Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17580 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. un., 21/08/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 21/08/2020), n.17580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7633-2019 proposto da:

TECNOLOGIA & AMBIENTE S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BARNABA TORTOLINI 30, presso lo studio del Dott. ALFREDO PLACIDI,

rappresentata e difesa dagli avvocati FRANCESCO ADAVASTRO e SERENA

FILIPPI FILIPPI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PADERNO DUGNANO, CITTA’ METROPOLITANA DI MILANO, REGIONE

LOMBARDIA, DITTA M.G., MEDICINA DEMOCRATICA MOVIMENTO

PER LA SALUTE ONLUS, ARPA LOMBARDIA, COMUNE DI NOVA MILANESE, ATS

CITTA’ METROPOLITANA DI MILANO (già ASL (OMISSIS)), PARCO

GRUGNOTORTO VILLORESI, CONSORZIO DI BONIFICA EST TICINO VILLORESI,

ATO – PROVINCIA DI MONZA E BRIANZA, BRIANZA ACQUE S.R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6569/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 21/11/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/07/2020 dal Consigliere VALITUTTI ANTONIO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale

CAPASSO LUCIO, il quale conclude chiedendo il dichiararsi

l’inammissibilità del proposto ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con istanza in data 2 novembre 2012, la società Tecnologia & Ambiente s.r.l. chiedeva alla Città Metropolitana di Milano il rilascio di un’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per l’esercizio di un impianto per la messa a riserva, il recupero e lo smaltimento di rifiuti non pericolosi e pericolosi, già esistente nel territorio del Comune di Paderno Dugnano. Il procedimento, avviato nel gennaio 2013, veniva sospeso dopo le prime due sedute della conferenza di servizi, nelle more dell’espletamento del sub-procedimento di Verifica di Impatto Ambientale (VIA), conclusosi con Decreto Dirigenziale n. 8405/2015, con esito di non assoggettabilità dell’impianto a VIA.

1.1. Ripresi i lavori della conferenza di servizi, nella seduta conclusiva del 7 giugno 2016, venivano acquisiti i pareri favorevoli di tutti gli enti interessati al procedimento, con il solo parere negativo del Comune di Paderno Dugnano. La Città Metropolitana di Milano emetteva, quindi, a favore della Tecnologia & Ambiente, il decreto AIA n. 6567/2016, con il quale veniva assentito l’esercizio dell’impianto, previa esecuzione delle relative opere edilizie previste dal progetto contestualmente approvato. Con ricorso al TAR Lombardia, il Comune di Paderno Dugnano impugnava, di conseguenza, il decreto con il quale l’impianto di stoccaggio era stato escluso dalla VIA.. Con successivo ricorso per motivi aggiunti – l’ente pubblico gravava, altresì, la intervenuta Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata alla società Tecnologia & Ambiente.

1.2. Nel procedimento spiegava intervento ad opponendum l’impresa individuale M.G., proprietaria dell’impianto, condotto in locazione dalla Tecnologia & Ambiente, e della circostante area. Con sentenza n. 1747/2017, dell’8 agosto 2017, il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia accoglieva il ricorso, annullando entrambi i provvedimenti impugnati dal Comune di Paderno Dugnano. Nelle more del giudizio, di primo grado, la Tecnologia & Ambiente aveva, peraltro, dato esecuzione agli interventi edilizi autorizzati ed aveva avviato l’esercizio dell’impianto.

2. Con sentenza n. 6569/2018, il Consiglio di Stato dichiarava improcedibile l’appello proposto dalla Tecnologia & Ambiente avverso la sentenza di primo grado. Il giudice del gravame rilevava che, con provvedimento n. 843 del 5 febbraio 2018, la Citta Metropolitana di Milano aveva intanto ordinato la chiusura dell’impianto, e che l’ordine di chiusura, non essendo stato impugnato dalla Tecnologia & Ambiente, era divenuto definitivo. Per il che – ritenendo ultronea una pronuncia sulla legittimità dell’autorizzazione alla gestione di un’installazione della quale era stata disposta, con provvedimento definitivo, la chiusura – il Consiglio di Stato rilevava l’oggettiva improcedibilità del ricorso in appello proposto dalla società appellante.

3. Avverso tale decisione ha, quindi, proposto ricorso per cassazione la Tecnologia & Ambiente s.r.l., affidato ad un solo motivo, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.. Gli intimati Comune di Paderno Dugnano, Città Metropolitana di Milano, Regione Lombardia, Ditta individuale G.M. e Medicina Democratica Movimento per la salute onlus, non hanno svolto attività difensiva.

4. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, la Tecnologia & Ambiente s.r.l. denuncia l’eccesso di potere giurisdizionale, nonchè la violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, artt. 35 e 39 cod. proc. amm., artt. 41 e 111 Cost..

