Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17591 del 14/07/2017


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Cassazione civile, sez. II, 14/07/2017, (ud. 07/04/2017, dep.14/07/2017),  n. 17591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17038 – 2013 R.G. proposto da:

V.A., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata in Roma,

alla via Cunfida, n. 20, presso lo studio dell’avvocato Francesco

Oliveti che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Danilo

Riponti ed all’avvocato Maura Pessot la rappresenta e difende in

virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

V.I., F.C., B.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 488/2013 della corte d’appello di Venezia;

udita la relazione in camera di consiglio del 7 aprile 2017 del

consigliere dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto notificato il 23.12.1991 V.I. citava a comparire dinanzi al tribunale di Treviso il padre, V.P., e la sorella, V.A..

Esponeva che in data (OMISSIS) era deceduta ab intestato sua madre, Bi.Ma.; che eredi legittimi erano ella attrice, il padre e la sorella; che la de cuius aveva disposto in vita dei suoi beni con donazioni in favore delle figlie.

Chiedeva che si procedesse alla divisione dell’asse ereditario.

Si costituivano V.P. ed V.A..

Non si opponevano allo scioglimento della comunione ereditaria previa collazione dei beni oggetto delle donazioni operate in vita dalla de cuius.

Espletata c.t.u., in data 6.11.1998 decedeva V.P..

Con atto notificato il 4.5.1999 V.I. citava a comparire dinanzi al tribunale di Treviso la sorella, V.A..

Esponeva che in data 9.2.1999 era stato pubblicato testamento olografo datato 13.5.1993, apparentemente di pugno del padre, con il quale il genitore aveva disposto di tutti i suoi beni in favore della sorella A..

Chiedeva che si dichiarasse la nullità del testamento, siccome non integralmente di pugno del testatore, e che si facesse luogo alla divisione dell’eredità paterna secondo le regole della successione legittima previa collazione ed eventuale riduzione, se lesive dei suoi diritti di legittimaria, delle donazioni; in subordine, acclarata eventualmente l’autenticità del testamento, chiedeva farsi luogo allo scioglimento della comunione ereditaria previa riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni lesive dei suoi diritti di legittimaria.

Si costituiva V.I..

Instava per il rigetto dell’avversa domanda; esperiva altresì domanda riconvenzionale.

Espletata c.t.u. grafologica, assunta la testimonianza di Bi.Ge., escusso nuovamente – a seguito di ordinanza collegiale del 25.9.2003 – il medesimo teste, il tribunale di Treviso con sentenza non definitiva n. 1607/2004 dichiarava la nullità del testamento in data 13.5.1993 e, conseguentemente, che l’eredità di V.P. si era devoluta alle figlie secundum legem; con separata ordinanza disponeva per l’ulteriore corso istruttorio onde far luogo alla divisione.

Riuniti i giudizi, disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di F.C. e di B.L., espletata la c.t.u. ai fini della predisposizione del progetto divisionale e dell’eredità di Bi.Ma. e dell’eredità di V.P., con sentenza definitiva n. 1479/2010 il tribunale adito faceva luogo alla divisione in conformità al progetto divisionale predisposto dall’officiato consulente.

Avverso la sentenza non definitiva e la sentenza definitiva proponeva appello V.A..

Resisteva V.I.; esperiva appello incidentale.

Non si costituivano e venivano dichiarati contumaci F.C. e di B.L..

Con sentenza n. 488/2013 la corte d’appello di Venezia rigettava il gravame principale, rigettava il gravame incidentale, confermava in toto, previa integrazione del dispositivo della sentenza definitiva, le impugnate statuizioni e compensava integralmente le spese del grado.

Evidenziava la corte che correttamente il tribunale aveva ritenuto inattendibili le dichiarazioni del teste Bi.Ge. in mancanza di riscontri oggettivi; che invero, da un canto, lo stesso Bi. aveva “riferito che nessun altro era presente al momento della scritturazione dell’atto” (così sentenza d’appello, pag. 13), dall’altro, che la deposizione era “smentita in toto dalle conclusioni di certa apocrifia alle quali è pervenuto dopo attenta valutazione di tutte le copiose scritture di comparazione l’ausiliario” (così sentenza d’appello, pag. 13).

Evidenziava inoltre, in ordine agli esiti dell’indagine grafologica, che V.A. non aveva “mosso rilievi critici all’operato dell’ausiliario sotto il profilo tecnico/scientifico e del metodo usato” (così sentenza d’appello, pag. 14), sicchè per nulla si giustificava un’eventuale rinnovazione della consulenza; che segnatamente il consulente d’ufficio aveva evidenziato “la totale discordanza della grafia della scheda testamentaria rispetto a quella delle ben undici firme autentiche di comparazione” (così sentenza d’appello, pag. 15), nel quadro di un esame “esteso ad ogni lettera e gruppi di segni grafici, di cui è stata fornita di volta in volta accurata valutazione, mediante il riscontro di grafismi e singole modalità emergenti solo nelle firme autentiche e non anche in quelle portate dal preteso testamento” (così sentenza d’appello, pag. 16).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso V.A.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

V.I., F.C. e B.L. non hanno svolto difese. La ricorrente ha depositato memoria.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 345 c.p.c..

