Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17593 del 14/07/2017


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Cassazione civile, sez. II, 14/07/2017, (ud. 20/04/2017, dep.14/07/2017),  n. 17593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10343-2014 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PORTUENSE

104, presso lo studio dell’Avvocato ANTONINO RUSSO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.R., elettivamente domiciliata a ROMA, VIA AQUILEIA 12,

presso lo studio dell’Avvocato ANDREA MORSILIO, rappresentato e

difeso dall’Avvocato VITTORIO CAVOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 329/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 01/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/04/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.R. ha convenuto G.G. innanzi al tribunale di Palermo chiedendo che fosse dichiarata la legittimità del suo recesso con riferimento al contratto preliminare stipulato il 7/6/2001, avente ad oggetto la compravendita di un fondo di circa mq. 4.350 in (OMISSIS).

Il tribunale di Palermo, con sentenza del 6/6/2007, ha dichiarato la legittimità del recesso dell’attrice dal contratto preliminare, affermando il diritto della stessa di trattenere la caparra ricevuta e condannando il convenuto al rilascio del fondo.

G.G., con citazione del 27/6/2007, ha proposto appello avverso tale sentenza deducendo, in sostanza, di non essere stato inadempiente all’obbligo di stipulare il contratto definitivo, essendo stata, piuttosto, la promittente venditrice a non aver adempiuto al suo obbligo di fargli conseguire la proprietà del fondo posto che una parte dello stesso, sebbene di estensione esigua rispetto al resto, ricade in area demaniale, sicchè il suo rifiuto di stipulare il contratto definitivo non è contrario a buona fede in quanto giustificato dal grave inadempimento della promittente venditrice, che impedisce, a norma dell’art. 823 c.c., la commercializzazione dell’immobile e la stipula di un valido contratto definitivo se non previo frazionamento delle particelle esistenti e con l’autorizzazione della pubblica amministrazione.

In forza di tali fatti, l’appellante ha chiesto l’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta in primo grado (di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.) ed, in subordine, la limitazione del diritto della C. di trattenere la caparra ricevuta alla somma di Euro 4.618,58, pari al 10% del prezzo pattuito, deducendo sul punto che la somma di Lire 54.000.000 è stata versata sia a titolo di caparra confirmatoria che in conto di anticipazione del prezzo.

L’appellata si è costituita ed ha resistito al gravame.

La corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata l’1/3/2013, ha rigettato l’appello.

A sostegno della decisione, la corte – dopo aver affermato che la fattispecie in esame dev’essere inquadrata nell’ambito del contratto preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui, riguardando l’area demaniale non l’intero fondo ma solo una parte dello stesso, con la conseguenza che, a norma degli artt. 1478 e 1480 c.c., il promittente venditore resta obbligato, oltre che alla stipula del contratto definitivo per la quota di sua spettanza, a procurare il trasferimento al promissario acquirente anche di quella rimanente, facendo in modo che questi acquisti la proprietà, e che, in caso di inadempimento, trovano applicazione le norme ordinarie in materia di risoluzione e non l’art. 2932 c.c. – ha ritenuto, quanto al caso in esame, per un verso, che la porzione del fondo di proprietà della C., alla luce dell’incontestato accertamento svolto dal consulente tecnico di ufficio nel corso del giudizio di primo grado, può essere trasferita senza che sia necessario alcun frazionamento catastale, essendone chiara la consistenza e l’ubicazione, e, per altro verso, che la porzione demaniale è pari a mq. 380 e costituisce, quindi, una minima parte del fondo promesso in vendita che, collocandosi al margine del medesimo, non ne impedisce lo sfruttamento agricolo.

In forza di tali rilievi, la corte ha concluso che, alla luce di una valutazione comparativa dei comportamenti inadempienti dell’una o dell’altra parte, l’inadempimento della promittente venditrice, relativamente all’impossibilità di trasferire la parte di fondo che non è di sua proprietà, non ha inciso in misura determinante e prevalente sulla causa del contratto, risultando, piuttosto, non giustificabile il rifiuto del promittente acquirente di stipulare il contratto definitivo in mancanza della porzione demaniale, non essendo emerso che il G. non si sarebbe obbligato ad acquistare il fondo senza la minima parte dello stesso ricadente in area demaniale, affermando, in definitiva, la legittimità del recesso esercitato dalla promittente venditrice.

