Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1758 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/01/2019, (ud. 17/09/2018, dep. 23/01/2019), n.1758

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18317-2011 proposto da:

SOCIETE’ GENERALE SA FILIALE MILANO in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA LARGO

ANGELO FOCHETTI 29, presso lo studio dell’avvocato GAETANO ARNO’,

che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 52/2010 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 18/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/09/2018 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo di

ricorso, assorbiti gli altri;

udito per il ricorrente l’Avvocato ROMANO per delega dell’Avvocato

ARNO’ che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato GALLUZZO che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Societè Generale s.a. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 52/15/2010, depositata il 18.05.2010 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Ha riferito che la società è una banca di diritto francese con sede legale e amministrativa a Parigi, operante in Italia attraverso una sede secondaria (Branch), con rappresentanza stabile in Milano.

A seguito di una verifica fiscale condotta da funzionari del competente ufficio lombardo sul periodo d’imposta 2002, l’Agenzia delle Entrate notificava l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale erano contestate una serie di violazioni fiscali ai fini Irpeg, Irap e Iva, per un importo complessivo di Euro 911.886,91. Sinteticamente, secondo l’Amministrazione finanziaria non erano deducibili costi che si asseriva non spettanti, non inerenti, o contabilizzati in violazione del criterio della competenza; ai fini Iva era poi rilevata la mancata regolarizzazione di fatture di acquisto per operazioni di cartolarizzazione di crediti, nonchè l’omessa applicazione dell’iva a prestazioni di servizi a società terze.

L’Accertamento era contestato dalla società, che proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano. Il giudice di primo grado accoglieva parzialmente il ricorso della contribuente con sentenza n. 395/11/2007. Avverso la pronuncia l’Amministrazione adiva la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che con la sentenza ora impugnata accoglieva l’appello confermando integralmente l’atto di accertamento.

La società censura con tre motivi la sentenza:

con il primo per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1986, artt. 36 e 62, nonchè dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, invocando la nullità della sentenza per motivazione apparente;

con il secondo per falsa applicazione del D.Lgs. n. 917 del 1986, art. 109 (già art. 75) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riguardo a taluni costi ritenuti indeducibili e ripresi a tassazione;

con il terzo per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

In conclusione ha chiesto la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale statuizione.

Si è costituita l’Amministrazione, contestando i motivi della difesa avversa e chiedendo il rigetto del ricorso.

E’ stata depositata memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. dalla ricorrente.

All’udienza pubblica del 17 settembre 2018, dopo la discussione, il P.G. e le parti hanno concluso. La causa è stata trattenuta in decisione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso, con il quale la società si duole della nullità della sentenza per motivazione apparente, è fondato.

Il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza ricorre non solo allorquando il giudice di merito abbia omesso di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ma anche quando li abbia indicati senza una loro approfondita disamina logica o giuridica (cfr. Cass., ord. n. 9105/2017), o, ancora, quando la stessa disamina verta su principi generali e fattispecie astratte, senza però ricondurre il ragionamento all’esame della fattispecie concreta oggetto di controversia. Si è anzi riconosciuto l’apparenza della motivazione quando, benchè graficamente esistente, non sia chiaro il ragionamento seguito dal giudice nella formazione del proprio convincimento, così che sia lasciato all’interprete il compito di integrazione con varie e ipotetiche congetture (Sez. U, sent. n. 22232/2016). Ciò accade anche in quelle ipotesi in cui le questioni prospettate siano anche pertinenti ed idonee quale materiale di base per altre e successive argomentazioni. Nello sviluppo della motivazione tuttavia tali successive argomentazioni devono seguire, poichè nella tessitura logica della ricostruzione della fattispecie e nella sua valutazione giuridica sono esse a sorreggere infine la decisione del caso concreto. Se mancanti, è l’intero processo motivazionale che viene meno, emergendo un vizio processuale. D’altronde si reputa mancante del requisito previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e pertanto nulla, la sentenza la cui motivazione consista nel dichiarare sufficienti i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta, senza indicare le ragioni giuridiche o fattuali che il giudice abbia condiviso nel caso concreto (Cass., sent. n. 7402/2017).

In conclusione è necessario che siano percepibili le ragioni della decisione in rapporto al caso concreto, cioè che siano percepibili le argomentazioni obiettivamente idonee a far conoscere l’iter logico seguito dal giudice per la formazione del suo convincimento, al fine di un effettivo controllo sull’esattezza e pertinenza del ragionamento, in assenza del quale – a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale implica una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integrando un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione.

