Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17586 del 28/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/07/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 28/07/2010), n.17586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.A., S.M., elettivamente domiciliati in

ROMA VIALE GORIZIA 25/C, presso lo studio dell’avvocato FALINI

GIORGIO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BRAVETTI CARLO, giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO LOCALE DI (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 204/2000 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 15/02/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2010 dal Consigliere Dott. RENATO POLI GHETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per stralcio della posizione

dei due quali soci della Società di persona e annullamento per

difetto di integrazione del contraddittorio o remissione al giudice

di 1^, per il resto rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.A. propose con atto 12 luglio 1988 ricorso avverso l’avviso di accertamento irpef e ilor per l’anno 1984, emesso dall’ufficio imposte dirette di Milano, sulla base di una segnalazione della guardia di finanza di Castellaneta, la quale aveva evidenziato che il contribuente aveva, insieme al coniuge, percepito dalla società di fatto Hotel Milano di S. e L. un canone di locazione di L. 42 milioni, che si traduceva in reddito di fabbricati effettivo di L. 28 milioni, previa detrazione del terzo, pari dunque a L. 14 milioni corrispondenti alla quota della metà sull’immobile.

Dedusse di avere regolarmente presentato la dichiarazione annuale dei redditi e lamentò la violazione del divieto di doppia imposizione, osservando che a fronte della imposizione pretesa dall’ufficio delle imposte dirette di Milano, sulla base di una copia di scrittura senza data, che costituiva una bozza rimasta senza seguito, l’ufficio imposte dirette di Taranto aveva accertato, in forza dello stesso processo verbale di constatazione, un maggior reddito d’impresa della predetta società di fatto.

Da tale scrittura era risultato che il coniuge, percependo quel canone di locazione, era escluso dalla percezione di qualunque utile della società e che dal suo contenuto, rimasto a livello di una ipotesi contrattuale, era emerso che i soci intendevano alternarsi nella gestione dell’albergo, riscuotendo in via esclusiva gli utili, mentre nessuna prova vi era stata della effettiva riscossione del predetto canone.

Concluse per l’annullamento dell’avviso e dedusse che la commissione tributaria provinciale di Milano aveva annullato analogo accertamento a carico della moglie S.M..

L’ufficio resistette, asserendo che il ricorso della moglie in merito al fabbricato era stato respinto, in difetto di prova che per convenzione tra i soci la ripartizione degli utili della società dovesse escludere quella del canone di locazione.

Con atto 12 luglio 1990 il G. e la moglie proposero ricorso avverso l’avviso di accertamento, per gli stessi tributi, relativamente all’anno 1985 che aveva rettificato il reddito di partecipazione nella suddetta società da L. 12.974.000 a L. 91.980.000, sulla base di quanto operato a carico della società, la quale aveva chiesto il condono tombale ex L. n. 413 del 1991.

Denunziarono i predetti coniugi la illegittimità dell’atto per difetto di motivazione e, riportandosi al ricorso della società – secondo cui i ricavi non superavano L. 72.715.000, contro i 194.771.000 accertati – dedussero che il giudizio penale per frode fiscale si era concluso con la assoluzione, essendosi accertati errori di calcolo dell’ufficio che aveva omesso di ridurre i costi riconosciuti dalla guardia di finanza.

La commissione tributaria provinciale, riuniti i ricorsi, con sentenza 29 ottobre 1996 respinse il primo per l’anno 1984; accolse in parte il secondo determinando il reddito di partecipazione in L. 39. 188.000.

G.A. impugnò la decisione per l’anno 1984 e insieme alla moglie la statuizione relativa all’anno 1985.

La commissione tributaria regionale con sentenza 15 febbraio 2001 ha respinto gli appelli, rilevando, quanto al reddito del fabbricato, per il 1984, che la scrittura rinvenuta è prova dell’accordo di gestione tra i coniugi.

Quanto al 1985 ha rilevato che l’atto impugnato non fosse immotivato, in quanto faceva riferimento al risultato dell’accertamento a carico della società, con conseguente subordinazione alla decisione sull’ammontare di quel reddito, che era stato definito con condono, al punto che la commissione tributaria provinciale di Taranto “non può che dichiarare estinta, se già non lo ha fatto, la controversia”.

