la P. al pagamento delle spese di lite del doppio grado del giudizio.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione P.A. sulla base di due motivi, illustrati da memoria; resiste il Fallimento n. (OMISSIS) (OMISSIS) con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce: “Inadempimento: varie ipotesi previste nel capo XIV del titolo II, dei contratti in generale; necessità di interpretazione sistematica dei principi sanciti dagli artt. 1453,1460 e 1497 c.c.”. La ricorrente deduce che la sospensione dell’obbligazione in autotutela ex art. 1460 c.c. costituisca un momento di riflessione per i contraenti, nel senso che è prodromico o a una regolarizzazione del comportamento dovuto o a una definitiva estinzione del rapporto per inadempimento. Ne consegue che l’accertamento che si richiede mira alla verifica della legittimità della sospensione e da questo potrebbe derivare anche l’accertamento di inadempimento, non essendo necessaria una pronuncia espressa di inadempimento. Si dovrebbe dunque verificare nel contenuto sostanziale della domanda se sia manifestata una volontà di risoluzione e se questa risulti adeguata al fatto inadempimento eccepito come presupposto materiale di tale volontà estintiva.

1.2. – Con il secondo motivo, a ricorrente rileva: “Art. 183 c.p.c. e “mutatio libelli” Inammissibilità. Necessità di interpretazione della formulazione di domanda integrativa”. Osserva la ricorrente che dai momento in cui si chiede l’accertamento della legittimità della sospensione di prestazione ex art. 1460 c.c., si chlede implicitamente anche un accertamento sull’inadempimento. Sicchè se la sospensione risulta legittima, evidentemente sussiste l’inadempimento, per cui non sarebbe necessaria la richiesta di risoluzione, già contenuta nella domanda iniziale.

2. – In considerazione della loro connessione logico giuridica e della analoghe modalità (e vizi) di formulazione, i due motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – Essi sono inammissibili.

2.2. – Ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. Se è vero, infatti, che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. sez. un. 1931 del 2013; Cass. n. 3887 del 2014). Ciò richiede che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 20652 del 2009; Cass. n. 22607 del 2014). E comporta, tra l’altro, a necessaria esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 22254 del 2015; Cass. n. 12929 del 2007).

Viceversa, il presente ricorso, così come formulato nei suoi due motivi, si connota per la sostanziale omissione (tanto nella intestazione che nella parte argomentativa di ciascuno di essi) della precisa indicazione della norma asseritamente violata, nonchè (e soprattutto) per la mancanza di qualsiasi riferimento a censure specificamente riconducibili alle espresse ragioni di impugnazione per cassazione previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1.

2.3. – Questa Corte ha avuto modo di chiarire (Cass. n. 19959 del 2014) che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito.

Ne consegue che i motivo del ricorso deve, appunto, necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; essendo, pertanto, inammissibile la critica generale (e inevitabilmente generica) della sentenza impugnata, formulata con una articolazione di doglianze riferibili ad una eterogeneità di profili non chiaramente individuabili e collegabili ad una delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito (Cass. n. 11603 del 2018).

Ne consegue che — risultando i motivi del ricorso in esame privi di una precisa identificazione, necessaria, appunto, per evidenziarne e compiutamente individuarne il preciso contenuto ed analizzarne la fondatezza o meno – le censure, in tale modo articolate, risultano piuttosto contraddistinte dall’evidente scopo di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione impugnata, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018); così, inammissibilmente, rimettendo al giudice di legittimità il compito di isolare le singole doglianze teoricamente proponibili, onde ricondurle a uno dei mezzi di impugnazione enunciati dal citato art. 360 c.p.c. per poi ricercare quali disposizioni possano essere utilizzabili allo scopo; in sostanza, dunque, cercando di attribuire al giudice di legittimità il compito di dar forma e contenuto giuridici alle generiche censure del ricorrente, per poi decidere su di esse (Cass. n. 22355 del 2019; Cass., n. 2051 del 2019).

3. – Il ricorso va quindi, dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

 

 

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