Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17588 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. II, 21/08/2020, (ud. 06/12/2019, dep. 21/08/2020), n.17588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8487-2016 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE DEI

MELLINI 7, presso lo studio dell’avvocato PAOLO KROGH, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 28,

presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA RAMPELLI, rappresentata e

difesa dall’avvocato VITO BARBUZZI;

– controricorrente –

nonchè contro

D.M.L., L.E., L.A., L.F.G.,

EREDI DI R.E.;

– intimati –

sul ricorso 16892-2018 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUNGOTEVERE

DEI MELLINI N. 7, presso lo studio dell’avvocato PAOLO KROGH, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 28,

presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA RAMPELLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato VITO BARBUZZI;

– controricorrente –

nonchè contro

D.M.L., L.E., L.A., L.F.G.,

EREDI DI R.E.;

– intimati –

avverso la sentenza non definitiva n. 94/2015 della CORTE D’APPELLO

di POTENZA, depositata il 02/03/2015, nonchè avverso la sentenza n.

549/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 26/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2019 dal Consigliere GRASSO GIUSEPPE.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che la vicenda, per quel che qui residua d’utilità, può riassumersi nei termini seguenti:

– P.R. convenne in giudizio R.E., L.E., L.L.M. e, in rappresentazione del deceduto L.G., i figli di quest’ultimo E. e L.A., nonchè, Lu.An., legale rappresentante del figlio minore L.F.G., la prima, genitrice e gli altri, fratelli di L.R.M.A., sua defunta moglie, al fine di sentir dichiarare aperta la successione, e, ordinata la resa dei conti, formarsi le masse e determinarsi le quote di spettanza di ciascun erede;

– veniva integrato il contraddittorio nei confronti di G.M.B.H., coniuge separata del defunto L.G.;

– si costituiva T.A., seconda coniuge superstite dell’attore, nelle more venuto a mancare;

– avverso la sentenza di primo grado, la quale, sciolta la comunione ereditaria, aveva proceduto a formare le quote e a disporre le assegnazioni, proponeva appello L.M.L., L.E. e Lu.Or. (quest’ultima nella qualità), chiedendo che la sentenza gravata fosse riformata, per non avere dichiarato prescritto il diritto di accettare l’eredità di L.G. da parte della figlia L.R.M.A., parimenti defunta, o per mancanza di prova dell’accettazione, con la conseguente esclusione dalla eredità lasciata da quest’ultima dei diritti che le sarebbero spettati in successione del di lei padre, con conseguente riformazione di progetto divisionale e quote;

– la Corte d’appello di Potenza, con sentenza non definitiva resa pubblica il 2/3/2015, accolto il primo motivo dell’appello, dichiarò prescritto il diritto d’accettazione ereditaria di cui sopra;

– la medesima Corte, con sentenza definitiva resa pubblica il 26/10/2017, sciolse la comunione ereditaria assegnò l’appartamento sito in (OMISSIS) alla T. e condannò costei a corrispondere agli altri eredi, secondo le rispettive quote, un conguaglio ammontante ad Euro 46.892,80;

T.A. ricorre, con separati ricorsi, contro la sentenza non definitiva (R.G. n. 8487/2016) e contro quella definitiva (R.G. n. 16892/2018);

considerato che la nota con la quale l’avv. Vito Barbuzzi ha comunicato di aderire all’astensione dalle udienze, proclamata dall’Organismo congressuale forense, non assume rilievo di sorta, trattandosi di procedimento assegnato all’adunanza camerale, senza previsione, quindi, di pubblica udienza pubblica udienza;

considerato che i due ricorsi, recanti le medesime doglianze, sia pure attingenti l’uno la sentenza non definitiva e l’altro quella definitiva, vanno riuniti;

ritenuto che conviene prendere in esame i tre motivi svolti con il primo ricorso, stante che col secondo vengono riprese, nella sostanza, le medesime critiche, sia pure dirette contro la sentenza definitiva;

che con il primo motivo viene denunziata violazione ed errata applicazione degli artt. 485,519,457,459 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 102,184 bis, 299 e 331 c.p.c., in quanto:

– con ordinanza pubblicata il 16/1/2012 la Corte d’appello aveva disposto integrarsi il contraddittorio perentoriamente entro il 31/3/2012 nei confronti di L.E., L.E. fu G. (deve intendersi G.) e L.A.;

– per quel che concerne L.E. fu G., già deceduto nel (OMISSIS), l’atto d’integrazione veniva notificato solo alla coniuge superstite, D.M.L., che risultava qualificata nell’atto quale unica erede, senza che risultasse chiarito per quale ragione quest’ultima dovesse considerarsi unica erede in presenza di successione legittima (nè era stata allegata successione testamentaria), stante che, ai sensi dell’art. 582 c.c., erano eredi, in assenza di figli, i fratelli e gli ascendenti del de cuius;

– escluse le parti già presenti in giudizio, mancava, quindi, la chiamata in giudizio, quali eredi legittimi, di L.E. fu G., L.E., A. e G.F., nipoti ex fratre del premorto G.; di conseguenza male aveva fatto la sentenza a reputare correttamente integrato il contraddittorio di L.E. fu G., che come detto era deceduto nel (OMISSIS) e il giudizio d’appello avrebbe dovuto essere dichiarato estinto;

che con il secondo motivo la T. deduce violazione ed errata applicazione degli artt. 102,184 bis e 331 c.p.c., in quanto:

– con l’ordinanza emessa all’udienza del 6/6/2012 la Corte potentina aveva concesso ulteriore termine al fine d’integrare il contraddittorio nei confronti di L.A., nei cui confronti la notificazione dell’atto d’integrazione non era andata a buon fine;

