Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1758 del 24/01/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 1758 Anno 2018
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: CURCIO LAURA

ORDINANZA

sul ricorso 3243-2012 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA P.I 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrentenonchè contro
2017

PATERNOSTRO SARA;
– intimata-

2387

avverso la sentenza n. 8136/2010 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 27/01/2011 R.G.N. 4524/2006;
Il PM deposita conclusioni scritte.

Data pubblicazione: 24/01/2018

Rgn. 3243/2012

Che la Corte d’Appello di Roma
riformando la sentenza del 23.2.2006 del
Tribunale di Roma, ha accertato la nullità del termine del contratto stipulato
da Poste Italiane spa con Sara Paternostro dal 5.10.2002 al 31.12.2002, che
reca la causale ” sostenere livello del servizio recapito durante processi di
mobilità , tuttora in fase di completamento ,di cui agli accordi di cui a 17,18 23
ottobre.. sino al18.11.2002 “, con accertamento della natura a tempo
indeterminato e con condanna al risarcimento del danno pari alle retribuzioni
maturate dall’atto di messa in mora.
Che la Corte ha ritenuto applicabile al rapporto in esame la disciplina di cui al
Dlgs n.368/2001 e pertanto ha accertato che la causale, che richiama una
fattispecie contrattuale di cui all’accordo attuativo dell’art.23 legge n.56/87,
non più in vigore, era generica e non conforme ai canoni stabiliti dal nuovo
dettato legislativo, che comunque la società non aveva offerto di provare la
correlazione tra le ragioni della stipulazione del contratto a termine e le
concrete ragioni sottese alla pattuizione stessa , essendosi limitata anche in
sede di appello a dedurre l’esistenza di un generico processo di trasformazione
riorganizzazione e rimatidazione organizzativa .
Che avverso la sentenza ha proposto appello Poste Italiane spa affidato a
cinque motivi, cui è seguito il deposito di memoria ex art.378 c.p.c..
Che la Paternostro è rimasta earguteapm.
Che in data 28.4.2017 il PG ha depositato conclusioni scritte.
CONSIDERATO
Che con il ricorso la società ricorrente lamenta:
1) la violazione art.1372 c.c. e 1175 ,1375 c.c.1427 c.c., in relazione all’art. 360
primo comma n. 3 cod. proc. civ. per avere la Corte disatteso l’eccezione di
risoluzione per mutuo consenso tempestivamente formulata.
2)la violazione art.1 comma 1 e 2 e art.4 c.2 dlsg 368/01 , art.1362 c.c., per avere la
Corte ritenuto la genericità della causale, omettendo lo specifico riferimento agli
accordi sindacali ( cass. n.1577/2010 , n. 2279/2010 n.6328/2010 , individuazione
per relationem.
3)Ia violazione e falsa applicazione dell’art.4 c.2 del Dlgs n.368/2001, dell’art.2697
c.c. , in relazione in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c. p. c., per avere la
corte ritenuto che spettasse alla datrice di lavoro l’onere di provare le ragioni
oggettive legittimanti il termine, mentre tale onere sarebbe imposto dal Dlgs

RILEVATO

4) l’omessa e insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il
giudizio, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ. . La Corte avrebbe
omesso di valutare e di motivare sull’ammissibilità e rilevanza della prova testimoniale
richiesta( cap .11della memoria di costituzione di primo grado) per dimostrare i
processi di riorganizzazione che avevano investito la società facendo nascere
l’esigenza di assunzioni temporanee, senza neppure chiarire perché non erano stati
esercitati i poteri d’ufficio.
5) la violazione ed er’ronea applicazione degli artt.1206, 1207, 1217, 1218, 1219,
1223, 2094, 2099, 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod.
proc. civ.. Secondo la ricorrente le retribuzioni non potevano che decorrere dal
momento in cui vi era stata l’effettiva ripresa del servizio , stante la natura
sinallagmatica delle prestazioni e , quanto quanto all’aliunde perceptum , sarebbe
stato era onere della lavoratrice provare di non aver intrattenuto altri e successivi
rapporti di lavoro e di non aver percepito somme a titolo retributivo.
In subordine Poste spa ha chiesto l’applicazione dell’art. 32 comma 5 e 6 della legge
4 novembre 2010 n. 183 e che in applicazione dello jus superveniens il risarcimento
del danno sia contenuto nei limiti previsti dalla citata norma.