Ha poi aggiunto che “contrariamente a quanto sostenuto dall’ufficio, la competenza a decidere in ordine al reddito di partecipazione della socia S.M. è quella della commissione che ha provveduto all’accertamento nei confronti della società stessa, non potendo la commissione di Milano limitarsi a statuire che il reddito deve essere determinato in conformità della decisione della commissione di Tarante, presso cui pendeva il giudizio promosso dalla impugnazione della società di fatto, giudizio come detto definito in seguito al condono tombale”.

Ha infine ritenuto di dover condividere nel resto la decisione di primo grado “avendo la s.d.f. tenuto una inattendibile contabilità…. in relazione sia al prezzo delle camere … sia alla omissione di ogni ricavo per il bar e il ristorante”, riconoscendo tuttavia i costi di produzione dei maggiori ricavi, secondo quanto deciso dal primo giudice.

Propongono ricorso con quattro motivi G.A. e S. M.; non svolge difese la Agenzia delle entrate, cui il ricorso è stato notificato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo G.A. denunzia omessa motivazione sul punto della controversia relativo alle peno pecuniarie per omessa dichiarazione dei redditi per l’anno 1984, rilevando che l’ufficio aveva ammesso che la dichiarazione era stata presentata; l’omissione ancor più rileverebbe per avere il primo giudice qualificato l’illecito in termini di dichiarazione infedele, in violazione dell’art. 112 c.p.c., con riflessi sostanziali sul piano della sanzione.

Con il secondo mezzo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2702 e 2704 c.c.. Deduce che l’ufficio aveva tradotto l’affitto di azienda – risultante dalla scrittura privata riguardante l’attività imprenditoriale dalla moglie svolta con altra persona, che contemplava la gestione aziendale a periodi alternati tra loro, con l’obbligo per chi gestiva di corrispondere all’altro una somma a titolo di affitto di azienda – in locazione immobiliare, così imputando a lui, comproprietario dell’immobile, la metà dei redditi;

conclusione errata perchè desunta da una scrittura in fotocopia senza data, peraltro contraria ad altro atto formale del coniuge e del socio in ordine alla ripartizione dei redditi.

Con il terzo mezzo il G. denunzia omessa pronunzia sul punto del divieto di doppia imposizione, nome nel caso in cui lo stesso reddito derivante dalla partecipazione in società di persone viene imputato a fini diversi; e cioè ad esso ricorrente come reddito di locazione e ai soci della società di fatto Hotel Milano.

Con l’ultimo mezzo S.M. denunzia omessa pronuncia su punto decisivo della controversia, rilevando che per l’anno 1985 aveva dichiarato la metà del reddito complessivo della società e che l’ufficio aveva proceduto alla rettifica, in riferimento a quella della dichiarazione della società operata all’ufficio di Taranto, compiuta con riguardo a vari addebiti di ordine contabile e fiscale, non sussistenti e mai adeguatamente valutati dai giudici di merito.

I motivi di ricorso sono correlati, alla stregua di quanto riferito e statuito dalla commissione tributaria regionale nella impugnata sentenza, alle vicende giurisdizionali che hanno caratterizzato l’accertamento del reddito della società di fatto negli anni per i quali si controverte, cui risulta che non abbiano partecipato i ricorrenti, allo stesso modo con cui hanno mancato di partecipare alla presente controversia la società di fatto e gli altri eventuali soci, in violazione dell’esigenza del contraddittorio. Con le Sez. Un. 4 giugno 2008 n. 14.815 questa Corte ha affermato il principio, dal quale il collegio non ritiene di discostarsi, (nello stesso senso, tra le altre, Cass. 27 maggio 2009 n. 12.318), secondo cui in materia tributaria la unitarietà dell’accertamento, che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 23 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comportano che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti soci, salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali.

Tutti questi soggetti devono pertanto essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto, non avendo siffatta controversia ad oggetto una singola posizione debitoria, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario; con l’effetto che il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone la integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 e il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio.

Pertanto, non avendo partecipato al giudizio la società nè gli altri soci, la sentenza impugnata va cassata e va dichiarata la nullità anche del primo giudizio, con l’invio alla commissione tributaria provinciale di Milano, per la integrazione del contraddittorio.

Le spese processuali, avuto riguardo alla richiamata decisione di legittimità, sopravvenuta alla instaurazione della controversia, possono essere interamente compensate.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sul ricorso, cassa le sentenze di merito e rimette le parti dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Milano per la integrazione dei contraddittorio.

Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2010

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