Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1760 del 27/01/2010

Cassazione civile sez. I, 27/01/2010, (ud. 27/10/2009, dep. 27/01/2010), n.1760

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

O.C. – domiciliata ex lege in ROMA, presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa

dall’avv. Marra Alfonso Luigi, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della giustizia, in persona del Presidente del Consiglio

pro tempore – domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è

rappresentato e difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato il

29.12.2006; udita la relazione della causa svolta nella Camera di

Consiglio del 27 ottobre 2009 dal Consigliere dott. Luigi Salvato;

con la partecipazione del P.M. in persona del S.P.G. dr. RUSSO

Rosario Giovanni.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

O.C. adiva la Corte d’appello di Roma, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Pretore del lavoro di Napoli, avente ad oggetto le somme dovutegli per il ritardo nella corresponsione di assegni assistenziali, con ricorso del 6.12.1991. deciso con sentenza del 21.1.1993, avverso la quale era stato proposto appello nel febbraio 1994, deciso il 9.3.1998. Inoltre, poichè la sentenza era illiquida, il 30.6.2000 aveva proposto giudizio diretto ad ottenere la quantificazione delle somme.

La Corte d’appello, con decreto del 29.12.06 osservava che i due giudizi erano da ritenersi autonomi, in quanto frutto di una scelta della parte, con conseguente decadenza dall’azione, in riferimento al primo giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso O. C., affidato a sette motivi; ha resistito con controricorso il Ministero della giustizia.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti.

CONSIDERATO IN DIRITTO 1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:

“1.- Con il primo motivo è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 4, art. 132 c.p.c.), e, in sintesi, è posta la seguente questione, sintetizzata nel quesito: è corretto considerare il giudizio di quantificazione, in conformità di quanto precisato da parte ricorrente, un giudizio autonomo ed ininfluente ai fini dell’equa riparazione, ovvero lo stesso è collegato e parte del giudizio della sentenza il liquida, necessario per il reale soddisfacimento del diritto).

I restanti mezzi denunciano erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 1 e 6 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., n. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) pongono questioni relative: al termine di durata ragionevole del giudizio (motivo 2), all’efficacia della CEDU (motivo 3), al parametro di quantificazione dell’equa riparazione (motivo 4), al periodo da considerare ai fini dell’equa riparazione (motivi 5 e 6) al diritto ad un bonus di Euro 2.000,00, in relazione a particolari controversie.

2.- Il primo motivo sembra manifestamente infondato.

Questa Corte ha di recente affermato il seguente principio: in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la separata proposizione della domanda per l’accertamento di un diritto di credito e di quella successiva per la determinazione del quantum debeatur da luogo a giudizi diversi ed autonomi, e la relativa scissione dei due momenti processuali è conseguenza di una scelta rimessa all’esclusiva ed insindacabile volontà della parte.

Pertanto, all’interno di ciascuno dei due giudizi deve essere individuato l’atto conclusivo e, con esso, il dies a quo di decorrenza del termine semestrale per la proposizione della domanda di equa riparazione, restando dunque escluso che il suddetto termine, in relazione al primo giudizio, resti inoperante ed inizi a decorrere solo dal momento in cui la decisione del secondo giudizio sia divenuta definitiva (Cass. n. 18603 del 2008).

In applicazione di detto principio, condiviso dal Collegio e che nessun argomento svolto induce a rimeditare, sembra manifesta l’infondatezza del mezzo, in quanto alla data della proposizione del ricorso era decorso il termine della L. n. 89 del 2001, art. 4, in riferimento al giudizio sull’an, proposto autonomamente dalla parte e non considerabile unitamente a quello sul quantum.

I restanti mezzi sembrano manifestamente inammissibili, perchè inconferenti rispetto alla rado ed al decisum del decreto, non avendo alcun rilievo gli argomenti in essi svolti, una volta accertata la decadenza dal diritto in esame”.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano, in quanto danno applicazioni a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, pure indicata nella relazione, neppure contestati dall’istante.

Il ricorso va quindi rigettato; le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare te spese della presente fase, che liquida in complessivi Euro 900,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010

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