Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17587 del 28/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/07/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 28/07/2010), n.17587

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

AGRICOLA ZOOTECNICA CARLINE NUOVE DI PRETTO GIORGIO & MARIA SS,

in

persona dei legali rappresentanti pro tempore, PRETTO GIORGIO, PRETTO

MARIA, anche in proprio e quali soci al 50%, elettivamente

domiciliati in ROMA VIALE REGINA MARGHERITA 262-264, presso lo studio

dell’avvocato D’ANDRIA CATALDO, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati TAVERNA SALVATORE, LATTANZI SANDRO, giusta

delega a margine;

– controricorrenti –

avverso il provvedimento n. 9/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST.

di BRESCIA, depositata il 26/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2010 dal Consigliere Dott. RENATO POLICHETTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GENTILI, che si richiama agli

scritti;

udito per il resistente l’Avvocato D’ANDRIA, che ha chiesto il

rigetto del ricorso principale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Avverso due avvisi di rettifica dell’ufficio IVA di Mantova per indebita detrazione di imposta ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, notificati in data 1^ ottobre 1999 per complessive L. 862.343.131, relativamente agli anni 1994 e 1995, per imposta, sanzioni e interessi, in riferimento alla fatturazione di acquisti e cessioni import – export ed altre, la società Agricola Zootecnica Carline Nuove di Pretto Giorgio e Maria s.s., in persona dei suoi rappresentanti e soci, nonchè questi ultimi proposero separate opposizioni alla Commissione tributaria provinciale di Mantova, la quale, dopo aver sospeso l’esecuzione, con sentenza 11 maggio 2000, riuniti i ricorsi, li respinse.

A seguito della sospensione era intanto accaduto che i contribuenti non avessero versato la metà della maggiore imposta accertata, sicchè l’ufficio a norma del D.P.R. n. 633, art. 60 e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, commi 1 e 2, aveva iscritto a ruolo le maggiori imposte con la sanzione del 30%, cui era stato interamente adempiuto con il versamento dell’importo previsto dalla cartella esattoriale.

Nella pendenza del giudizio di appello attivato dai contribuenti, essi dichiararono di avvalersi della definizione della controversia a norma della L. n. 689 del 2002. art. 16 e successivamente chiesero che in via di autotutela fossero emessi i provvedimenti utili al rimborso delle somme versate a titolo di sanzione, a causa del mancato adempimento delle maggiorazioni Iva, a norma dei combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 e D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 19.

La Agenzia delle entrate respinse la istanza, dichiarando che i contribuenti avrebbero dovuto versare spontaneamente la metà della maggiore imposta accertata nei 60 giorni dalla notifica degli accertamenti, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 11 e che la relativa sanzione restava definitivamente acquisita all’erario.

La società e i soci proposero ricorso avverso il provvedimento, che la Commissione tributaria provinciale di Mantova dichiarò inammissibile, rilevando che il pagamento avrebbe dovuto essere eseguito anche in pendenza di ricorso e di sospensione degli accertamenti e che le doglianze avverso la emissione della cartella andavano esperite mediante impugnazione della stessa per vizi suoi propri e non fatte valere in sede di diniego della istanza di rimborso.

La decisione è stata impugnata e la Commissione tributaria regionale, sezione distaccata di Brescia, ha accolto l’appello e ordinato il rimborso della sanzione.

Ha rilevato che la sospensione della esecuzione degli avvisi di accertamento aveva legittimato il mancato pagamento, avuto riguardo al D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193, abrogativo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 2, 3, 4 e 5 e considerata la applicabilità anche all’Iva del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 15 e 11, con l’effetto che dal 9 giugno 2001 il contribuente che ha intenzione di opporsi all’avviso di accertamento o di rettifica e adisca il giudice tributario non deve provvedere al pagamento dell’imposta e degli interessi, essendo l’ufficio tenuto alla iscrizione a ruolo, in forma graduale.

Ha poi aggiunto che in seguito al disconoscimento dei presupposti della tutela cautelare, insito nella sentenza di rigetto di merito, al contribuente in buona fede, già meritevole del fumus boni iuris, deve essere riconosciuta la esimente dalle sanzioni pecuniarie, in quante “diversamente potrebbe configurarsi un indebito ed infondato arricchimento dell’erario in danno del contribuente in buona fede”.

Propongono ricorso con tre motivi il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate; resistono gli intimati con controricorso illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 e art. 2969 c.c..

Rilevano che la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto accogliere la eccezione di decadenza sollevata dall’ufficio, in forza dell’art. 21 citato che prescrive il termine di decadenza di due anni dal versamento per le istanze di rimborso e nulla stabilisce con riguardo alla ipotesi di “buona fede” del contribuente.

Con il secondo mezzo è denunziata violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. Deduce la Amministrazione finanziaria che comunque il giudice di appello avrebbe dovuto confermare la pronuncia di inammissibilità del primo giudice, in quanto il provvedimento di diniego del rimborso non era stato impugnato per vizi propri, ma contestando l’atto presupposto e cioè la cartella esattoriale, che invece non era stata impugnata ed anzi era stata interamente pagata;

mentre il rifiuto di esercitare la autotutela non è suscettibile di impugnazione, non rientrando nella serie degli atti previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19.

