Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17598 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. I, 28/06/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 28/06/2019), n.17598

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25389/2017 proposto da:

N.B., elettivamente domiciliato in Roma, Via Barnaba

Toirtolini n. 30, presso lo studio dell’avvocato Placidi Alfredo,

rappresentato e difeso dall’avvocato Zorzella Nazzarena, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, Procuratore Generale della Corte di

Cassazione;

– intimati –

avverso la sentenza n. 757/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, del

24/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/04/2019 dal cons. Dott. TRIA LUCIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 24 marzo 2017, accoglie l’appello principale del Ministero dell’Interno avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna – che aveva concesso il permesso di soggiorno per motivi umanitari al cittadino nigeriano N.B. – e, in riforma dell’impugnata ordinanza, rigetta le domande del ricorrente;

2. la Corte d’appello, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il Tribunale di Bologna, all’esito dell’istruttoria, ha respinto la domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato non rilevando con certezza i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), relativi al timore di persecuzioni dirette e personali per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale od opinioni politiche;

b) neppure sono stati ravvisati gli estremi per la concessione di protezione sussidiaria, che deve essere riconosciuta quando esiste il rischio effettivo di essere sottoposto a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti;

c) invece, il primo Giudice ha ritenuto sussistenti elementi tali da integrare i gravi motivi di carattere umanitario per il rilascio del relativo permesso di soggiorno, valorizzando la situazione del ricorrente di estrema vulnerabilità alla luce del suo vissuto personale;

d) il Ministero dell’Interno evidenzia la contradditorietà della decisione, in quanto se il Tribunale ha considerato inverosimile la vicenda narrata nel corso del procedimento al fine di escludere la sussistenza delle condizioni per la protezione sussidiaria, non avrebbe dovuto concedere la protezione umanitaria, in quanto secondo l’orientamento della Corte di cassazione, la protezione umanitaria spetta quando le gravi ragioni di protezione accertate abbiano gravità e precisione pari a quelle della maggiore forma di protezione ma solo temporalmente limitate (Cass. n. 12135/2013);

e) per il Ministero, il richiamo alla condizione generale del Paese di origine non è sufficiente ai fini della concessione della protezione internazionale, in quanto, in ipotesi siffatte, è carente la prova della persecuzione diretta, grave e personale, oltre che della circostanza che il pericolo per l’incolumità del richiedente ai fini della ricorrenza della protezione internazionale nella forma della protezione sussidiaria sia ancora attuale in ipotesi di forzato rientro nel Paese di origine;

f) il Ministero aggiunge che le uniche misure umanitarie previste sono quelle “serie” di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 18,19 e 20 non essendovi per il ricorrente pericoli per la vita o per violenze indiscriminate quali previste dalla normativa in materia;

g) l’appello del Ministero è fondato;

h) infatti, il Ministero sottolinea la mancanza di prove di “riscontro obiettivo” in merito alle minacce gravi, persecuzioni ed aggressioni subite dal richiedente da parte dell’ipotizzato gruppo di criminali, che lo avrebbe perseguitato per vendicarsi del rapimento di una ragazza che il ricorrente avrebbe contribuito a sventare;

i) specificamente, rimane non credibile la circostanza che il rapimento sia stato sventato attraverso la proposizione di una denunzia presso la polizia e che pur a seguito della stessa i malviventi sarebbero rimasti a piede libero ed anzi avrebbero ottenuto dalla polizia stessa informazioni sul luogo di lavoro del ricorrente presso il quale i criminali si sarebbero recati per vendicarsi del denunziante;

l) alla luce della non credibilità della narrazione, il richiamo alla condizione generale del Paese di origine non è sufficiente ai fini della concessione della protezione internazionale, in quanto è carente anche la prova della sussistenza di una persecuzione diretta, grave e personale, come rilevato dal Ministero;

m) deve pertanto rilevarsi, nel caso concreto, la mancanza di credibilità e di autosufficienza delle circostanze narrate, prive di un minimo di riferimento obiettivo a fatti e circostanze specifiche, evidenziandosi, al di là della narrazione circa la situazione generale di instabilità del proprio Paese, la mancanza dell’attualità del pericolo;

n) sembra, in sintesi, che la vicenda personale del ricorrente sia connotata da un carattere esplorativo e sia sostenuta da una apparenza di automatismo tra la situazione dello Stato di provenienza e la tutela invocata.

3. il ricorso di N.B. domanda la cassazione della suddetta sentenza per tre motivi; il Ministero dell’Interno non svolge attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Sintesi dei motivi.