1.1. La ricorrente si duole del fatto che il Consiglio di Stato abbia ritenuto non definitivo l’ordine di chiusura dell’impianto, emesso dalla Città Metropolitana di Milano, laddove – dall’esame di tale provvedimento – si evincerebbe chiaramente che l’ordine di chiusura era stato emesso per effetto dell’obbligo conformativo incombente sull’Amministrazione per effetto della sentenza di primo grado. Quanto alla lesività del suddetto provvedimento, che ne avrebbe imposto l’impugnazione da parte della Tecnologia & Ambiente, quest’ultima rileva che siffatta condizione negativa – certamente conseguente al provvedimento ablatorio – non sarebbe autonomamente riconducibile all’ordine di chiusura, ma dipenderebbe dall’annullamento dei titoli autorizzativi all’esercizio dell’impianto operato dal TAR. L’efficacia di detto annullamento sarebbe stata, peraltro, automaticamente travolta – per effetto del disposto dell’art. 336 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo, in forza della norma di rinvio di cui all’art. 39 cod. proc. amm. – laddove la sentenza di annullamento fosse stata riformata in appello, “con conseguente travolgimento automatico del provvedimento di chiusura”.

1.2. Nella memoria ex art. 378 c.p.c., la ricorrente ha, altresì, proposto la richiesta di rinvio pregiudiziale della causa, ex art. 267 del Trattato per il Funzionamento dell’Unione Europea, sulla seguente questione pregiudiziale: “se è compatibile e conforme con il diritto comunitario e, in particolare, con l’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e con il sotteso e immanente principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, un’interpretazione dell’art. 111 Cost., comma 8 e dell’art. 362 c.p.c. e aqrt. 110c.p.a., che escluda il sindacato della Suprema Corte di Cassazione, quale giudice della giurisdizione, sulle pronunce dei Giudici Amministrativi in caso di violazione di legge, sia essa sostanziale o processuale, qualora sia conseguenza di un’interpretazione abnorme o anomala ovvero di uno stravolgimento delle norme di riferimento”.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. Secondo la costante giurisprudenza di queste Sezioni Unite, invero, con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, avverso le sentenze del Consiglio di Stato – secondo quanto affermato anche dalla Corte costituzionale con la sentenza del 18 gennaio 2018 n. 6 non possono essere censurati “errores in procedendo” o “in iudicando”, il cui accertamento rientra nell’ambito del sindacato afferente i limiti interni della giurisdizione. Trattasi, infatti, di violazioni endoprocessuali rilevabili in ogni tipo di giudizio e non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa, ma solo al modo in cui è stata esercitata (ex plurimis, Cass. Sez. U., 03/08/2018, n. 20529; Cass. Sez. U. 18/05/2017, n. 12497).

Alla luce della sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale la quale ha carattere vincolante perchè volta ad identificare gli ambiti dei poteri attribuiti alle diverse giurisdizioni dalla Costituzione, nonchè l’presupposti e i limiti del ricorso ex art. 111 Cost., comma 8, il sindacato della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione (previsto anche dall’art. 362 c.p.c. e art. 110 cod. proc. amm.) concerne – per vero – le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per “invasione” o “sconfinamento” nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per “arretramento” rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonchè le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, le quali ricorrono quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice o la neghino sull’erroneo presupposto di quell’attribuzione. L’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore è, invece, configurabile solo allorchè il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento “abnorme o anomalo” ovvero abbia comportato uno “stravolgimento” delle “norme di riferimento”, atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un “error in iudicando”, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione (Cass. Sez. U., 25/03/2019, n. 8311; Cass. Sez. U., 11/11/2019, n. 29085; Cass. Sez. U., 06/03/2020, n. 6460).

2.2. Nella medesima prospettiva si è, dipoi, affermato che il contrasto delle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato con il diritto Europeo – derivante da un errore interpretativo delle norme di riferimento – non integra, di per sè, l’eccesso di potere giurisdizionale denunziabile ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, atteso che anche la violazione delle norme dell’Unione Europea o della CEDU dà luogo ad un motivo di illegittimità, sia pure particolarmente qualificata, che si sottrae al controllo di giurisdizione della Corte di cassazione. Nè può essere attribuita rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio, essendo tale valutazione, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriera di incertezze, in quanto affidata a valutazioni contingenti e soggettive (Cass. Sez. U., 18/05/2017, n.. 12497; Cass. Sez. U., 19/12/2018, n. 32773; Cass. Sez. U., 03/08/2018, n. 20529; Cass. Sez. U., 25/03/2019, n. 8311; Cass. Sez. U., 11/11/2019, n. 29085; Cass. Sez. U., 06/03/2020, n. 6460).