Nel caso di specie è incontroverso, perchè analiticamente esposto tanto nel ricorso della società quanto nel controricorso della Agenzia, che a seguito della verifica fiscale con l’atto impositivo furono contestate numerose violazioni. In particolare, ai fini Irpeg e Irap la deducibilità delle commissioni pagate dalla sede secondaria milanese (branch) alla casa madre quale corrispettivo della garanzia, prestata da quest’ultima, sui crediti erogati per importi superiori a USD 20.000.000 (cd. Commissioni Aginter), spesa non riconosciuta perchè ritenuta ad esclusivo beneficio della casa madre; la deducibilità di costi relativi a fatture ricevute e contabilizzate nell’anno 2002, ritenute invece di competenza del 2001; la deducibilità di costi per servizi di varia natura ritenuti non inerenti alla attività svolta dalla SG Milano; la deducibilità di spese per l’acquisto di auto aziendali e formazione del personale per errata quantificazione dell’importo ammesso in deduzione; l’omessa contabilizzazione di parte delle commissioni attive spettanti alla SG Milano per servizi resi alla casa madre; la deducibilità di oneri sociali relativi a contributi dovuti ai lavoratori della sede secondaria ma non residenti. Ai fini Iva la mancata regolarizzazione di alcune fatture di acquisto relative ad operazioni di cartolarizzazione di crediti, per le quali l’amministrazione ha contestato l’applicazione del regime di esenzione iva; la contestazione dell’omessa applicazione dell’iva su prestazioni di servizi di consulenza finanziaria rese in favore di società estere. Inoltre, in seno ad alcune categorie di spese o di costi, l’accertamento e le relative contestazioni contemplavano ulteriori distinzioni delle operazioni.

A fronte delle dettagliate voci, partitamente esaminate dal giudice di primo grado, che altrettanto partitamente ha confermato o annullato le singole riprese a tassazione, la sentenza del giudice d’appello si è ampiamente diffusa sulla qualificazione della sede secondaria della società contribuente come stabile organizzazione (questione in verità mai emersa come oggetto di contrasto tra le parti in causa), impegnando sui criteri di individuazione della stabile organizzazione dalla metà di pag. 3 a tutta pag. 6. A questo punto ha esaminato la prima delle contestazioni, relativa alla deducibilità dei costi per commissioni passive semestrali pagate dalla sede milanese alla casa madre per le garanzie ricevute sui finanziamenti superiori a 20.000.000 di dollari concessi alla propria clientela, limitandosi però a riconoscere la correttezza della ripresa a tassazione sul solo assunto che “L’Ufficio ha ritenuto tali costi privi del requisito di certezza” ai sensi dell’art. 109 TUIR (già art. 75). Quindi, senza alcun riferimento al caso specifico, ha dedicato circa una pagina ai principi generali sulla certezza e determinabilità dei costi, con una digressione conclusiva sull’assoggettamento dei corrispettivi a tassazione in riferimento all’esercizio in cui sono incassati, nonchè alla necessità del rispetto delle “regole di competenza temporale, di esistenza certa, di inerenza e di imputazione al conto economico degli elementi negativi di reddito.”, sostenendo che a questi principi non vi è stata totale conformità “nella decisione dei primi giudici”, senza chiarire altro e cioè in che misura e perchè il giudice non si sia adeguato.

Gli unici riferimenti al caso concreto si rinvengono nell’ultimo periodo di pag. 8, in cui si afferma che “La molteplicità degli elementi (omessa auto-fatturazione di operazioni effettuate con IVA dovuta, infedele dichiarazione ai fini IVA, violazione della territorialità dell’imposta, indeducibilità dei costi), tutti emersi dei dati indicati nei verbali di constatazione (che puntualizzano i relativi rilievi risultanti dall’esame dei controlli effettuati) consente di affermare che legittimamente l’Ufficio finanziario ha proceduto alla rideterminazione degli imponibili per i periodi in contestazione ed ha fornito una congrua e corretta motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi di fatto legittimanti detta parte della rettifica”. Sennonchè, a fronte delle numerose voci di ripresa a tassazione, la cumulativa valutazione delle rilevate irregolarità, senza che sia possibile desumere la causa della ritenuta irregolarità, con un confuso e prevalente riferimento allè violazioni in tema di iva, laddove la maggior parte delle violazioni era stata contestata dalla Amministrazione ai fini Irpeg ed Irap, manifesta in maniera ancora più plastica la apparenza della motivazione.

La circostanza è tanto più evidente quando si consideri che nelle successive pagg. 9 e 10 incomprensibilmente si accenna al fenomeno delle operazioni soggettivamente inesistenti, e poi alla inerenza. Ed è altrettanto significativo che nel lungo controricorso la difesa della Agenzia ha dedicato numerose pagine alla trattazione analitica delle voci riprese a tassazione, nel tentativo evidente di dare chiarezza alle concrete fattispecie portate all’esame della Corte.

In conclusione, a fronte di una serie di poste passive, non riconosciute dalla Amministrazione, che avrebbero meritato una trattazione specifica come correttamente fatto dal giudice provinciale, in grado d’appello emerge una motivazione apparente, e quando non apparente quanto meno incomprensibile, integrante un error in procedendo con conseguente nullità della sentenza (cfr. Sez. U, sent. n. 22232/2016 cit.).

Il motivo va pertanto accolto, con conseguente declaratoria di nullità della sentenza.

L’accoglimento del primo motivo assorbe il secondo e il terzo.

La sentenza va pertanto cassata e il processo va rinviato alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che in diversa composizione deciderà sulla causa oltre che sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo; dichiara la nullità della sentenza; cassa e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che in diversa composizione deciderà anche sulla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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