che ritiene il Collegio si debbano rigettare i primi quattro motivi, accogliendo solo
l’ultimo motivo collegato al quinto, ma con riferimento solo all’applicazione dello jus
superveniens.
Che, quanto al primo motivo, se ne deve dichiarare l’inammissibilità e
l’improcedibilità, per violazione del principio di autosufficienza con riferimento agli
artt.366 n.6 e 369 n.4 c.p.c , non avendo Poste spa indicato esattamente la
collocazione nel proprio fascicolo della memoria di costituzione di primo grado e quindi
dell’atto di appello e per non averli comunque depositati, non potendo ritenersi
sufficiente la trascrizione nel ricorso di • legittimità dell’atto di appello,che impedisce
un esame diretto e completo di questa corte sull’effettività e tempestività della
proposizione dell’eccezione di risoluzione per mutuo consenso. Devono evidenziarsi
inoltre le incongruenze contenute in ricorso, laddove , nella parte in fatto si riporta la
causale a cui anche la sentenza della corte di merito si riferisce, ma nella trascrizione
del proprio atto di appello poi Poste spa indica una causale parzialmente diversa
(“..esigenze tecniche ,produttive ed organizzative..”) , facendo peraltro riferimento a
due contratti e non ad uno soltanto ed indicando un lasso di tempo di quattro anni di
inerzia della lavoratrice, quando invece tale arco temporale viene successivamente
indicato, nella censura specifica, in due .
Che possono esaminarsi congiuntamente il secondo, il terzo ed il quarto motivo in
quanto connessi, dovendosene dichiarare l’infondatezza. Che infatti l’apposizione di
2

n.368/2001 solo in caso di proroga del contratto, come previsto dall’art.4 comma 2
del citato decreto. Sarebbe quindi onere del lavoratore , in base all’art.2967 c.c.,
provare la pretestuosità dell’assunzione.

Che spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, ove e adeguatamente
motivata ed priva di vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la
sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al
processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate nel contratto di
assunzione a termine, inclusi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e
richiamati nella causale del contratto.
Che nel caso in esame , diversamente da quanto sostenuto dalla società ricorrente, la
corte di merito ha correttamente applicato il suddetto principio allorquando ha
affermato che nella fattispecie non risultava di fatto essere stato assolto l’obbligo di
specificazione delle ragioni di cui all’art. 1 del d.lgs n. 368 del 2001, atteso che la
causale del contratto stipulato con la lavoratrice in realtà riproduceva in modo
ripetitivo la lettera della legge, nulla spiegando in ordine al nesso causale di tali
ragioni con le mansioni per il cui espletamento la lavoratrice era stata assunta. In
particolare gli accordi sindacali richiamati non erano di per sé idonei a giustificare la
mancata specificazione dei motivi con inerenza alla singola assunzione e che , in ogni
caso, era mancata la prova sul punto di una specifica causale negoziale.(cfr. tra le
tante, Cass.27/4/2010 n. 10033, Cass. 19/03/2016 n. 5451), atteso che la prova
testimoniale richiesta in primo grado e reiterata in appello, verteva su premesse in
fatto descrittive degli accordi richiamati senza alcun collegamento con la posizione
della Paternostro.
Che deve essere accolto l’ultimo motivo, ma solo con riferimento all’applicazione
jus supeveniens, costituito dalla normativa di cui all’art.32 della legge
dello
n.183/2010, come richiesto da parte ricorrente, trattandosi di giudizio “pendente” ai
sensi del settimo comma del citato art.32 . Sul punto si richiama la recente sentenza
di questa Corte a SSUU n.21691/2016, secondo cui la violazione di norme di diritto di
cui all’art.360 comma 1 n.3 può concernere anche disposizioni emanate dopo la
pubblicazione della sentenza , la proposizione dell’impugnazione nei confronti della
parte principale della sentenza impedisce il passaggio in giudicato anche della parte
3

un termine ai contratti di lavoro, consentita dall’art. 1 del d.lgs. 6 settembre 2001, n.
368 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo,
devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, ben potendo
risultare anche per relationem.
Ciò tuttavia impone al datore di lavoro l’onere di
indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la
veridicità di tali ragioni, nonché la non modificabilità delle stesse nel corso del
rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono
conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto
aziendale, la prestazione a tempo determinato, in modo da rendere evidente la
specifica correlazione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze
produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione
del lavoratore assunto esclusivamente hell’ambito della specifica ragione indicata ed in
stretto collegamento con la stessa. Che comunque spetta al datore di lavoro fornire la
prova di tale relazione causale.

Che la sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per
le spese , alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione , che dovrà limitarsi a
quantificare l’indennità spettante all’odierna parte contro ricorrente per il periodo
compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia con cui è stata disposta la
Cass.n.14461/2015 ), con interessi e
riammissione in servizio (cfr per tutte
rivalutazione da calcolarsi a far tempo dalla sentenza dichiarativa della nullità del
termine ( cfr Cass. n. 3062/2016).
P.Q.M.

La Corte accoglie l’ultimo motivo nei termini di cui in motivazione, rigettati gli altri ,
cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di
Roma in diversa composizione.
Così deciso nella Adunanza camerale del 24 maggio 2017.

Il Presidente
Vincenzo Di Cerbo

v. a
Tifiaziamio Gtudiziírio
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dipendente, pur in assenza di impugnazione specifica di quest’ultima. Nel caso in
esame la società ricorrente, soccombente in secondo grado, ha impugnato con ricorso
di cassazione la sentenza di appello nella parte in cui aveva confermato la condanna
al risarcimento del danno, denunciando l’errata applicazione degli art. 1206 e ss C.C. in
punto di esatta determinazione dell’obbligo retributivo con riguardo alla messa in
mora. La ricorrente ha quindi proposto ricorso contro la parte principale della
decisione , dalla quale dipende , in quanto legata da un nesso di causalità inscindibile,
la parte legata alla quantificazione del risarcimento del danno.

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