Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17575 del 23/08/2011

Cassazione civile sez. II, 23/08/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 23/08/2011), n.17575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.R. (OMISSIS) P.L.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI ANDREA,

rappresentati e difesi dall’avvocato MAZZETTO GIANCARLO;

– ricorrenti –

contro

B.D., B.M.T. in proprio e quale erede

insieme a O.M., O.M.L. del defunto O.

O., C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliati

in ROMA, LARGO DELLA GANCIA 5, presso lo studio dell’avvocato MIELE

RENATO, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONIO APPELLA

(deceduto), MARTELLATO LUIGINO MARIA;

– controricorrenti –

e contro

Z.G., MTS SRL (OMISSIS), G.M.

(OMISSIS), Z.U., S.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1877/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 08/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 1997, C.E., B.D., O. O. e Maria Teresa Baldan convenivano di fronte al tribunale di Venezia G.M. MTS srl, P.L., R. S., G. e Z.U. e S.L., chiedendo tutti costoro fossero condannati a lasciare libera e sgombra una striscia di terreno di complessivi mt. 9 a cavallo dei confini dei mappali 399, 356, 400, 357, 401,e 354 (o 208) del foglio 19 del NCT del comune di (OMISSIS), ed altresì a realizzare, a loro cura e spese, su tale striscia, una strada di analoga estensione , entro un termine prefissato, con autorizzazione a provvedervi direttamente, in caso di rifiuto.

Aggiungevano, a sostegno di tali richieste, di essere proprietari di alcuni fondi compresi tra via (OMISSIS), che erano ab origine appartenuti a M.R. e V.G.B., le quali predisponendo un piano di lottizzazione, avevano frazionato i terreni in lotti, prevedendo tra questi una strada di collegamento tra le vie suddette, che sviluppandosi da sud a nord, si interponesse tra i mappali surrichiamati.

Tutti gli atti di acquisto dei vari lotti richiamavano tale servitù di passaggio perpetuo, pedonale e carraio, oltre che di acquedotto, fognatura ed altro, definita come classica servitù reciproca in area di lottizzazione urbana.

Si costituivano i soli G. e MTS srl, i quali eccepivano la prescrizione dell’obbligazione e chiedevano la reiezione della domanda attorea per inesistenza, nei rispettivi atti di vendita, dei mapp. 399 e 400 dell’obbligo suddetto e per difetto di interesse degli attori alla costruzione della strada.

Con sentenza del 2000/2001, l’adito Tribunale accoglieva la domanda attorea e regolava le spese. Avverso tale decisione proponevano appello i soccombenti, cui resistevano gli originari attori, con la sola eccezione di O.O., nelle more deceduto, in luogo del quale resistevano i suoi eredi T.B. e M.L. e O.M..Con sentenza in data 18.5/8.11.2004, la Corte di appello di Venezia rigettava l’impugnazione e regolava le spese.

Confermata la natura reale del vincolo de quo, essendo chiara l’inerenza ai fondi dell’utilità e del peso sanciti dalla clausola contrattuale che li prevede, l’eccezione di prescrizione non aveva pregio.

La mancanza della previsione specifica negli atti di acquisto dei mappali 399 e 400, siccome facenti parti dell’originario mappale 345, di proprietà delle V. e poi frazionato, stante che il tipo di frazionamento era riportato in allegato e sottoscritto dagli acquirenti, mentre gli atti relativi ai mappali suddetti contenevano il richiamo alle servitù attive e passive, era da considerarsi irrilevante.

Non era poi necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’eventuale proprietario della residua porzione del mappale 345, atteso che l’azione proposta si fondava su rapporti giuridici distinti, ancorchè collegati sotto il profilo funzionale.

Era ancora da respingere l’eccezione legata alla mancanza di utilitas in capo agli originari attori, in quanto, il disporre di altro comodo accesso alla via pubblica non eliminava, nelle servitù volontarie, l’utilitas stessa e, inoltre, la servitù concerneva anche elettrodotto, acquedotto e fognatura.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, sulla base di tre motivi, P.L. e S.R., contumaci nel giudizio di merito, invocando tra l’altro l’esistenza di un giudicato esterno; resistono con controricorso C., D. e M. B.T. e M. e O.M.L., mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Questa Corte, rilevato che la notifica del ricorso non era andata a buon fine nei confronti di G.M. e di M. T. S. srl, con ordinanza in data 19.10.2010/14.1.2011, ne disponeva la rinnovazione;

provvedutosi a tanto, si perviene all’odierna udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 292 c.p.c., in ragione del fatto che la sentenza impugnata aveva fatto riferimento ad una scrittura privata, datata 30.5.1997, sottoscritta dagli odierni ricorrenti, con cui essi stessi si impegnavano a lasciar libera una striscia di terreno per formare una strada di nove metri di lunghezza; ora, i ricorrenti stessi erano contumaci nel corso del giudizio di merito e non era stata notificata loro tale scrittura.

