Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17578 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. un., 21/08/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 21/08/2020), n.17578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6426-2019 proposto da:

COOPERATIVA SOCIALE ASSO – AGENZIA SERVIZI E SUPPORTO ORGANIZZATIVO

SOC. COOP., in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 39, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCA GIUFFRE’, rappresentata e difesa dagli

avvocati FRANCO MASTRAGOSTINO, CRISTIANA CARPANI e SABRINA DI

GIAMPIETRO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE SALERNO, in persona del Commissario

Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dagli avvocati GENNARO SASSO, VALERIO CASILLI ed EMMA TORTORA;

GPI S.P.A., in proprio e nella qualità di capogruppo del RTI

costituito con Gesan s.r.l. e Network Contacts s.r.l., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA EMILIA 88, presso lo studio dell’avvocato DARIO CAPOTORTO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CORINNA FEDELI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 6560/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 20/11/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/07/2020 dal Consigliere VALITUTTI ANTONIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con bando pubblicato il 21 gennaio 2017, l’ASL di Salerno indiceva una procedura aperta per l’affidamento biennale in outsourcing del servizio di cali center CUP – che vedeva quale gestore uscente la Cooperativa Sociale Asso – Agenzia Servizi e Supporto Organizzativo soc. coop. – da aggiudicare in ragione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 95. La Cooperativa Sociale Asso impugnava in sede giurisdizionale il predetto bando di gara, per violazione del D.Lgs. n. 50 del 2016, artt. 83, 87 e 95, nonchè degli artt. 18, 58 e 67 della Direttiva 2014/24/UE, oltre che per eccesso di potere e per la violazione dei principi del giusto procedimento e della par condicio dei concorrenti.

Assumeva l’istante che nel bando di gara erano presenti clausole che tendevano a favorire le grandi imprese, dotate del maggior numero di call center, in tal modo valorizzandosi – non già il profilo tecnico, concernente la qualità della proposta progettuale – ma piuttosto l’aspetto dimensionale delle imprese concorrenti.

1.1. L’odierna ricorrente, che partecipava alla gara, a seguito dell’aggiudicazione della stessa alla GPI s.p.a., impugnava con ricorso per motivi aggiunti anche il provvedimento di aggiudicazione, riproponendo contestualmente i motivi di gravame concernenti la ritenuta illegittimità del bando.

1.2. Con sentenza n. 56/2018, dell’11 gennaio 2018, il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, accoglieva il ricorso della Cooperativa Sociale Asso, annullando il bando di gara, e segnatamente le clausole in forza delle quali “la partecipazione, pur possibile, sarebbe inutile o, comunque, frustrante a causa dell’adozione di criteri di fatto escludenti, come accaduto nel caso di specie”.

2. La pronuncia veniva impugnata dall’ASL di Salerno con appello al Consiglio di Stato, che – in riforma della sentenza di primo grado, e facendo applicazione della pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 4/2018 – dichiarava improcedibile il ricorso per carenza di interesse, sul presupposto che le clausole non escludenti – in tal modo qualificando quelle contenute nel bando di gara in discussione devono essere impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione, ossia l’aggiudicazione a terzi.

3. Avverso tale decisione ha, quindi, proposto ricorso per cassazione la Cooperativa Sociale Asso- Agenzia Servizi e Supporto Organizzativo soc. coop., affidato a tre motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.. Resistono con controricorso l’ASL di Salerno e la GPI s.p.a..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i tre motivi di ricorso, la Cooperativa Sociale Asso denuncia, sotto diversi profili, la violazione dell’art. 111 Cost., comma 8, art. 110 cod. proc. amm., 1, par. 1, ultimo comma, della Direttiva 89/665/CEE, 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c..