La corte, poi, ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta dall’appellante, poichè il contratto preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui non è suscettibile di esecuzione forzata a norma dell’art. 2932 c.c..

Quanto, infine, alla somma versata a titolo di caparra ed anticipazione del prezzo, la corte ha ritenuto che, non avendo le parti fatto alcuna distinzione al riguardo, nessuna riduzione è possibile, confermando, pertanto, anche sul punto la decisione appellata.

G.G., con ricorso notificato a mezzo di ufficiale giudiziario mediante consegna al portiere in data 15/4/2014 spedizione di raccomandata informativa il 16/4/2014, ha chiesto, per un unico ed articolato motivo, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata (e depositata in copia autenticata), della corte d’appello.

C.R., con controricorso notificato in data 12.13/5/2014, ha resistito al gravame.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo dedotto, il ricorrente, dichiaratamente contestando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1385 c.c., comma 2°, ha censurato la sentenza impugnata per aver ritenuto possibile il trasferimento della porzione di fondo di proprietà della C. senza considerare che, al contrario, a fronte di un vincolo che esclude, anche se solo in parte, la proprietà del bene in capo al venditore, il trasferimento del residuo non è possibile se non con il frazionamento dell’unica particella catastale e, quindi, con la necessaria autorizzazione del Demanio Trazzerale e l’affrancazione prevista dalla L.R. n. 10 del 1999 e succ. mod., dando così rilevanza solo all’inadempimento del promissario acquirente laddove il venditore, che ha nascosto tale circostanza al momento della sottoscrizione del preliminare, non solo non ha adempiuto alla sua unica obbligazione ma neppure avrebbe potuto senza rimuovere l’ostacolo impeditivo del trasferimento.

2. Il motivo è inammissibile.

Premesso che l’ipotesi della cd. “doppia conforme”, prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, è applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv. in L. n. 134 del 2012, solo ai giudizi d’appello introdotti (a differenza di quello che ha caratterizzato il presente giudizio) con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, rileva la Corte che la censura articolata dal ricorrente, sebbene intitolata in termini di violazione e falsa applicazione di una norma di legge sostanziale (e, segnatamente, dell’art. 1385 c.c., comma 2), si risolve, in realtà, nella denuncia di un vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Ed è, invece, noto come il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 24298/2016): ciò che, nel caso in esame, risulta del tutto omesso.

Del resto, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, ricorre (o non ricorre) a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione (“id est”: del processo di sussunzione), rilevando solo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata, poichè il ricorrente è tenuto, in ogni caso, a prospettare l’erronea interpretazione di una norma da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata e ad indicare, a pena d’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 4, i motivi per quali chiede la cassazione (Cass. n. 26307/2014).

3. In ogni caso, il motivo, ove mai fosse riconducibile a quello previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè al vizio di motivazione, sarebbe senz’altro infondato.

Nei contratti a prestazioni corrispettive, infatti, la valutazione comparativa degli opposti inadempimenti che il giudice di merito deve compiere è incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata.

Nella specie, la corte d’appello, con motivazione logica ed immune da errori, a seguito di una valutazione comparativa degli inadempimenti commessi dall’una e dall’altra parte, ha, in sostanza, ritenuto che l’inadempimento della promittente venditrice, relativa alla parte di fondo cadente in zona demaniale, non ha inciso in misura determinante e prevalente sulla causa del contratto, risultando, piuttosto, non giustificabile il rifiuto del promittente acquirente di stipulare il contratto definitivo in mancanza della porzione predetta (cui è obbligato, a norma dell’art. 1480 c.c., trattandosi di preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui e non essendo emerso in giudizio che lo stesso non si sarebbe obbligato ad acquistare il fondo senza la parte ricadente in area demaniale) pur in mancanza di frazionamento catastale, rilevando, per un verso, che era chiara la consistenza e l’ubicazione della porzione trasferibile, e, per altro verso, che la porzione demaniale era pari a mq. 380, costituendo quindi, una minima parte del fondo promesso in vendita che, collocandosi al margine del medesimo, non ne avrebbe impedito lo sfruttamento agricolo.

4. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

5. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate, d’ufficio, in dispositivo.

6. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2017

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