Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17574 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/08/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 21/08/2020), n.17574

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1655-2019 proposto da:

D.S.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CORRADO MARTELLI;

contro

MARINO 1959 S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RIMINI N. 14, presso lo

studio dell’avvocato NICOLETTA CARUSO, rappresentata e difesa dagli

avvocati GAETANO SORBELLO, ANNA LISA SORBELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 854/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 31/10/2018 R.G.N. 411/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. BOGHETICH ELENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Messina, confermando la sentenza del Tribunale della medesima sede pronunciata in sede di opposizione della L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 57, ha – con sentenza n. 854 del 31.10.2018 – respinto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato da Marino 1959 s.r.l. con lettera del 24.10.2015 a D.S.A., Responsabile di un punto vendita presso il supermercato Eurospin, per irregolare contabilizzazione della merce, sottrazione di beni, irregolare gestione delle shopper bags.

2. La Corte, ritenuta tempestiva la contestazione disciplinare nonchè puntuale e specifica la lettera di licenziamento, escludeva l’adozione di “metodi polizieschi” da parte del datore di lavoro nel corso della istruttoria preliminare alla contestazione disciplinare nonchè la violazione dell’art. 213 del CCNL settore Terziario, Distribuzione e Servizi e rilevava che i numerosi episodi di irregolare contabilizzazione della merce, di sottrazione di merce, di errata gestione delle shopper bags costituivano comportamenti non semplicemente colposi ma deliberate e reiterate violazioni delle disposizioni aziendali commesse allo scopo di favorire sè stesso nella disponibilità piena della cassa ovvero di favorire i terzi che, nella migliore delle ipotesi, ritardavano i pagamenti della merce ovvero non vi provvedevano in alcun modo, con conseguente integrazione del paradigma legale della giusta causa di recesso.

3. Per la cassazione di tale sentenza D.S. ha proposto ricorso affidato a nove motivi. La società resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., artt. 1175,1345 e 1375 c.c., art. 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, proceduto ad una errata lettura delle prove in ordine alla circostanza dell’avvio, da parte del datore di lavoro, di vere e proprie indagini poliziesche per accertare gli addebiti disciplinari, indagini riferite dai testimoni A., G., P., comportamento illegale che integra un profilo di nullità del licenziamento per motivo illecito determinante.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 213 CCNL settore Terziario, Distribuzione e Servizi (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto “ininfluente tale disposizione sotto il presupposto che la norma non riguardasse il caso in cui al responsabile del punto vendita sia addebitato di aver consentito che la merce venisse portata fuori dal magazzino senza i necessari documenti contabili (fatto completamente inventato dai Giudici di appello per mancanza di riferimento probatorio, in effetti, la merce non usciva dal magazzino ma veniva messa da parte e scontrinata al momento dell’uscita) così come la Corte di appello si è inventata (non vi è alcun supporto probatorio e non è stato nemmeno contestato) la circostanza che il D.S. si sarebbe reso colpevole di sottrazione di merce”.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia violazione dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare (del 26.9.2015) nonostante l’inventario della merce era stato fatto il 5.7.2015 e la maggior parte delle condotte addebitate al lavoratore erano già a conoscenza del datore di lavoro e non presentavano alcuna complessità di accertamento.

4. Con il quarto motivo di ricorso si denunzia violazione degli artt. 2119 e 2697 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 5, art. 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto provate le circostanze afferenti le pretese infrazioni disciplinari benchè sfornite di un minimo di elemento di prova. Invero, con riguardo alla merce in uscita non scontrinata, non esisteva alcuna procedura aziendale scritta da osservare, e il D.S. ha agito con l’intento di agevolare e fidelizzare il cliente, senza arrecare danno alla società, come confermato dai testimoni D., G., P. e dal comportamento contraddittorio della ispettrice R.; con riguardo alla gestione delle avarie e rotture, condotta non immediatamente contestata al lavoratore, il D.S. aveva ricevuto direttive aziendali (come confermato dal testimone D.); infine, con riguardo alla gestione Shoppers supplementare, il D.S. aveva dato disposizione che dovessero essere pagati (come confermato dai testi B., G. e D.).