1.1. Afferma anzitutto la ricorrente che il Consiglio di Stato sarebbe incorso in un eccesso di potere giurisdizionale, ritenendo di essere dotato del potere – in forza del disposto degli artt. 9,35 e 104 cod. proc. amm. – di verificare ex officio la sussistenza delle condizioni dell’azione proposta dalla Cooperativa ricorrente, e segnatamente dell’interesse di quest’ultima a ricorrere avverso il bando di gara. Il giudice di appello non avrebbe, per contro, tenuto conto del fatto che sul punto dell’interesse a ricorrere vi sarebbe stata un’espressa statuizione del giudice di primo grado, per avere il TAR di Salerno “affermato chiaramente ed espressamente che la lex specialis della gara conteneva criteri escludenti rispetto ai quali sussisteva l’interesse all’immediata impugnativa, posto che la partecipazione alle operazioni concorsuali sarebbe stata inutile e comunque frustrante per il ricorrente”.

Ne sarebbe derivata – a parere della Cooperativa istante – la formazione, sulla questione dell’interesse a ricorrere, di un “giudicato esplicito”, preclusivo dell’esercizio del suddetto potere officioso di verifica delle condizioni dell’azione da parte del giudice di appello. Per il che il Consiglio di Stato – facendo applicazione dell’Adunanza Plenaria n. 4/2018 al caso di specie, senza tenere conto della qualificazione delle clausole impugnate, da parte del primo giudice, come “di fatto escludenti” – avrebbe posto in essere una pronuncia caratterizzata da eccesso di potere giurisdizionale “e, segnatamente, dal radicale stravolgimento delle norme di rito sull’interesse al ricorso, con evidente diniego di giustizia”.

1.2. Si duole, inoltre, l’esponente del fatto che l’impugnata decisione del Consiglio di Stato le avrebbe impedito “di ottenere tutela giurisdizionale effettiva nell’ambito della normativa comunitaria degli appalti pubblici”, in violazione della Direttiva 89/665/CEE, che richiede l’esistenza di “mezzi di ricorso efficaci e rapidi in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle norme nazionali che recepiscano tale diritto”. Per converso, la sentenza impugnata avrebbe – riformando ex officio, in difetto di impugnazione delle altre parti, la decisione di primo grado ammissiva della tutela giurisdizionale – negato l’accesso a siffatta tutela alla Cooperativa Sociale Asso, sebbene in presenza di clausole del bando che avrebbero” aprioristicamente fatto vincere le imprese di grandi dimensioni”. La sentenza del Consiglio di Stato si sarebbe, pertanto, tradotta in una “decisione anomale ed abnorme”, in quanto frutto del radicale stravolgimento della norma Europea di riferimento.

1.3. L’interpretazione della norma sulle condizioni dell’azione e, segnatamente, dell’interesse ad agire in giudizio, si porrebbe, peraltro, anche in contrasto con l’art. 117 Cost., laddove prevede che la normativa dello Stato debba essere esercitata nel rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali rientra l’obbligo assunto con l’adesione alla CEDU, le cui norme assumono rilevanza nell’ordinamento interno quali norme interposte, “idonee a dare corpo agli “obblighi internazionali” costituenti parametro normativo cui l’art. 117, comma 1, ricollega l’obbligo di conformazione”.

2. I motivi sono inammissibili.

2.1. Queste Sezioni Unite si sono più volte pronunciate sulla questione relativa al controllo del limite esterno della giurisdizione del Consiglio di Stato, che l’art. 111 Cost., comma 8, art. 362 c.p.c. e l’art. 110 c.p.c., affidano alla Corte di cassazione. Orbene, le decisioni sul punto si palesano sostanzialmente conformi per quanto concerne il nucleo centrale della questione. E’, invero, indubitabile che il controllo della Suprema Corte debba restare circoscritto – in forza delle disposizioni succitate – all’osservanza dei meri limiti esterni della giurisdizione, non potendo estendersi ad asserite violazioni di legge sostanziale o processuale concernenti il modo d’esercizio della giurisdizione speciale: lo esige il sistema costituzionale, che assegna a ciascun plesso giurisdizionale piena autonomia ed indipendenza dagli altri.