– non sussistevano, secondo la ricorrente, i presupposti per rimettere in termine per la notifica, poichè: a) l’ordinanza con la quale si assegnava termine fino al 31/3/2012 risultava essere stata comunicata il 21/1/2012, ma l’attivazione della parte si era avuta solo il 5/3/2012, con la richiesta all’UNEP competente; b) l’avviso di ricevimento, dal quale constava la irreperibilità del destinatario, era stato restituito dalle Poste il 23/3/2012; c) il procuratore della parte richiedente il nuovo termine si era limitato a trascrivere a verbale che L.A. risultava trasferito, senza fornire prova della incolpevolezza del notificante in ordine all’ignoranza dell’attuale domicilio del L. (il tentativo di notifica era stato effettuato senza previamente svolgere ricerche anagrafiche); d) il procedimento notificatorio non era stato ripreso prima del consumarsi del termine perentorio, nonostante la conoscenza dell’esito negativo del tentativo;

che con il terzo motivo la T. allega violazione ed errata applicazione dell’art. 2937 c.c., comma 3, per avere la Sentenza d’appello accolto l’eccezione di prescrizione del diritto di L.R. di accettare l’eredità paterna, non considerando che le appellanti avevano tacitamente rinunziato a una tale eccezione, e in particolare evidenzia: a) siccome correttamente opinato dal Tribunale L.L.M. aveva manifestato implicita, ma inequivoca, rinunzia a far valere l’eccezione, atteso che in seno alla comparsa qualifica la de cuius L.R. legittima erede del padre L.G., col fatto stesso di aver chiesto che fosse da includere nella massa ereditaria in esame anche “la debitoria gravante sui beni derivati a L.R.M. dalla successione di L.G., suo padre”; b) la Corte di Potenza era incorsa in errore nel richiamare il principio enunciato dalla Corte di cassazione (sent. n. 6397/2011), che non s’addiceva al caso di specie, perchè qui non si era in presenza di una difesa diretta a contrastare, per altra via, le pretese ereditarie, ma di un vero e proprio riconoscimento; c) ciò trovava conferma nei documenti versati nel fascicolo di parte (indicati ai nn. 20 e 21 del ricorso), dai quali la Corte d’appello avrebbe dovuto trarre plurimi elementi per concludere nel senso dell’intervenuta rinunzia;

considerato che i primi due motivi, unitariamente scrutinati, meritano di essere accolti:

– non consta essere stato integrato il contraddittorio nei confronti di tutti gli eredi di L.E., figlio di G. e, in particolare, di E., A. e F. (quest’ultimo, divenuto maggiorenne nel 2004 non era più rappresentato dalla madre), figli ex fratre del premorto G. figlio di G. e, pertanto, l’impugnazione avrebbe dovuto essere, per ciò solo, dichiarata inammissibile, ex art. 331 c.p.c., u. c.;

– quanto, in particolare, alla posizione di E., figlio di G., la concessa rimessione in termini contrasta con il principio di diritto enunciato da questa Corte, la quale ha chiarito che: a) qualora la notificazione di un atto processuale, da effettuare entro un termine perentorio, non si perfezioni per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di chiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio e, ai fini del rispetto del termine perentorio, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari, secondo la comune diligenza, per conoscere l’esito negativo della notificazione e assumere le informazioni del caso (Sez. 2, n. 18074, 19/10/2012, Rv. 623907); termine che risulta essere stato individuato (nel caso d’impugnazione) nella metà di quello stabilito dall’art. 325 c.p.c. (Sez. 2, n. 15056, 11/6/2018, Rv. 649074); b) nel caso in cui, in sede di notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio nei confronti del contumace, la parte venga a conoscenza della sua morte o della sua perdita della capacità, il termine assegnatole dal giudice ai sensi dell’art. 331 c.p.c. è automaticamente interrotto e, in applicazione analogica dell’art. 328 c.p.c., comincia a decorrere un nuovo termine, di durata pari a quella iniziale, indipendentemente dal momento in cui l’evento interruttivo si è verificato. E’, tuttavia, onere della parte notificante riattivare con immediatezza il processo notificatorio, senza necessità di apposita istanza al giudice “ad quem”; solo nel caso in cui, per ragioni eccezionali, di cui la stessa parte deve fornire la prova, tale termine risulti insufficiente ad individuare le persone legittimate a proseguire il giudizio, è consentito chiedere al giudice la rimessione in termini ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2, (S.U. n. 14266, 24/5/2019, n. 654033);

– emerge, invero, dal non controverso sviluppo della vicenda processuale che la parte onerata della notifica si attivò con ingiustificato ritardo (decorse circa un mese e mezzo dalla conoscenza dell’ordinanza – 21/1/2012 – alla richiesta all’UNEP 5/3/2012 -), nonostante che l’assegnato termine perentorio scadesse il 31/3/2012; non consta che la parte svolse precipue indagini anagrafiche al fine di previamente accertare il corretto domicilio del notificando, e, più in generale, che abbia agito senza colpa e tempestivamente abbia richiesto la riattivazione del procedimento notificatorio prima della scadenza del termine assegnato;

considerato che in ragione di quanto esposto, restando assorbito il terzo motivo, la sentenza deve essere cassata senza rinvio (art. 382 c.p.c., u.c.) perchè l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., comma 2;

considerato che le spese legali seguono la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo in favore del controricorrente, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività svolte.

P.Q.M.

riunisce al presente procedimento quello avente n. 16892/2018; accoglie i ricorsi, cassa senza rinvio le sentenze impugnate e condanna gli appellanti al pagamento delle spese legali in favore di T.A. delle spese legali, che liquida per compensi, per il grado d’appello, in complessivi Euro 3.000, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge, e per il giudizio di cassazione, in Euro 2.100, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

 

 

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