Tanto costituirebbe motivo di nullità della sentenza impugnata, non essendo tale documento loro opponibile.

Il motivo non ha pregio, in quanto la lettura della sentenza impugnata nel suo complesso, dimostra chiaramente come l’accenno a detta scrittura contenuto nella stessa sia meramente incidentale e comunque non certo considerato risolutivo della questione sottesa, atteso che ben altre e diverse sono le considerazioni che sostengono la ratio decidendi adottata, che si basa piuttosto sulla constatazione secondo cui la sussistenza della servitù sui mappali 399 e 400 deriva dal fatto che detti fondi, quando sono stati acquistati dai coniugi P. e dal Z. con l’atto del 4.8.1993, erano già gravati della servitù costituita con il precedente atto del 17.2.1978 debitamente trascritto e quindi opponibile ai successivi acquirenti.

L’iter evolutivo della vicenda, quindi è stato accuratamente descritto nella sentenza impugnata e da ampio conto delle diverse e ben più assorbenti ragioni per cui la Corte lagunare è pervenuta alla decisione adottata.

Ne consegue che va esclusa la incidenza causale del documento, della cui mancata notificazione ai contumaci ci si duole, nella valutazione argomentativa che è alla base della sentenza e che quindi non sussisteva la necessità della notificazione dello stesso ai contumaci, donde la reiezione del primo motivo.

Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli art. 2909 c.c., e art. 324 c.p.c.; si assume che tra le parti sarebbe incorso un giudicato, costituito da una sentenza del pretore di Dolo, passata in giudicato a seguito di sentenza di questa Corte, le cui statuizioni sarebbero tali da non consentire la soluzione poi adottata dalla Corte di appello di Venezia nel presente giudizio.

Il motivo è inammissibile; trattasi all’evidenza di giudicati esterno, in ordine al quale è ormai consolidato (Cfr. SS. UU. 27.1.2004, n. 1416) l’orientamento secondo cui lo stesso è rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità.

Per ciò che attiene alla violazione del giudicato esterno, la Corte, ai fini della valutazione di quanto si sostiene, deve controllare se il relativo documento sia stato ritualmente acquisito agli atti sicchè è onere del ricorrente indicare il momento e la circostanza in cui la documentazione relativa sia stata prodotta. Nella fattispecie, le sentenze de quibus sono state prodotte, in copia non autentica, solo a norma dell’art. 372 c.p.c. e inoltre senza indicare il momento e le circostanze processuali in cui le copie autentiche delle sentenze stesse sarebbero state ritualmente prodotte nel giudizio e pertanto, attesa la natura dei documenti, inammissibilmente. Consegue che, a parte ogni considerazione relativa all’insussistenza della identità dei soggetti coinvolti nei due giudizi ed alla relativa identità dell’oggetto, atteso che è assorbente il profilo considerato, la considerazione suesposta rende il motivo inammissibile.

Con il terzo motivo,si lamenta violazione dell’art. 1362 e ss. c.c. e vizio di motivazione; per un verso di si duole della interpretazione che la Corte lagunare avrebbe attribuito alla clausola relativa alla costituzione della servitù, negli atti in cui la si richiama, atteso che ad essa si vorrebbe attribuire il valore di clausola di stile;

inoltre si lamenta contraddittorietà della motivazione, in quanto la sentenza impugnata oscillerebbe nella qualificazione di tale clausola.

A parte il profilo secondo cui su chi sostiene la non volontarietà della clausola incombe l’onere di fornirne la dimostrazione, cosa questa di cui in ricorso non si tiene conto,atteso che si sottolinea piuttosto la pretesa perplessità argomentativa sul punto della sentenza impugnata, perplessità da escludere assolutamente in ragione della decisione quale la stessa si atteggia nel suo complesso, devesi rilevare che tale prospettazione risulta sostanzialmente generica.

La questione afferente alla identificazione dei mappali investe poi un profilo di fatto, come tale non sindacabile in sede di legittimità, mentre va in ogni caso rilevata la sostanziale aderenza delle conclusioni raggiunte in sentenza con le risultanze della CTU. La questione poi afferente alla pretesa impossibilità di parlare di servitù reciproche in quanto nei singoli atti di compravendita non si parla dei fondi serventi viene proposta in questa sede per la prima volta e, considerato che sarebbe necessaria una disanima degli atti stessi onde valutarne la valenza, operazione inammissibile in sede di legittimità, occorre rilevarne l’inammissibilità.

Il motivo, nelle sue articolazioni, non può quindi trovare accoglimento e pertanto, con esso, va respinto il ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese, che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2011

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