Deduce che ha errato la corte di merito allorchè ha omesso l’esame dei puntuali e circostanziati rilievi critici alla relazione del consulente d’ufficio di cui alla relazione del proprio consulente di parte allegata all’atto di appello; che difatti la relazione di consulenza tecnica di parte non costituisce un mezzo di prova e può essere allegata pur in appello senza preclusione alcuna.

Il motivo è destituito di fondamento.

Di certo la consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, sicchè la sua produzione, in quanto sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., è ammissibile anche in appello (cfr. Cass. sez. un. 3.6.2013, n. 13902).

E nondimeno si rappresenta che la corte distrettuale ha comunque vagliato nel merito la consulenza tecnica di parte appellante (“e volendo, quindi, ugualmente tenerne conto, non vi sono elementi che (…)”: così sentenza d’appello, pag. 14).

Sicchè, anche a ritener che la puntualizzazione della corte territoriale (“pur a prescindere dall’inammissibilità dei rilievi tecnici del nuovo consulente dell’appellante, prodotti col gravame, in violazione del principio del contraddittorio”: così sentenza d’appello, pag. 14) non integri gli estremi di una mera affermazione ad abundantiam e valga a dar corpo alla prima ratio di una duplice ratio decidendi, è innegabile in ogni caso che la consulenza di parte, ancorchè confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, neppure è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento – è il caso di specie – considerazioni con esso incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (cfr. Cass. 29.1.2010, n. 2063; Cass. (ord.) 2.2.2015, n. 1815).

Con la conseguenza ulteriore che, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure (“l’erronea omessa valutazione della consulenza del prof. Br.Al. (…) ha generato una illegittimità gravissima dell’impugnata sentenza”: così ricorso, pag. 13) mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr. Cass. 14.2.2012, n. 2108).

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Deduce che il teste Bi.Ge. ha riferito che in sua presenza V.P. ebbe a redigere di suo pugno il testamento e che immediatamente dopo accompagnò il testatore presso lo studio del notaio V. di Conegliano ai fini del deposito della busta chiusa in cui la scheda testamentaria era stata inserita.

Indi deduce che la corte di merito con motivazione illogica ed incongrua ha reputato inattendibile siffatta deposizione testimoniale, la cui genuinità ed attendibilità sono suffragate, viceversa, dalla duplice escussione e dai tempi con cui la medesima testimonianza è stata assunta; che d’altro canto Bi.Ge. è “soggetto totalmente estraneo agli interessi oggetto di contenzioso” (così ricorso, pag. 18), le sue dichiarazioni “sono state precise e complete senza alcuna contraddizione” (così ricorso, pag. 18) e la stessa corte distrettuale ha dato atto che “è persona estranea e colta” (così ricorso, pag. 18).

Deduce al contempo che “l’autenticità della scheda testamentaria ben può essere accertata mediante prova testimoniale” (così ricorso, pag. 22) e la motivazione in parte qua è viepiù “insufficiente a fronte delle criticità sul piano probatorio delle risultanze della perizia grafologica” (così ricorso, pag. 22).

Il motivo parimenti è destituito di fondamento.

Si rappresenta che l’asserito vizio motivazionale veicolato dal mezzo di impugnazione in disamina rileva nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis al caso di specie (la sentenza impugnata è stata depositata in data 8.3.2013).

Conseguentemente riveste valenza l’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

Su tale scorta si rappresenta ulteriormente quanto segue.

Da un canto, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua dell’indicazione nomofilattica a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui, in parte qua agitur, la corte territoriale ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – il giudice di secondo grado ha compiutamente ed intellegibilmente, siccome in precedenza si è riferito, esplicitato il proprio iter argomentativo.

Dall’altro, che la corte veneziana ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante la res litigiosa ovvero l’autografia dell’olografo datato 13.5.1993 apparentemente di pugno di V.P..

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte d’appello risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.

E ciò viepiù se si tiene conto dei rilievi seguenti.

In primo luogo, che nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce valenza solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

In secondo luogo, che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito – denunciato con il mezzo di impugnazione in disamina – non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

In terzo luogo, che, in tema di prova testimoniale, la valutazione del giudice di merito in ordine all’attendibilità dei testimoni escussi si sottrae al controllo di legittimità allorchè sia corredata – è il caso de quo – da motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa vigente in materia (cfr. Cass. 24.5.2013, n. 12988).

Infine, che la validità del testamento olografo esige, ai sensi dell’art. 602 c.c. l’autografia non solo della sottoscrizione ma anche della data e del testo del documento, ad escludere l’olografia essendo sufficiente ogni intervento di terzi, indipendentemente dal tipo e dall’entità (e quindi anche in presenza di una sola parola scritta da un terzo durante la confezione del testamento), non assumendo al riguardo rilevanza l’importanza che dal punto di vista sostanziale la parte eterografa riveste ai fini della nullità dell’intero testamento secondo il principio “utile per inutile non vitiatur” (cfr. Cass. 7.7.2004, n. 12458).

Gli intimati non hanno svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso, pertanto, nessuna statuizione in tema di spese va assunta.

Il ricorso è datato 26.6.2013.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), la ricorrente sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13 medesimo D.P.R., comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delta ricorrente, V.A., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2017

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