Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17576 del 23/08/2011
Cassazione civile sez. II, 23/08/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 23/08/2011), n.17576
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –
Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –
Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –
Dott. MATERA Lina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.M.D. (OMISSIS), D.M.N.
(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PIEMONTE
32, presso lo studio dell’avvocato SPADA GIUSEPPE, rappresentati e
difesi dall’avvocato SALLEMI SEBASTIANO;
– ricorrenti –
contro
L.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA FEDERICO CESI 21, presso lo studio dell’avvocato TORRISI
MASSIMILIANO, rappresentato e difeso dall’avvocato ASSENZA GIORGIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 663/2004 del TRIBUNALE di RAGUSA, depositata
il 22/10/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
26/05/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;
udito l’Avvocato MASSIMILIANO TORRISI con delega depositata in
udienza dell’Avvocato ASSENZA Giorgio, difensore del resistente che
ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GOLIA Aurelio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 1999, L.A. chiedeva ed otteneva dal giudice di pace di Vittoria, decreto ingiuntivo per L. 4.726.000 nei confronti di Nunziatina e D.M.D., adducendo che tale importo le era stato richiesto quale maggiore imposta sull’incremento di valore conseguente alla diversa qualificazione catastale conseguita al frazionamento di un immobile da lei promesso al padre delle predette, che aveva voluto, prima della vendita, il detto frazionamento.
Proponevano opposizione le ingiunte assumendo di nulla dovere atteso che per legge l’imposta gravava sulla alienante e che ogni patto contrario era nulla per contrasto con la legge.
Con sentenza del 2001, l’adito giudice aveva respinto l’opposizione e regolato le spese; avverso tale decisione avevano proposto appello le D.M., cui aveva resistito la controparte.
Con sentenza in data 16/22.10.2004, il tribunale di Ragusa aveva respinto l’impugnazione, regolando le spese.
Osservava quel giudicante che il patto intercorso tra l’alienante ed il compratore non era da considerarsi in violazione della legge, giacchè con lo stesso si era stabilito, per venire incontro ad un desiderio dell’acquirente, di frazionare l’immobile compravenduto, con conseguente variazione catastale in aumento, maggior onere che, su consiglio dell’impiegato dello studio notarile, si era pattuito che avrebbe gravato sulle acquirenti.
Conclude la sentenza impugnata affermando essere evidente che in tal modo non si era voluto operare la traslazione dell’imposta sulla parte non obbligata, ma ovviare al maggior onere tributario conseguito per volere dell’acquirente. La L. aveva infatti corrisposto l’imposta per intero e aveva chiesto alle D.M. la restituzione di quanto pagato in più.
Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, sulla base di due motivi, illustrati anche con memoria, le soccombenti; la controparte resiste con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 4 e 27, in ragione del chiaro dettato delle norme suddette, in forza del quale l’imposta sull’incremento di valore degli immobili è dovuta dall’alienante a titolo oneroso e che qualsiasi patto diretto a trasferire ad altri l’onere dell’imposta è nullo.
Nella specie, la L. ha agito per la restituzione della somma pagata in più a tal titolo in ragione della suddivisione del suo immobile (promesso in vendita) in due distinte unità immobiliari, per espresso desiderio del promissario acquirente; le parti, all’atto della stipula avevano, come non è smentito, convenuto che il maggior onere tributario sarebbe stato pagato dalle acquirenti.
La sentenza impugnata ha argomentato nel senso che non v’era stata alcune elusione dell’obbligo fiscale gravante sulla venditrice a titolo oneroso, ma un risarcimento della maggior somma che era stata corrisposta in ragione della suddivisione dell’immobile, originariamente unico, in due distinte unità immobiliari, come richiesto dal promissario acquirente.
A parte il fatto che non si era mai prospettata la questione di un risarcimento del danno, il dettato delle norme applicabili è categorico nel senso che deve ritenersi nullo ogni patto volto a riversare l’onere del tributo su soggetti diversi da quelli indicati dall’art. 4, senza che rilevi la finalità pratica che le parti intendono conseguire (v. Cass. 10.5.1994, n 4556; 14.9.1991, n 9608).
Ora, che la maggiore entità dell’imposta dovuta fosse da ascriversi ad un desiderio della parte acquirente, non elide la debenza della stessa e la attribuzione dell’onere relativo alla parte alienante; la sanzione di nullità comminata in relazione a qualsiasi patto volto a trasferire su altri l’onere dell’imposta in questione opera pertanto in un caso del genere, atteso che l’oggetto della compravendita era risultato diverso, sotto il profilo fiscale, rispetto a quello compromesso,cosa questa che comportava l’applicazione di una imposta più elevata, in ragione del ritenuto maggior valore del bene.
Il fatto che le parti del contratto si fossero accordate nel senso di trasferire il maggior onere fiscale su chi aveva richiesto la suddivisione, senza che tanto si riflettesse sul prezzo dell’immobile, costituisce un patto volto ad elidere la tassativa disposizione di cui ai citati artt. 4 e 27, comporta nullità del patto stesso, che va dichiarata, con conseguente accoglimento del motivo in esame, senza che possano incidere le finalità pratiche che le parti si erano proposte.
Il secondo motivo, afferente alla regolamentazione delle spese, è assorbito.
Il ricorso deve essere pertanto accolto e la sentenza impugnata va cassata, senza che si profili la necessità del rinvio atteso che tutti gli elementi utili alla decisione nel merito risultano acquisiti: pertanto questa Corte, pronunciando nel merito, accoglie l’opposizione.
Le spese vengono regolate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, accoglie l’opposizione.
Condanna la resistente al pagamento delle spese che, quanto al primo grado, liquida in Euro 376,00, quanto al secondo in Euro 2,050,00 e, quanto al presente, in Euro 700,00, di cui Euro 500,00 per onorari, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2011.
Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2011