Ne consegue che, anche a seguito dell’inserimento della garanzia del giusto processo nella nuova formulazione dell’art. 111 Cost., l’accertamento, da parte della Corte regolatrice, in ordine ad “errores in procedendo” o ad “errores in iudicando” rientra nell’ambito del sindacato afferente i limiti interni della giurisdizione, trattandosi di violazioni endoprocessuali rilevabili in ogni tipo di giudizio e non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa, ma solo al modo in cui è stata esercitata. Siffatto tipo di controllo è, pertanto, inammissibile (ex plurimis, Cass. Sez. U., 18/05/2017, n. 12497; Cass. Sez. U., 03/04/2014, n. 7847; Cass. Sez. U., 10/06/2013, n. 14503; Cass. Sez. U., 04/11/2002, n. 15438).

2.2. Una parziale diversità di posizioni si riscontra, invece, con riferimento agli errores in iudicando o in procedendo che derivino dalla violazione delle norme Europee di riferimento.

2.2.1. Ed invero, le decisioni meno recenti, hanno ribadito che, in materia di impugnazione delle sentenze dei giudici speciali, il controllo del limite esterno della giurisdizione, che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla Corte di cassazione, non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori “in iudicando” o “in procedendo” per contrasto con il diritto dell’Unione Europea. E tuttavia, tali pronunce fanno salva l’ipotesi, “estrema”, in cui l’errore si sia tradotto in un’interpretazione delle norme Europee di riferimento in contrasto con quelle fornite dalla Corte di Giustizia Europea, sì da precludere l’accesso alla tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo.

Nei casi di radicale stravolgimento delle norme di riferimento (nazionali o dell’Unione) ci si troverebbe, infatti, secondo la tesi in esame, in presenza di decisioni che ridonderebbero in denegata giustizia, in particolare con riferimento al caso di errore “in procedendo” costituito dall’applicazione di una regola processuale interna incidente nel senso di negare alla parte l’accesso alla tutela giurisdizionale nell’ampiezza riconosciuta da pertinenti disposizioni normative dell’Unione Europea, direttamente applicabili, secondo l’interpretazione elaborata dalla Corte di giustizia (Cass. Sez. U., 06/02/2015; Cass. Sez. U., 20/02/2016, n. 3915; Cass. Sez. U., 29/12/2017, n. 31226; Cass., 17/01/2017, n. 953; Cass. Sez. U., 10/05/2019, n. 12586).

2.2.2. A seguito di rimessione disposta con ordinanza delle Sezioni Unite di questa Corte dell’08/04/2016, n. 6891, la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione, affermando che la tesi del Collegio remittente, secondo cui il ricorso in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione comprenderebbe anche il sindacato su “errores in procedendo” o “in iudicando” non può qualificarsi “evolutiva” e “dinamica”, perchè incompatibile, come eccepito dalle parti costituite, con la lettera e lo spirito della norma costituzionale. Ne consegue – secondo la Consulta – che deve ritenersi inammissibile ogni interpretazione che consenta una più o meno completa assimilazione del ricorso in Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti per “motivi inerenti alla giurisdizione” con il ricorso in Cassazione per violazione di legge. L’intervento delle sezioni unite, in sede di controllo di giurisdizione, nemmeno può essere giustificato dalla violazione di norme dell’Unione o della CEDU, trattandosi di questione che afferisce anch’essa all’esercizio della giurisdizione del giudice amministrativo.

L'”eccesso di potere giudiziario” va riferito, dunque, secondo la Consulta, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermino la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghì sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento), nonchè a quelle di difetto relativo di giurisdizione, che si verifica quando lo “sconfinamento” della giurisdizione invade la sfera di potere giurisdizionale affidato ad un giudice diverso.

Il concetto di controllo di giurisdizione così delineato, non ammette – ad avviso della Corte – soluzioni intermedie, come quella, pure proposta dal giudice a quo, secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi in cui si sia in presenza di sentenze “abnormi” o “anomale” ovvero di uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle norme di riferimento. Ed invero, secondo la Consulta, attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive (C. Cost., sent., n. 6 del 2018).

2.2.3. La giurisprudenza di queste Sezioni Unite, successiva alla decisione della Corte Costituzionale si è per lo più espressa in senso conforme a citato arresto della Consulta. Si è, per vero, affermato che, alla luce della sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale – la quale ha carattere vincolante perchè volta ad identificare gli ambiti dei poteri attribuiti alle diverse giurisdizioni dalla Costituzione, nonchè i presupposti e i limiti del ricorso ex art. 111 Cost., comma 8, il sindacato della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione concerne le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per “invasione” o “sconfinamento” nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per “arretramento” rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale.

Tale sindacato ricomprende, altresì, le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, le quali ricorrono quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice o la neghino sull’erroneo presupposto di quell’attribuzione. L’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore è, per contro, configurabile solo allorchè il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento “abnorme o anomalo” ovvero abbia comportato uno “stravolgimento” delle “norme di riferimento”, atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un “error in iudicando”, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione.

Ne consegue che il contrasto delle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato con il diritto Europeo – derivante da un errore interpretativo delle norme di riferimento – non integra, di per sè, l’eccesso di potere giurisdizionale denunziabile ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, atteso che anche la violazione delle norme dell’Unione Europea o della CEDU dà luogo ad un motivo di illegittimità, sia pure particolarmente qualificata, che si sottrae al controllo di giurisdizione della Corte di cassazione. Nè può essere attribuita rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio, essendo tale valutazione, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriera di incertezze, in quanto affidata a valutazioni contingenti e soggettive (Cass. Sez. U., 18/05/2017, n.. 12497; Cass. Sez. U., 19/12/2018, n. 32773; Cass. Sez. U., 03/08/2018, n. 20529; Cass. Sez. U., 25/03/2019, n. 8311; Cass. Sez. U., 11/11/2019, n. 29085; Cass. Sez. U., 06/03/2020, n. 6460).

2.2.4. A tale ultimo indirizzo queste Sezioni Unite intendono dare continuità, con la conseguenza che, nel caso di specie, non può ravvisarsi il denunciato eccesso di potere giurisdizionale del giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato, invero, ha rilevato che la decisione di primo grado aveva accolto il ricorso della Cooperativa Sociale Asso, annullando il bando di gara, sul presupposto che le clausole del bando, sebbene non fossero escludenti in via immediata, in quanto la partecipazione alla gara era “pur possibile” – tanto vero che l’odierna ricorrente ha potuto formulare un’offerta e partecipare – sarebbero, nondimeno state tali da frustrare siffatta partecipazione, per l'”adozione di criteri di fatto escludenti”, con conseguente legittimazione della concorrente ad impugnate il bando in via immediata.

Il giudice di appello ha, quindi, rilevato che, successivamente alla pronuncia di primo grado è intervenuta la decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2018, con la quale si è anzitutto stabilito che nel processo amministrativo, il giudice di secondo grado può rilevare d’ufficio la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado (tra questi l’interesse a ricorrere), non potendosi formare sul punto un giudicato implicito, preclusivo alla deduzione officiosa della questione. Il giudice del gravame ha, dipoi, preso atto che in tale decisione si è, altresì, statuito che i soggetti legittimati ad impugnare le clausole del bando di gara, non aventi portata escludente – come aveva, nella sostanza, riconosciuto anche il giudice di primo grado sono soltanto gli operatori economici che hanno partecipato o, almeno, hanno manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura di gara; ai fini della legittimità dell’opposizione, inoltre, suddette clausole devono essere necessariamente impugnate insieme al provvedimento lesivo.

Il Consiglio di Stato ha, pertanto, assegnato un termine alle parti per interloquire sulla questione dell’effettivo interesse a ricorrere in capo alla Cooperativa Sociale Asso, alla luce dei principi affermati dalla Adunanza Plenaria, ed ha poi deciso la controversia dichiarando improcedibile l’azione per difetto di interesse.