2.3. Nel caso concreto, la decisione del Consiglio di Sato si è incentrata anzitutto sulla considerazione dell’acquisita definitività per difetto di impugnazione da parte della Tecnologia e Ambiente dell’ordine di chiusura dell’impianto, non essendo stato detto ordine dell’Amministrazione “esplicitamente condizionato nè all’esito del presente contenzioso, nè ad altri accadimenti”. Tale determinazione della Città Metropolitana di Milano, sebbene ancorata all’effetto conformativo derivante dalla sentenza del TAR di annullamento dei titoli autorizzativi a suo tempo rilasciati all’odierna ricorrente, non si è, nondimeno, tradotta – a giudizio del Consiglio di Stato “nell’esplicita previsione della conseguente provvisorietà dell’ordine di chiusura che, di contro, nella parte dispositiva viene stabilito in via definitiva senza alcun limite modale, condizionale o temporale”. Si tratterebbe, pertanto, secondo il giudice del gravame, di un provvedimento che – in quanto differentemente lesivo rispetto alla decisione del TAR di annullare, per motivi in diritto, l’Autorizzazione Integrata Ambientale, poichè fondato, invece, sul riscontro fattuale della perdurante operatività dell’installazione de qua, pur in assenza di una valida autorizzazione – avrebbe dovuto essere impugnato autonomamente, con specifico ricorso, dalla società appellante.

Di più, siffatta definitività dell’ordine di chiusura costituirebbe, secondo il Consiglio di Stato, una “condizione ostativa” al ripristino ex tunc degli effetti del provvedimento autorizzatorio annullato, effetto normalmente derivante dall’accoglimento dell’appello. Il che renderebbe “ultroneo scrutinare l’effettiva legittimità dell’originaria autorizzazione a gestire un impianto di cui è stata nelle more disposta, con provvedimento definitivo, incondizionato ed inoppugnato, la chiusura per eventi successivi al rilascio del titolo stesso”.

2.4. Da quanto suesposto, si rileva, con piena evidenza, che la pronuncia impugnata si fonda su considerazioni di ordine processuale che rientrano nell’ambito della giurisdizione del giudice investito della decisione, esulando dalla sfera di controllo dei limiti esterni della giurisdizione, affidata dall’art. 111 Cost., comma 8, art. 362 c.p.c. e art. 110 cod. proc. amm., alle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione.

Basti considerare, in tal senso, che – con il motivo di ricorso – la Tecnologia & Ambiente censura la “palese pretermissione”: a) di “ogni regola di corretto inquadramento del fatto e di interpretazione del provvedimento amministrativo”, avendo il giudice a quo “dato valenze e significati in nessun modo riscontrabili nel tenore letterale dell’atto, e men che meno nel comportamento processuale dell’Amministrazione che lo ha assunto”; b) “di ogni regola processuale interna, ed anzitutto di quella dettata dall’art. 336 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo in forza della norma di rinvio di cui all’art. 39 c.p.a.”; c) “del principio di effettività della tutela giurisdizionale irrinunciabile”, desumibile dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 6 della CEDU”. La doglianza della ricorrente concreta, pertanto, palesemente la denuncia di un error in procedendo, che certamente esula dall’ambito della cognizione assegnata dall’art. 111 Cost., comma 8.

2.5. Per quanto concerne, in particolare, il principio di effettività della tutela giurisdizionale – a presidio del quale la ricorrente ha, altresì, formulato istanza di rimessione della questione pregiudiziale suesposta alla Corte di Giustizia – va osservato che, secondo la menzionata pronuncia della Corte Costituzionale n. 6 del 2018, non v’è dubbio che i principi di effettività della tutela e del giusto processo debbano essere garantiti, ma ciò deve avvenire “a cura degli organi giurisdizionali a ciò deputati dalla Costituzione e non in sede di controllo sulla giurisdizione”.

E neppure l’intervento delle Sezioni Unite, in sede di controllo di giurisdizione, potrebbe essere giustificato dalla violazione di norme dell’Unione o della CEDU. In tal modo verrebbe, per vero, ad essere “ricondotto al controllo di giurisdizione un motivo di illegittimità (sia pure particolarmente qualificata)”, ovverosia un motivo di illegittimità della decisione del giudice speciale estraneo al controllo demandato alle Sezioni Unite spettando ad esse solo di vagliare il rispetto, da parte del primo, dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, senza che, su tale attribuzione di controllo, siano evidenziabili norme dell’Unione Europea su cui possano ipotizzarsi quesiti interpretativi (Cass. Sez. U., 06/03/2020, n. 6460; Cass. Sez. U., 22/05/2017, n. 12796).

2.6. Va, altresì, soggiunto che la controversia in esame non involge direttamente materie regolate dal diritto comunitario, la cui interpretazione si sia, in concreto, tradotta in un vulnus per il diritto della parte ad una tutela giurisdizionale effettiva. Nondimeno, perfino in una ipotesi di tal fatta – facendo applicazione dei principi giurisprudenziali suesposti – queste Sezioni Unite hanno affermato che la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto Europeo da parte del giudice amministrativo, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, L’interpretazione delle norme di diritto costituisce, invero, il “proprium” della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sè sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione (Cass. Sez. U., 19/12/2018, n. 32773).

E’ di tutta evidenza che, a fortiori, tale principio deve trovare applicazione in un caso – come quello in esame – nel quale non vi sia stata affatto interpretazione di disposizioni di diritto comunitario da parte del giudice a quo.

3. Per tali ragioni, Il ricorso va, di conseguenza, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione degli intimati.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

 

 

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