Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17580 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. lav., 28/06/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 28/06/2019), n.17580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19187-2016 proposto da:

SOCIETA’ COOPERATIVA VAL D’ORCIA SOCIETA’ AGRICOLA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DI VILLA SEVERINI 54 (c/o Studio Tinelli & Associati),

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CONTESTABILE, rappresentata

e difesa dagli avvocati ALESSANDRO MARRI, ORONZO MAZZOTTA, CARLO

SALTO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ESTER

ADA VITA SCIPLINO, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO, EMANUELE DE

ROSE, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 644/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 25/07/2016 R.G.N. 925/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/05/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ALESSANDRO MARRI;

udito l’Avvocato ANTONINO SGROI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Firenze, confermando la sentenza del Tribunale di Siena, ha rigettato l’impugnazione proposta dalla società agricola cooperativa Val D’Orcia intesa al riconoscimento del diritto della stessa a ripetere nei confronti dell’Inps, ai sensi della L. n. 991 del 1952, art. 8) le somme versate a titolo di contributi, per la quota parte a carico datoriale, in relazione al proprio personale dipendente a tempo determinato ed indeterminato.

2. La Corte territoriale ha fondato la decisione condividendo la giurisprudenza di legittimità intervenuta sul punto secondo la quale “la L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8 – già implicitamente abrogato per la parte relativa alle agevolazioni fiscali prima dal D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 58 e 68 e, poi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 9, e non più richiamato dal legislatore, per quel che riguarda i benefici contributivi in favore delle zone montane, a partire dalla L. 11 marzo 1988, n. 67, che ha fatto riferimento solo alla definizione di territori montani contenuta nel D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9 – doveva considerarsi implicitamente abrogato, tanto più che la previsione di un regime generalizzato di totale esenzione contributiva era stato abbandonato dal legislatore a partire dalla citata L. n. 67 del 1988. Da ciò consegue che, in conformità al D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1, comma 3, lett. d), il suddetto art. 8 non poteva essere incluso tra le norme da mantenere in vigore ed il riferimento testuale nell’allegato 1 voce n. 1266 della L. n. 991 del 1952 doveva considerarsi tamquam non esset sulla base di una interpretazione rispettosa dell’art. 15 preleggi e costituzionalmente orientata nel senso della coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento e del rispetto della legge delega, atteso il carattere meramente ricognitivo dell’intervento legislativo, (Cass. n. 19420 del 22/08/2013, orientamento confermato da Cass.7976/2016 e da molte altre conformi).

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società sulla base di due motivi, illustrati con memoria;

4. I’Inps resiste con controricorso;

5. La Sezione sesta di questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 22241 del 22/2/2018, ha disposto che la trattazione del presente procedimento, come di altri pure relativi a questioni analoghe, fosse rimessa alla pubblica udienza, ravvisandone l’opportunità in considerazione della pendenza innanzi alla Corte costituzionale della questione di legittimità del D.Lgs. n. 179 del 2009, rilevante nella specie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 disp. gen. nonchè della L. n. 991 del 1952, art. 8,L. n. 67 del 1988, art. 9, comma 5, e succ. modif. ed integr., L. n. 246 del 2005, art. 14, nonchè del D.Lgs. n. 179 del 2009, art. 1 (in riferimento alla voce n. 1266 dell’allegato 1).

2. Si lamenta che la sentenza impugnata abbia errato nell’interpretare le norme sopra citate intendendo abrogata la norma della L. n. 991 del 1952, art. 8 e sostituita dalla L. n. 67 del 1988, art. 9, comma 5.

3. Il secondo motivo deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 24Cost., comma 2, posto che la motivazione della sentenza impugnata si è limitata a riprodurre la sentenza della Corte di cassazione n. 7976 del 2016 senza esaminare i motivi d’appello proposti per dimostrare che la norma contenuta nella L. n. 991 del 1952, art. 8 non possa ritenersi abrogata.

4. Il secondo motivo, da trattare in via prioritaria in quanto deduce la nullità della sentenza per violazione di legge processuale e lesione del diritto di difesa, è infondato.