1. il ricorso è articolato in tre motivi;

2. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3;

2.1. si sostiene che è palese l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte territoriale laddove ha escluso la credibilità del richiedente per la mancanza di prove di “riscontro obiettivo” delle sue dichiarazioni, visto che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non richiede alcun riscontro obiettivo del genere, ma delinea un preciso percorso per l’esame della domanda di protezione internazionale;

2.2. nel caso di specie, non risulta che sia stato rispettato siffatto percorso legale, mentre, al contrario, l’esclusione della tutela per il ricorrente risulta basata su apodittiche valutazioni soggettive di inverosimiglianza o di non credibilità del racconto del richiedente;

2.3. la credibilità era stata ben motivata nella sentenza di primo grado, prendendosi in considerazione tutte le dichiarazioni rese dal richiedente, in ogni ambito nel quale sono intervenute, con un giudizio di coerenza e non contradditorietà delle stesse, sia sotto il profilo intrinseco che estrinseco;

2.4. le affermazioni della Corte di appello in merito alla non credibilità del racconto del ricorrente esprimono invece opinioni soggettive del tutto immotivate che non trovano riscontro negli atti di causa dai quali emerge chiaramente la presenza di elementi idonei a superare eventuali perplessità attraverso la lettura di tutte le diverse dichiarazioni rese dall’interessato;

2.5. la Corte di appello non ha fatto applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 anche laddove ha riformato la sentenza di primo grado senza indicare fonti di informazione idonee a supportare tale decisione ma semplicemente sulla base di una propria opinione personale, fondata sull’onere del richiedente di fornire prove di “riscontro obiettivo” delle sue dichiarazioni;

2.6. la Corte anzichè seguire l’iter valutativo di credibilità del richiedente previsto dall’art. 3 cit. secondo cui devono essere applicati i criteri ivi previsti ha violato la norma, come è emblematicamente dimostrato dal punto della motivazione nel quale la Corte territoriale, pur rilevando di aver trovato conferma nell’attentato di (OMISSIS) (riferito dal richiedente), tuttavia afferma che il pericolo si sarebbe concentrato nelle regioni del nord della Nigeria e che comunque “l’attuale Presidente G. ha avviato una politica decisamente più aggressiva” contro simili attentati;

2.7. in tal modo la Corte non solo ha violato la suddetta disposizione ma lo ha fatto senza avvedersi di aver commesso due “clamorosi errori” in quanto (OMISSIS) è nel nord della Nigeria e dal maggio 2015 il Presidente del Paese non è più G.J. ma M.B., sicchè può dirsi che la protezione internazionale al richiedente è stata negata sulla base di presupposti erronei;

2.8. la Corte ha violato il citato art. 3 anche perchè ha attribuito una valenza negativa alla ripetitività delle ragioni di fuga dei richiedenti protezione internazionale o umanitaria (che si verifica perchè di frequente tali ragioni sono simili per gruppi provenienti da aree o contesti socio-politici o religiosi demarcate da elevata conflittualità), visto che, per la giurisprudenza di legittimità, tale elemento lungi dall’essere un criterio normativo di credibilità impone ancor più rigorosamente l’esame delle condizioni oggettive del Paese (Cass. n. 22111/2014);

3. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatti decisivi;

3.1. si rileva che la Corte d’appello non solo ha ritenuto non credibili le dichiarazioni del ricorrente secondo proprie opinioni, ma ha, nel contempo, omesso di esaminare le spiegazioni date dall’interessato alle perplessità sottese alle opinioni stesse, nonostante si tratti di elementi essenziali ai fini del decidere;

3.2. tali spiegazioni nella specie risultano coerenti con le fonti di informazioni sulla Nigeria allegate in giudizio e assunte anche dal Tribunale, circa l’elevata corruzione delle istituzioni, tra le quali la polizia, che dunque rendono verosimile il racconto dell’interessato nel punto in cui ha riferito che la corruzione dei poliziotti è avvenuta a favore dei criminali e non del politico, la cui figlia era stata vittima del rapimento sventato da parte del ricorrente;

3.3. la Corte d’appello non ha preso in esame nemmeno le prove documentali prodotte dal ricorrente già davanti alla Commissione territoriale e quelle prodotte in giudizio;

4. con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del TU n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

4.1. si sostiene che la Corte d’appello ha errato nel ritenere che la disciplina giuridica della protezione internazionale sia identica a quella umanitaria, visto che hanno ratio e presupposti completamenti diversi;

4.2. la Corte territoriale si è fermata solo ad una mera valutazione sulla credibilità, come se questa fosse elemento imprescindibile ed esaustivo, mentre, in linea astratta, la narrazione del richiedente asilo potrebbe non essere di per sè verosimile o credibile o pertinente agli istituti della protezione internazionale, ma la condizione del richiedente ben potrebbe esprimere e sottendere un bisogno di tutela rispetto a gravi lesioni di diritti costituzionali o internazionali o per gravi motivi umanitari, secondo quanto indicato dalla giurisprudenza di legittimità;

Esame dei motivi.

