Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17575 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/08/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 21/08/2020), n.17575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11246-2019 proposto da:

CREDITO EMILIANO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO

VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DOMENICO

PETRACCA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

OLIMPIO CESARE STUCCHI, PAOLA GOBBI;

– ricorrente –

contro

L.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO 16,

presso lo studio dell’avvocato DARIO IMPARATO, rappresentato e

difeso dagli avvocati BRUNO ARENA, STEFANIA ARMIERO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 786/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 01/02/2019 R.G.N. 1930/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. BOGHETICH ELENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PAOLA GOBBI;

udito l’Avvocato BRUNO ARENA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale della medesima sede, ha – con sentenza n. 786 depositata l’1.2.2019 – accolto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato da Credito Emiliano s.p.a., in data 3.10.2016, a L.V., per aver consentito – in qualità di Responsabile di filiale e nel periodo 2010-2015 – numerose operazioni irregolari e anomale al promotore finanziario della banca Euromobiliare Capasso senza effettuare le dovute valutazioni ai fini della normativa antiriciclaggio.

2. La Corte – rilevato che oggetto della contestazione disciplinare era la mancata attivazione delle procedure disciplinate dalla normativa antiriciclaggio nonostante le segnalazioni di operazioni anomale inoltrate al L. e dai cassieri della filiale (dovendo, inoltre, ritenersi coperto da giudicato l’accertamento del Tribunale circa l’esclusione dall’ambito del licenziamento di ulteriori comportamenti di conflitto di interessi comunicati nella lettera di contestazione disciplinare) – riteneva che tutti gli elementi istruttori acquisiti non avessero dimostrato l’infrazione addebitata, con conseguente insussistenza dei fatti materiali, annullamento del licenziamento e condanna della banca alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto.

3. Per la cassazione di tale sentenza il Credito Emiliano s.p.a. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi. Il lavoratore ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1362 e 1367 c.c., con riguardo alla lettera di contestazione disciplinare (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, errato nel ritenere esclusivamente contestata la mancata attivazione della procedura antiriciclaggio per le operazioni anomale eseguite dal promotore finanziario Capasso, dovendo ritenersi inclusa anche la mancata segnalazione (ai superiori gerarchici e agli organi di vigilanza aziendale) di operazioni irregolari effettuate dal promotore a prescindere dalla violazione della normativa antiriciclaggio. L’applicazione degli usuali canoni interpretativi, con particolare riferimento al criterio letterale e alla valutazione complessiva di tutto il contenuto dell’atto negoziale, avrebbe consentito di verificare che la contestazione disciplinare aveva ad oggetto la condotta omissiva relativa sia operazioni anomale eseguite dal Capasso (operazioni allo sportello senza clienti, contabili irregolari, consegna di carte di debito/credito a mani del promotore finanziario sebbene vietata da circolare interna) sia operazioni poste in violazione della normativa antiriciclaggio (prelievi in contante ripetuti, importi elevati, movimentazioni di contanti).

2. Con il secondo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) avendo, la Corte distrettuale, trascurato il riconoscimento degli addebiti effettuato dal L. attraverso le lettere di giustificazione fatte pervenire alla banca nel corso del procedimento disciplinare (lettere del 5.8, 9.9, 28.9.2016 e verbale di audizione orale del 6.9.2016) con cui si riconosceva la sussistenza di operazioni anomale.

3. Con il terzo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) avendo, la Corte distrettuale, trascurato la documentazione relativa alle dichiarazioni dei dipendenti G., E., P. in sede di Audit.

4. Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c. e art. 2900 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto necessaria l’impugnazione incidentale della banca in ordine all’accertamento – effettuato dal Tribunale – della limitazione della sanzione ad una sola delle due condotte descritte nella lettera di contestazione disciplinare nonostante il Tribunale avesse – più semplicemente – ritenuto sufficiente, ai fini della integrazione del giustificato motivo soggettivo (così come riqualificato dal giudice), la condotta omissiva di controllo sulle operazioni anomale effettuate dal promotore finanziario.

5. Con il quinto motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente escluso la detrazione dell’aliunde perceptum o percipiendum nonostante la banca avesse sin dal primo grado di giudizio dedotto la circostanza del reperimento di una nuova occupazione da parte del L., circostanza che non era stata contestata.

6. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Difetta, nel caso di specie, la necessaria riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale non ha solo conclusivamente precisato che la contestazione disciplinare doveva ritenersi circoscritta alla condotta omissiva del L. circa le “operazioni potenzialmente anomale o sospette” inerenti la normativa antiriciclaggio ma ha, nella sua ampia disamina, rilevato che nella lettera di contestazione disciplinare non venivano specificate quali erano le anomalie rilevate nelle operazioni richieste dal promotore finanziario Capasso nè quali erano state le segnalazioni inviate, anche via mail, dai cassieri P., G. ed E. (che avrebbero richiesto la segnalazione, da parte del Responsabile della filiale L., ai “Superiori sul territorio” e agli “Organismi di vigilanza aziendali”); la Corte territoriale ha proseguito sottolineando che – se anche si avesse voluto ricostruire la valenza interpretativa della contestazione disciplinare alla luce del contenuto delle mail inviate dai cassieri (in particolare il dipendente E.) – le operazioni anomale potevano ritenersi costituite “nelle manovre sulla consolle bussola per far entrare clientela anche dopo l’orario di sportello e nel recarsi dietro le casse per effettuare operazioni” e che, in ogni caso, nessuna della segnalazione dei cassieri (“in tutto 5 segnalazioni in cinque anni di Direzione di filiale”) indicava che si trattava di clienti del Capasso.

Le censure non colgono la ratio decidendi perchè la ricorrente insiste sulla errata interpretazione della lettera di contestazione disciplinare nel senso della limitazione alle anomalie che comportavano la violazione della normativa antiriciclaggio ma nulla deduce sulla interpretazione della lettera effettuata dalla Corte distrettuale anche alla luce delle segnalazioni effettuate dai dipendenti.

Questa Corte ha affermato che “la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione… ” (Cass. 3.8.2007 n. 17125 e negli stessi termini Cass. 25.9.2009 n. 20652).

7. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso sono inammissibili.

L’interpretazione di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 27415 del 2018) ha chiarito come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per Cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 5133 del 2014; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 21152 del 2014; Cass. Sez. Un. 5745 del 2015; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017).

Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. n. 21152 del 2014; Cass. n. 14802 del 2017); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. n. 21439 del 2015).

E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), o della “non contestazione dell’avvenuta usucapione” (un fatto che non sia stato “oggetto di discussione tra le parti” è, d’altro canto, fuori dall’ambito dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per sua stessa definizione), o per lamentarsi di una “motivazione non corretta”.

8. Il quarto motivo di ricorso non è fondato.

Come espressamente trascritto nella sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che “in origine al ricorrente sono state contestate sia condotte omissive rispetto al controllo delle operatività collegate ai clienti del promotore Banca Euromobiliare Capasso sia situazioni di commistione di potenziale conflitto di interessi con clienti….a seguito delle giustificazioni rese dal ricorrente, la banca, nella lettera di licenziamento, limita la contestazione alle prime condotte descritte, cioè all’omissione di controllo sulle operazioni anomale effettuate dal promotore finanziario”. La Corte distrettuale ha, conseguentemente, ritenuto che tale accertamento doveva essere oggetto di impugnazione incidentale da parte della banca.

La Corte distrettuale si è conformata al consolidato orientamento di questa Corte che ha ripetutamente affermato come in tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345 c.p.c., comma 2, (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2), nè sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure (Cass. S.U. n. 11799 del 2017, Cass. n. 24658 del 2017, Cass. n. 21264 del 2018).

9. Il quinto motivo è infondato.

Pur dovendosi preliminarmente rilevare che la censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto ed il tenore dell’eccezione di aliunde perceptum così come formulata nella memoria di costituzione, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. n. 3224 del 2014; Cass. S. Un. 5698 del 2012; Cass. S.Un. 22726 del 2011), deve comunque osservarsi che la Corte distrettuale si è conformata al principio ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui in tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che invochi raliunde perceptum” da detrarre dal risarcimento dovuto al lavoratore deve allegare circostanze di fatto specifiche e, ai fini dell’assolvimento del relativo onere della prova su di lui incombente, è tenuto a fornire indicazioni puntuali, rivelandosi inammissibili richieste probatorie generiche o con finalità meramente esplorative (cfr. da ultimo Cass. n. 2499 del 2017).

10. In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese di lite sono liquidate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..

11. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

 

 

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