5. Questa Corte di cassazione (Cassazione del 9 maggio 2017 n. 11227; Cass. n. 17403 del 2018) ha avuto modo di affermare che la motivazione “per relationem” ad un precedente giurisprudenziale esime il giudice dallo sviluppare proprie argomentazioni giuridiche, ma il percorso argomentativo deve comunque consentire di comprendere la fattispecie concreta, l’autonomia del processo deliberativo compiuto e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato, dovendosi ritenere, in difetto di tali requisiti minimi, la totale carenza di motivazione e la conseguente nullità del provvedimento.

6. La sentenza della Corte d’appello di Firenze ha seguito un percorso argomentativo attraverso il quale, dopo aver rappresentato con dovizia di particolari i fatti del procedimento amministrativo che aveva condotto l’Inps a rigettare la domanda della ricorrente di fruizione dei benefici di cui alla L. n. 991 del 1952, art. 8, così come il giudice di primo grado, ha indicato nella lagnanza relativa alla ritenuta abrogazione della stessa disposizione l’oggetto del motivo d’appello.

7. In risposta alla tesi rappresentata dall’appellante, relativa alla perdurante vigenza dell’art. 8 citato, la sentenza ha richiamato il proprio precedente n. 448 del 2016 e, tra l’altro, la sentenza n. 7976 del 2016 di questa Corte di legittimità, ribadendone anche i contenuti.

8. Dunque, nessun vizio di omessa o inesistente motivazione si è determinato.

9. Quanto al primo motivo, va dato atto che, nelle more del presente giudizio, è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 182 del 2018 che ha dichiarato, per violazione dell’art. 76 Cost., l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 179 del 2009, art. 1 nella parte in cui statuisce, alla voce n. 1266 dell’Allegato 1, l’indispensabile permanenza in vigore della L. n. 991 del 1952, art. 8.

10. La questione di costituzionalità ha tratto origine dalla circostanza che la L. n. 246 del 2005, art. 14 ha previsto, ai commi da 12 a 24, un procedimento finalizzato alla riduzione della normativa vigente secondo una successione di fasi. La prima, della durata di due anni, ha previsto il conferimento di una delega al Governo finalizzata alla individuazione delle disposizioni legislative statali effettivamente vigenti nelle quali si ravvisavano incongruenze ed antinomie (comma 12); la successiva fase (comma 14) ha previsto che nel successivo biennio il Governo avrebbe dovuto emanare decreti legislativi che individuassero le disposizioni legislative statali, pubblicate prima del 1 gennaio 1970, delle quali apparisse indispensabile la permanenza in vigore in ragione di principi e criteri direttivi tra i quali la esclusione (dal salvataggio) delle disposizioni oggetto di “abrogazione tacita o implicita”; al termine, era prevista l’abrogazione di tutte le disposizioni non salvate e pubblicate prima del 1970. Dovevano essere pure salvate, oltre a quelle indicate nei citati decreti legislativi, anche leggi e disposizioni comprese in una serie di categorie contenute nella stessa legge delega.

11. La delega alla individuazione delle disposizioni da mantenere in vigore, ai sensi della L. n. 265 del 2005, art. 24, comma 14, è stata attuata tramite il D.Lgs. 10 dicembre 2009, n. 179 che si compone di un solo articolo e due allegati. Il secondo allegato contiene, in particolare, 861 atti che andavano sottratti al meccanismo di abrogazione disposto dalla L. n. 246 del 2005. La L. n. 69 del 2009 ha sostanzialmente previsto che l’effetto di abrogazione automatica delle disposizioni non salvate si determinasse l’anno successivo a quello di scadenza della delega.

12. Tra le disposizioni salvate rientra anche la L. n. 991 del 1952, art. 8, relativo appunto all’esenzione dei contributi agricoli relativi a lavoratori operanti in territori montani oggetto di causa, che tuttavia risultava già oggetto di tacita abrogazione al momento in cui è entrato in vigore il D.Lgs. n. 179 del 2009.

13. Nel senso dell’abrogazione tacita questa Corte di cassazione si era espressa, come ricordato dalla sentenza impugnata, con Cass. 22 agosto 2013, n. 19420 e l’orientamento si è consolidato con le successive pronunce, (Cass. 19 ottobre 2018, n. 26488; Cass. n. 1500 del 2019 e Cass. 1501 del 2019).

