Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17596 del 28/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/07/2010, (ud. 01/04/2010, dep. 28/07/2010), n.17596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO STRACAM SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA BOEZIO

14, presso lo studio dell’avvocato MARSILI FELICIANGELI ALBERTO,

rappresentato e difeso dall’avvocato CIARROCCHI NAZZARENO, con

procura speciale notarile del Not. Dr. ALESSANDRO MORI in FERMO, rep.

n. 10996 del 10/09/2009;

– resistente con procura notarile –

avverso la sentenza n. 191/2006 della COMM. TRIB. REG. di ANCONA,

depositata l’08/02/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/04/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato TIDORE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato CIARROCCHI, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 9/2/2007 la Commissione Tributaria Regionale delle Marche respingeva il gravame interposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Ascoli Piceno di parziale accoglimento dell’opposizione spiegata nei confronti di avviso di accertamento emesso a titolo di I.R.P.E.G. ed I.L.O.R. per l’anno d’imposta 1997.

Avverso la suindicata decisione del giudice dell’appello l’Agenzia delle entrate propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi, con i quali denunzia vizi di motivazione in ordine a fatti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si è tardivamente costituito il Fallimento Stracam s.p.a., che ha partecipato alla discussione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo la ricorrente denunzia insufficiente motivazione su fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che “l’affermazione che già nel 1997 la ECO s.r.l. si trovasse in stato di insolvenza, mutuata da quanto asserito dalla controparte nei propri scritti difensivi, non trova riscontro alcuno ed è anzi smentita dalla documentazione acquisita agli atti del processo”.

Con il 2^ motivo la ricorrente denunzia omessa motivazione su fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta non esistere “in atti la prova che lo storno contabile del credito della Stracam. S.p.s. nei confronti della Eco s.r.l.

effetuato mediante “giroconti per compensazione di partite” con altri fornitori sia stato accompagnato dalla necessaria rettifica del valore del credito nella voce D del conto economico”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierna ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come la medesima faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., alla “documentazione acquisita agli atti del processo”, ai “decreti ingiuntivi emessi contro la Eco srl dal tribunale di Fermo in data 18 febbraio 1998, 19 febbraio 1998 e in data 20 febbraio 1998, e dal tribunale di Macerata in data 27 febbraio 1998”, a “due note inviate in data 10 marzo 1998 alla Banca Nazionale del lavoro e alla Banca Nazionale dell’Agricoltura”, all'”elenco delle istanze di fallimento presentate contro la Eco srl al Tribunale civile di Macerata da cui risulta che le istanze sono state presentate il 19/10/1998, 22/12/1998, 30/12/1998, 7/1/1999, 2/3/1999, 3/5/1999″, a “un elenco di protesti elevati contro la Eco s.r.l., da cui risulta che il primo protesto risale al 19 febbraio 1998”, alla “sentenza dichiarativa del fallimento della Eco srl.

(emessa il 27 maggio 1999)”; ad “alcune istanze di insinuazione al passivo fallimentare”; alla “voce D del conto economico”) di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente rinviare agli atti del giudizio di merito, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso.

A tale stregua essa non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., l/2/1995, n. 1161).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunzi are vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierna ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa l’asseritamele erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr., da ultimo, Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come si è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., la ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida m complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 1 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2010

 

 

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