Con l’ultimo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60; D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13; D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47; D.P.R. 1973 art. 15; D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 23 e 27; D.Lgs. n. 193 del 2001, art. 2, comma 1, lett. f), n. 1; art. 11 preleggi.

Assumono che sebbene dal 9 giugno 2001 risulti abrogato il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 2, con l’effetto che il contribuente che abbia impugnato l’avviso di rettifica non è più tenuto al pagamento della metà della maggiore imposta accertata entro 60 giorni, tuttavìa dalla stessa data opera il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 23, in forza del quale anche alla riscossione dell’Iva in pendenza di giudizio si applica il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 1, che pone a carico dell’ufficio di procedere direttamente all’iscrizione a ruolo, in via provvisoria, della metà dell’imposta accertata. Tale norma tuttavia trova applicazione solo per i ricorsi contro avvisi di rettifica proposti dal 9 giugno 2001, mentre nel caso in esame gli avvisi di rettifica erano stati notificati l’I ottobre 1999 e i ricorsi proposti il 29 novembre 1999.

Nè avrebbe rilievo la sospensione cautelare, intervenuta quando già il termine di 60 giorni previsto dal D.P.R. n. 633, art. 60, comma 11 – che imponeva di versare la metà della maggiore imposta accertata, allora in vigore – era decorso; sicchè non esisteva alcuna causa di esenzione dall’obbligo del pagamento, versandosi nella ipotesi penalistica della “abrogazione senza abolizione”, che potrebbe rilevare solo se il nuovo regime sanzionatorio fosse più mite del precedente.

Il ricorso è fondato.

E’ circostanza pacifica che i contribuenti abbiano presentato in data 17 giugno 2003 la istanza di rimborso delle somme versate l’11 giugno 2001, e dunque oltre il biennio previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 11; sicchè non può trovare accoglimento la censura che si fonda sulla maturata decadenza del diritto alla restituzione, giusta eccezione sollevata dalla Amministrazione Finanziaria nel giudizio di merito e illegittimamente disattesa dal giudice di appello con il rilievo che “la buona fede e la legittima ragione del contribuente … si riconoscono altresì nel fatto che egli abbia proposto la restituzione delle somme – corrispondenti alla sanzione del 30% in data 17 giugno 2003, data che l’ufficio gli contesta come tardiva (di sei giorni oltre il biennio dal versamento)”. Rilievo che da un lato riconosce la tardività e dall’altro, tuttavia, deduce a vantaggio del contribuente un inconferente stato soggettivo di buona fede, vanamente ipotizzato al fine di legare il presupposto della restituzione considerato dalla norma predetta come alternativo al biennio dal pagamento – ad un momento successivo alla scadenza del termine, mancando però di esplicitare (e ciò a prescindere da qualunque valutazione in termini di fondatezza dell’assunto) le ragioni in forza delle quali il presupposto per la restituzione si sia collocato nella data del 20 giugno 2003 (peraltro successiva al 17 giugno 2003 in cui l’istanza fu presentata), indicata a foglio 23 del controricorso senza alcun collegamento a specifici eventi, idonei alla asserita maturazione del presupposto; posto che se il solo evento esposto come utile alla conoscenza del fondamento della irrogazione della sanzione, compresa nell’importo della cartella esattoriale pagata, fu la notifica in data 19 giugno 2003 del diniego del rimborso – nella cui motivazione si sarebbe rinvenuta la ragione di tale irrogazione – la tesi in ordine alla maturazione del presupposto resterebbe comunque contraddetta e dunque svalutata dal fatto che i contribuenti richiesero due giorni prima il rimborso, nei quali peraltro non si produssero eventi utili a spostare in avanti il biennio dal pagamento, anteriormente maturato. Ma fondato è anche il secondo motivo.

Se infatti fu la cartella esattoriale a risultare viziata, alla stregua della prospettazione dei controricorrenti, la impugnazione del diniego del rimborso si appalesa priva di consistenza in quanto sostenuta da vizi della cartella rimasta invece non impugnata ed anzi interamente soddisfatta, anche nella parte relativa alle sanzioni.

Nè giova invocare l’istituto dell’autotutela, poichè la pretesa al suo esercizio, affinchè fosse praticato nel senso voluto dai contribuenti, finirebbe per derogare all’art. 21 suindicato.

E’ ius receptum che “in tema di contenzioso tributario, la omessa impugnazione di una cartella di pagamento in termini di legge rende l’atto inoppugnabile e il pagamento dell’imposta richiesta con l’atto di riscossione non è idoneo a riaprire, attraverso l’istituto del rimborso, il termine scaduto, al fine di contrastare un rapporto tributario ormai esaurito.

Pertanto il successivo silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso della somma pagata in adempimento della cartella non è autonomamente impugnabile, atteso che tale comportamento amministrativo è, sia pure implicitamente, meramente confermativo del precedente provvedimento costituito dall’avviso di liquidazione e, come tale, in ragione di un siffatto rapporto di consequenzialità, si sottrae ad autonoma impugnazione” (Cass. 1.7.718/2004; 2249/2003; 13.173/2000).

Il terzo motivo resta assorbito dalle conclusioni che precedono.

Il ricorso va dunque accolto; la sentenza impugnata va cassata e poichè non ricorrono esigenze di accertamenti in fatto ulteriori la causa può essere deciso nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo.

Ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali, avuto riguardo alla disputabilità della controversia, sul piano sostanziale dei diritti fatti valere.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio e compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2010

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