14. Corte Costituzionale n. 182 del 2018 sopra richiamata, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1 (recante “Disposizioni legislative statali anteriori al 1 gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma della L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 14”), nella parte in cui dichiara, alla voce n. 1266 dell’Allegato 1, l’indispensabile permanenza in vigore della L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8 (Provvedimenti in favore dei territori montani), quanto all’esenzione dal pagamento dei contributi unificati in agricoltura.

15. Come rilevato dal Giudice delle leggi, al momento dell’adozione del decreto legislativo “salvaleggi”, la L. n. 991 del 1952, art. 8 era già stato oggetto di abrogazione implicita, sicchè la norma del D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1, che lo esclude dalla portata dell’effetto abrogativo di cui alla L. n. 246 del 2005, art. 14, comma 14- ter, è stata ritenuta in contrasto con l’art. 14, comma 14, lett. a), della medesima legge e, conseguentemente, viziata, per eccesso di delega, da ciò conseguendo la declaratoria di illegittimità costituzionale.

16. Conseguentemente trova ulteriore conferma il principio, affermato da Cass. n. 19420 del 2013 cit., secondo cui in tema di agevolazioni e benefici contributivi previsti per le imprese e i datori di lavoro aventi sede ed operanti nei comuni montani, la L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8 – già implicitamente abrogato per la parte relativa alle agevolazioni fiscali prima dal D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 58 e 68 e, poi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 9, e non più richiamato dal legislatore, per quel che riguarda i benefici contributivi in favore delle zone montane, a partire dalla L. 11 marzo 1988, n. 67, che ha fatto riferimento solo alla definizione di territori montani contenuta nel D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9 – deve considerarsi implicitamente abrogato, tanto più che la previsione di un regime generalizzato di totale esenzione contributiva è stata abbandonata dal legislatore, a partire dalla citata L. n. 67 del 1988.

17. Preso atto della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’esclusione dalla portata dell’effetto abrogativo della norma già oggetto di abrogazione implicita, la sentenza impugnata, già informata all’interpretazione ermeneutica di legittimità orientata nel senso dell’abrogazione tacita, risulta, pertanto, immune da censure e non scalfita neanche dalle deduzioni contenute nella memoria depositata dalla ricorrente ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

18. In particolare, non può non rilevarsi, a fronte della declaratoria di incostituzionalità del citato D.Lgs. n. 179 del 2009, art. 1, nella parte in cui aveva ritenuto indispensabile la permanenza in vigore della L. n. 991 del 1952, art. 8, che non rilevano le critiche al ragionamento interpretativo sulla portata della stessa disposizione sviluppato dalla Corte Costituzionale per convenire sulla avvenuta precedente abrogazione e, quindi, sull’eccesso di delega.

19. Inoltre, è priva di fondamento la prospettata violazione dell’art. 1 del Protocollo Addizionale della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e le Libertà Fondamentali, che prevede la protezione della proprietà, in ragione dell’effetto retroattivo rispetto ai rapporti non esauriti (ex art. 136 Cost.) della pronuncia di incostituzionalità. Tale pronuncia, infatti, ha colpito il D.Lgs. n. 179 del 2009, art. 1, nella parte in cui aveva ritenuto indispensabile la permanenza in vigore della L. n. 991 del 1952, art. 8. La declaratoria di incostituzionalità, dunque, ha prodotto l’effetto di privare di efficacia la disposizione che, eccedendo dalla delega conferita dal Parlamento al Governo, includeva anche la L. n. 991 del 1952, art. 8 fra le disposizioni da salvare, mentre tale articolo era già stato implicitamente abrogato e, quindi, non poteva ricadere nell’oggetto della delega.

20. Stando così le cose, è evidente che la pronuncia di incostituzionalità ha solo definitivamente estromesso dal sistema normativo una disposizione priva di reale contenuto, senza in alcun modo determinare la caducazione di un diritto di credito, in qualche modo assimilabile all’oggetto della protezione della invocata norma di matrice sovranazionale, esistente al momento della proposizione del giudizio.

21. Il ricorso va, dunque, rigettato.

22. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

23. Sussistono, dato l’esito del ricorso, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 12000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA