Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17590 del 23/08/2011

Cassazione civile sez. VI, 23/08/2011, (ud. 15/07/2011, dep. 23/08/2011), n.17590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.A. (C.F.: (OMISSIS)) e M.M.

(C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi dall’Avv.

Esterini Giovanni in virtù di procura speciale a margine del ricorso

e domiciliati “ex lege” in Roma presso la Cancelleria della Corte di

cassazione;

– ricorrenti –

contro

F.C.G. (CF.: (OMISSIS)) e S.R.

M. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi, in virtù

di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Piccione

Giuseppe ed elettivamente domiciliati in Roma, viale Giulio Cesare,

n. 151, presso lo studio dell’Avv. Silvio Aliffi;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza n. 1136 del 2009 della Corte di

appello di Catania, depositata l’11 agosto 2009 (e non notificata).

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15 luglio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che il consigliere designato ha depositato, in data 18 febbraio 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza n. 1136 del 2009 (depositata l’11 agosto 2009), la Corte di appello di Catania, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da S.A. e M.M. avverso la sentenza n. 117 del 2003 del Tribunale di Siracusa – sez. dist. di Augusta, lo accoglieva parzialmente e, in parziale riforma della suddetta sentenza impugnata, rigettava la domanda di F. C.G. e S.R.M. riguardante il giardino retrostante l’unità immobiliare degli stessi appellanti, compensando le spese sia del primo che del secondo grado, confermando nel resto la gravata sentenza. Nei confronti della menzionata sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione (notificato il 12 giugno 2010 e depositato il 28 giugno 2010) S.A. e M.M. basato su tre motivi.

Con il primo, sul presupposto che la Corte territoriale avesse erroneamente ritenuto la condominialità della corte antistante il fabbricato dedotto in controversia, hanno contestato la decisione impugnata nella parte in cui aveva disatteso il primo motivo di appello.

Con il secondo motivo, fondato sullo stesso presupposto, hanno inteso confutare la sentenza impugnata nella parte in cui aveva desunto la condominialità della predetta corte per il fatto che la medesima risultava gravata dal vincolo a parcheggio.

Con il terzo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza della Corte di appello di Catania chiedendone la riforma anche sul capo riguardante le spese del giudizio, che avrebbero dovuto essere poste, per entrambi i gradi di giudizio, a carico degli appellati.

Gli intimati si sono costituiti con controricorso, invocando la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e insistendo, comunque, per il suo rigetto.

Il ricorso (la cui procura apposta a margine, ancorchè generica, può ritenersi riferibile al giudizio di legittimità) si prospetta inammissibile perchè, pur risultando sufficientemente assistito dall’esposizione delle indicazioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2) e 3) non è supportato da un’idonea rappresentazione del requisito imposto dal n. 4) della stessa disposizione normativa.

Il requisito riportato nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, relativo all’indicazione dei motivi di ricorso in uno alle norme di diritto sulle quali è fondato, è l’elemento contenutistico più rilevante del ricorso per cassazione, in quale – come è risaputo -individua un mezzo di impugnazione privo di effetto devolutivo ed a critica vincolata, il cui oggetto di giudizio è delimitato dalle censure giuridiche e logiche specificamente dedotte con i distinti motivi, riferibili alle questioni che abbiano già formato oggetto del giudizio di appello e comunque di merito (C. 24.8.2006, n. 18420; C. 29.1.2003, n. 1273; C. 28.7.2000, n. 9936), tranne quelle rilevabili d’ufficio e i nuovi profili di questioni trattate direttamente in sede di legittimità (C. 21.6.2002, n. 9097). Conseguentemente, in virtù dell’inquadramento del ricorso di legittimità in tale ottica, l’indicazione dei motivi assolve anche (e soprattutto) “una funzione determinativa e limitativa dell’oggetto del giudizio della S.C.”;

pertanto, al fine dell’idoneo assolvimento dell’indicazione di detto complessivo elemento qualificante, il ricorso per cassazione deve contenere la prospettazione di motivi che siano caratterizzati dai requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla sentenza impugnata o al diverso provvedimento oggetto del gravame, in modo da assicurare che il ricorso consenta, senza necessità di attingere ad altre fonti (che, ai sensi del nuovo n. 6 dell’articolo in questione, devono essere, quantomeno sinteticamente, comunque direttamente riportate nel testo del ricorso, che deve strutturarsi, perciò, come effettivamente rispondente al cd. principio dell’autosufficienza), l’immediata individuazione delle questioni da risolvere e delle ragioni fondanti la richiesta di annullamento del provvedimento impugnato (C 17.7.2007, n. 15952; C. 20.2.2006, n. 3654; C. 4.4.2003, n. 5333; C. 20.3.1999, n. 2607). Anche la più recente giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo -tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 c.p.c. – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (C. 19.8.2009, n. 18421); pertanto, il ricorso per cassazione è inammissibile in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, ove dalla sua lettura non sia possibile desumere una sufficiente conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, al fine di comprendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla sentenza impugnata, come nell’ipotesi in cui non vengano adeguatamente riportate nè la “ratio decidendi” della pronuncia del giudice, nè le ragioni di fatto e di diritto che sostenevano le rispettive posizioni delle parti nel giudizio di merito (C. 5.2.2009, n. 2831). In termini sintetici, dunque, il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso; quindi, il singolo motivo – ancor di più dopo la riforma attuata con il D. Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore, ragion per cui i requisiti della tassatività e della specificità del motivo di censura esigono una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (C. 3.7.2008, n. 18202). Da ciò deriva che la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 poichè il requisito di riferibilità alla sentenza oggetto di ricorso impone l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate (C. 20.11.2009, n. 24540; C. 25.9.2009, n. 20652; C. 3.8.2007, n. 17125; C. 7.11.2005, n. 21490).

Ciò posto, nella fattispecie, i ricorrenti hanno dedotto, in modo generico, una contestazione sulla ritenuta condominialità della corte antistante il fabbricato in questione e l’ingiustizia della compensazione totale delle spese, senza indicare – in modo chiaro e preciso – quali specifici vizi della sentenza impugnata hanno inteso far valere in relazione a quelli enucleati nell’art. 360 c.p.c. e senza richiamare alcuna specifica norma assunta come violata, così non consentendo al ricorso di esplicare appieno la sua funzione in ordine all’osservanza del necessario requisito di cui al citato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), in tal modo conseguendone, sul piano contenutistico, la sua inammissibilità. In definitiva, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., potendosi ravvisare l’inammissibilità del proposto ricorso”.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, nei riguardi della quale non sono state sollevate critiche ad opera delle parti (non essendo risultate depositate memorie a tal fine e non essendo comparso alcuno all’adunanza camerale);

ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile (anche perchè esso attiene, in ogni caso, a generiche doglianze attinenti al merito della controversia), con la conseguente condanna dei soccombenti ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente procedimento, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente procedimento, liquidate in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 15 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2011

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