5. l’esame dei motivi di censura porta al rigetto del primo e del terzo motivo di ricorso e alla dichiarazione di inammissibilità del secondo motivo, per le ragioni di seguito indicate;

6. in base ad un orientamento consolidato e condiviso di questa Corte in tema di protezione internazionale degli immigrati, sia la Commissione territoriale, alla quale spetta la prima valutazione della domanda di protezione internazionale, sia gli organi di giurisdizione ordinaria sono tenuti a valutare l’esistenza delle condizioni poste a base delle misure tipiche e della misura residuale del permesso umanitario, utilizzando il potere-dovere d’indagine previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e quello relativo alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente, precisato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 con forte attenuazione del regime ordinario dell’onere della prova (vedi, per tutte: Cass. n. 16221/2012);

7. ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) della citata norma, dovendosi tenere presente che in ordine alla valutazione dell’esistenza delle condizioni poste a base delle misure tipiche e della misura residuale del permesso umanitario vi è una “forte attenuazione del regime ordinario dell’onere della prova”, posto che il citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 non prende in considerazione puramente e semplicemente la maggiore o minore specificità del racconto del richiedente asilo, ma impone al giudice del merito di effettuare valutazioni ulteriori, attinenti alle ragioni dell’eventuale genericità, secondo uno schema di valutazione dei fatti, delle dichiarazioni e degli indizi indicati nell’art. 3 cit., commi 3, 4 e 5 di tipo probabilistico ed inferenziale (Cass. n. 18130/2017);

8. in particolare, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (Cass. n. 26921/2017); Cass. n. 21610/2018);

9. peraltro, in base ad un consolidato orientamento di questa Corte, in presenza di dichiarazioni ritenute motivatamente intrinsecamente non attendibili alla stregua degli indicatori di genuinità di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 il giudice è esentato dall’onere di cooperazione nell’acquisizione probatoria (vedi, per tutte: Cass. 19 febbraio 2019, n. 4892), che, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 gli impone di accertare la situazione reale del Paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente asilo che la Commissione Nazionale, ai sensi dell’art. 8, comma 3 sopra citato, fornisce agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative (Cass. n. 10202/2011; Cass. n. 13172/2013);

10. nella specie, la Corte d’appello – diversamente da quel che si sostiene nel primo e nel terzo motivo di ricorso – ha indicato in modo esauriente le plurime ragioni per le quali ha considerato poco attendibile il racconto del richiedente facendo espresso riferimento a diverse circostanze poco convincenti in esso contenute e sottolineando che il richiamo alla condizione generale del Paese di origine (Nigeria) non è sufficiente per la concessione della protezione internazionale se non è integrato dall’esistenza di specifiche ragioni di pericolo personalizzate;

11. a fronte di una simile motivazione è ininfluente la presenza nella sentenza dei dati erronei evidenziati dal ricorrente (in merito alla localizzazione della città di (OMISSIS) in Nigeria e al Presidente del Paese, di cui si è detto);

12. nè assume rilievo la circostanza che la Corte d’appello sia pervenuta ad un “complessivo” rigetto delle domande proposte da N.B., senza esaminare autonomamente le singole domande e, in particolare, quella relativa al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie;

13. va, infatti, osservato che, nella specie, la motivata valutazione di non credibilità delle dichiarazioni dell’interessato rileva per escludere non solo la protezione internazionale, ma anche la concessione della protezione umanitaria;

14. infatti, l’effettuazione della valutazione autonoma dell’esistenza delle specifiche e particolari condizioni di vulnerabilità che integrano i requisiti per il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie – strutturalmente diversi dai presupposti stabiliti per le misure di protezione internazionale – in tanto deve essere compiuta in quanto si sia in presenza almeno di un racconto credibile circa la vicenda personale dell’interessato (Cass. n. 4455/2018; Cass. n. 28990/2018; Cass. n. 11267/2019);

15. in mancanza di tale elemento non è necessario procedere alla suddetta valutazione e il rigetto della relativa domanda può anche essere implicito, come accade nella specie;

16. le suddette osservazioni portano all’infondatezza del primo e del terzo motivo di ricorso;

17. il secondo motivo va, invece, dichiarato inammissibile perchè in base all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano;

Conclusioni.

18. in sintesi il ricorso deve essere respinto;

19. nulla si deve disporre per le spese del presente giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede;

20. si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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