Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17593 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. I, 28/06/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 28/06/2019), n.17593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20925/2014 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in Roma, Salita di San

Nicola da Tolentino n. 1/b, presso lo studio dell’avvocato Stigliano

Antonello, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.p.a., in persona del curatore Dott.

D.L.R., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Carso n. 43, presso

lo studio dell’avvocato Izzo Carlo Guglielmo, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato De Savorgnani Francesco, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di GORIZIA, depositato il

25/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/04/2019 dal cons. Dott. VELLA PAOLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con il decreto impugnato, il Tribunale di Gorizia ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) S.p.a., proposta da M.L. contro il rigetto della domanda di ammissione del credito di Euro 114.400,00 oltre accessori, interessi, rivalutazione e spese, in prededuzione o in subordine con il privilegio ex art. 2741 bis c.c., n. 2), in relazione all’attestazione svolta con riguardo alla proposta di accordo di ristrutturazione L. Fall., ex art. 182-bis, comma 6, dei debiti della società poi fallita.

2. Avverso detto decreto il M. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui la curatela ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo si lamenta – testualmente – la “violazione ed errata applicazione delle norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), in relazione al combinato disposto di cui ex artt. 2700,2701 e 2704 c.c. congiuntamente all’omessa e/o insufficiente motivazione ovvero motivazione apparente del provvedimento impugnato”, laddove il tribunale ha affermato che “non v’è agli atti di prova alcuna di un accordo tra le parti volto a giustificare la pretesa del M.” e “in ultimo, nemmeno vi è prova dell’attività asseritamente svolta”.

4. Con il secondo mezzo ci si duole – sempre testualmente – della “violazione ed errata applicazione delle norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), in relazione al combinato disposto di cui ex art. 2704 c.c. congiuntamente all’omessa e/o insufficiente motivazione ovvero motivazione apparente del provvedimento impugnato”, laddove il tribunale ha affermato che nè nel termine concesso dal Curatore nè nel presente giudizio il ricorrente ha prodotto ulteriore documentazione, recante data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, e, dunque, opponibile al fallimento, volta a colmare le lacune evidenziate.

5. Il terzo motivo prospetta ancora una volta la “violazione ed errata applicazione delle norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), in relazione al combinato disposto di cui D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, ex art. 9 convertito con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, congiuntamente all’omessa e/o insufficiente motivazione della stessa sentenza impugnata”, nella parte in cui il tribunale ha ricordato che il curatore, “nel progetto di stato passivo, aveva primieramente evidenziato la mancanza della liquidazione del compenso da parte dell’ordine professionale di appartenenza”.

6. Tutte le censure sono affette da plurimi profili di inammissibilità.

6.1. In primo luogo, la congerie di argomentazioni svolte promiscuamente in ciascun motivo, mediante la denunzia contestuale di errores in iudicando, errores in procedendo e vizi motivazionali, viola apertamente i canoni di specificità e tassatività prescritti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), per il giudizio di cassazione, ponendosi altresì in contrasto con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di enucleare le singole censure (ex plurimis, Cass. 5339/2019, 11222/2018, 2954/2018, 27458/2017, 23265/2017, 16657/2017, 4934/2017, 3554/2017, 21016/2016, 19133/2016, 3248/2012, 19443/2011).

6.2. Inoltre, le censure motivazionali non rispettano l’attuale paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – come riformulato ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis – il quale contempla l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, onerando il ricorrente di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8503/2014; conf., ex plurimis, Cass. 29/10/2018 n. 27415). Al riguardo è stato precisato che l’omesso esame di prove non è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) laddove il relativo fatto storico sia stato comunque preso in considerazione (Cass. 5339/2019).

6.3. I motivi veicolano comunque censure attinenti al merito della causa, con particolare riguardo all’attività valutativa svolta dal giudice rispetto alle fonti probatorie, trascurando il consolidato orientamento di questa Corte per cui la contestazione di un cattivo esercizio, da parte del giudice di merito, del potere di apprezzamento delle prove (che non siano legali) non dà luogo a vizio denunciabile con il ricorso per cassazione – salvo che ridondi in nullità per violazione dell’art. 132, n. 4, ovvero dell’art. 115 c.p.c. – (cfr. Cass. 1229/2019, 23153/2018, 9356/2017, 11892/2016), sia perchè la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione (come detto censurabile solo nei limiti ritagliati dal nuovo art. 360 c.p.c., n. 5) qui non rispettati), sia perchè con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto precluso in sede di legittimità (ex plurimis, Cass. 11863/2018, 29404/2017, 16056/2016); non è quindi sindacabile in questa sede l’errore di valutazione che investa l’apprezzamento dell’efficacia dimostrativa della fonte di prova rispetto al fatto che si intende provare (Cass. 27033/2018, 9356/2017), in quanto i motivi di ricorso non possono risolversi nella sollecitazione di una rilettura degli atti, quasi si trattasse di un terzo grado di giudizio di merito (Cass. 4834/2019).

6.4. A ciò si aggiunganono la genericità e il difetto di autosufficienza di molte deduzioni contenute nei motivi (ad esempio laddove si fa riferimento a pattuizioni, missive e acconti variamente ricondotti ad un piano attestato di risanamento, a un accordo di ristrutturazione dei debiti apparentemente rinunciato e a un successivo concordato preventivo), la novità di altre (prontamente eccepita in controricorso), nonchè la prospettazione di aspetti che, se sussistenti, potrebbero semmai integrare errori di tipo revocatorio. A fronte di tutto ciò, alcune censure (come la prima) non sembrano nemmeno cogliere interamente la ratio decidendi del decreto impugnato, con cui il tribunale ha in ultima analisi rilevato la mancanza di prova certa di un accordo tra le parti, anche sul compenso, e dell’attività effettivamente svolta.

7. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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