2.2.5. Alla stregua di quanto suesposto, deve, di conseguenza, ritenersi che – quand’anche la pronuncia impugnata fosse, in ipotesi, da considerarsi un provvedimento “abnorme o anomalo”, ovvero tale da comportare uno “stravolgimento” delle “norme di riferimento”, e quindi affetta da “errores in iudicando” o “in procedendo”, anche di diritto Eurounitario – essa abbia, in ogni caso, risolto in via interpretativa una questione concernente una condizione dell’azione del processo amministrativo, senza che possa ritenersi, pertanto, ravvisabile nell’operato del giudice speciale un eccesso di potere giurisdizionale nel senso suindicato.

2.2.6. Un concreto vulnus al diritto della ricorrente all’eccesso alla tutela giurisdizionale non può, del resto, ritenersi ravvisabile neppure alla stregua della giurisprudenza comunitaria richiamata nel ricorso. E ben vero, infatti, che le decisioni in materia hanno operato un’apertura, in punto legittimazione a ricorrere avverso il bando, anche a favore delle imprese che non abbiano neppure partecipato alla gara, ma ciò hanno fatto pur sempre sul presupposto che ci si trovi in presenza di clausole “immediatamente escludenti”, ovvero che rendano impossibile la formulazione stessa di un’offerta.

2.2.6.1. In una prima decisione, la Corte di Lussemburgo ha, invero, affermato che il fatto che una persona non presenti ricorso avverso una decisione dell’autorità aggiudicatrice con la quale sono stabilite le specifiche clausole di un bando di gara che essa ritiene discriminatorie in suo danno, “in quanto queste ultime le impediscono di partecipare utilmente al procedimento di aggiudicazione dell’appalto di cui trattasi, ed attenda la notificazione della decisione di aggiudicazione di tale appalto per impugnarla dinanzi all’organo responsabile, basandosi in particolare sul carattere discriminatorio delle dette specifiche, non è conforme agli obiettivi di rapidità ed efficacia della direttiva 89/665”. La Corte – nel privilegiare gli obiettivi di rapidità ed efficacia previsti sia dalla Direttiva n. 89/665, sia dalla Direttiva n. 92/13 – ha richiesto, a tal fine, l’impugnativa immediata delle clausole del bando di gara da parte dell’impresa interessata, ma pur sempre se le stesse “le impediscono di partecipare utilmente al procedimento di aggiudicazione dell’appalto di cui trattasi” (Corte Giustizia, 12/02/2004, Grossmann Air Service).

2.2.6.2. Ancora più esplicita, in tal senso, si palesa una seconda, più recente, decisione, nella quale la Corte Europea muove dalla considerazione – trattandosi di rimessione alla Corte di Giustizia effettuata dal TAR Liguria – della decisione della Corte Costituzionale n. 245 del 2016, secondo la quale non sussiste la legittimazione a ricorrere da parte dell’impresa che non abbia presentato domanda di partecipazione alla gara, laddove non ricorra alcun “impedimento certo e attuale” alla partecipazione, tale da determinare una situazione giuridica differenziata in capo alle suddette imprese. A tal fine non è, difatti, sufficiente la prospettazione di una lesione solo eventuale, denunziabile da parte di chi abbia partecipato alla procedura ed esclusivamente all’esito della stessa, in caso di mancata aggiudicazione.

Nella medesima prospettiva si è posta la Corte di Lussemburgo, nella sentenza in esame, nella quale ha ribadito che, è ben vero che il bando può essere impugnato anche dall’impresa che non ha presentato offerta alcuna, ma solo in presenza di clausole “immediatamente escludenti”, di talchè l’operatore è tenuto a dimostrare che “le clausole del bando rendevano impossibile la formulazione stessa di un’offerta” (Corte di Giustizia, 28/11/2018, Atc Esercizio s.p.a.). Siffatta evenienza – come detto – è stata, per contro, esclusa, nel caso di specie, dai giudici amministrativi di primo e secondo grado.

3. Per le ragioni esposte, il ricorso va, di conseguenza, dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente, in favore dei controricorrenti, alle spese del presente giudizio, che liquida, per ciascuno di essi, in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

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