5. Con il quinto motivo di ricorso si denunzia violazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2, come novellato dalla L. n. 92 del 2012, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, trascurato di motivare sul motivo di appello relativo alla inefficacia del licenziamento per mancata specificazione contestuale dei motivi ed avendo confuso fra lettera di contestazione disciplinare e lettera di licenziamento (non potendosi attribuire alcun valore alla integrazione dei motivi ricevuti dal lavoratore il 30.10.2015 ossia successivamente alla lettera di recesso).

6. Con il sesto motivo di ricorso si denunzia violazione dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo, la Corte distrettuale, ritenuto – in adesione a giurisprudenza consolidata – irrilevante l’affissione del codice disciplinare, nonostante il comportamento del D.S. non potesse ritenersi nè eticamente disdicevole o contrario a doveri fondamentali nè sanzionabile penalmente.

7. Con il settimo motivo di ricorso si denunzia violazione del principio di proporzionalità (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto legittimo il licenziamento nonostante i fatti addebitati non siano tipizzati nel contratto collettivo e il D.S. non avesse mai subito prima contestazioni disciplinari.

8. Con l’ottavo motivo di ricorso si denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) avendo, la Corte distrettuale, “omesso di esaminare i vari motivi di appello… incorrendo per tale omissione in una serie di errori e inesattezze che hanno comportato lo stravolgimento del processo dal punto di vista fattuale e di diritto senza nessun supporto probatorio la Corte di appello è arrivata (erroneamente a interpretare la prova testimoniale che è questione di merito sottratta al giudizio di questa corte ma a creare e inventare circostanze non risultanti dall’istruttoria”.

9. Con il nono motivo di ricorso si denunzia violazione dell’art. 92 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, condannato il lavoratore al pagamento delle spese di lite invece che – visti i motivi innanzi esposti e la probabile soccombenza virtuale – condannare la società o, in subordine, a seguito della recente sentenza n. 77 del 2018 della Corte Costituzionale, compensare le spese.

10. I motivi dal primo all’ottavo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono inammissibili e per la parte residua infondati.

10.1. Preliminarmente, le censure (in specie i motivi secondo, terzo, quinto) sono prospettate con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto delle lettere di contestazione disciplinare e di licenziamento, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).

Medesimo rilievo di inammissibilità deve sollevarsi con riguardo all’ottavo motivo di ricorso in relazione alla mancata trascrizione dei motivi di reclamo di cui il ricorrente lamenta l’omessa valutazione da parte della Corte distrettuale (anche volendo tralasciare l’irritualità della formulazione del motivo che, censurando un difetto di attività del giudice di merito, doveva essere fatto valere attraverso la deduzione del relativo “error in procedendo” e della violazione dell’art. 112 c.p.c., cfr. Cass. nn. 12952 del 2007, 21165 del 2013, 7871 del 2012, 329 del 2016).

10.2. Debbono, inoltre, ritenersi inammissibili le censure (in specie i motivi primo, secondo, quarto) che si traducono in critiche ed obiezioni avverso la valutazione delle risultanze istruttorie quale operata dal giudice del merito nell’esercizio del potere di libero e prudente apprezzamento delle prove a lui demandato dall’art. 116 c.p.c. (cfr. in motivazione, ex plurimis, Cass. n. 22283 del 2014). Le censure si risolvono, nella sostanza, in una richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito, richiesta ormai del tutto inammissibile, trattandosi di fattispecie ricadente, ratione temporis, nel regime risultante dalla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) ad opera del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, ove il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge, come chiarito dalle Sezioni Unite, sentenza n. 8053 del 2014. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio realmente rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

10.3. Il terzo motivo di ricorso presenta un ulteriore profilo di inammissibilità ove si critica la sentenza impugnata per non aver ritenuto violato il principio di immediatezza e tempestività dell’azione disciplinare.

Per consolidata giurisprudenza di questa Corte l’accertamento della violazione del principio della tempestività della contestazione disciplinare spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (cfr., ex plurimis, Cass. n. 13183 del 2018; Cass. n. 14195 del 2018; Cass. n. 1247 del 2015; Cass. n. 25070 del 2013; Cass. n. 29480 del 2008; Cass.. n. 22066 del 2007; Cass. n. 14115 del 2006). In particolare rileva l’avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non l’astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi (Cass. n. 23739 del 2008; Cass. n. 21546 del 2007).

10.4. Per quel che risulta, la censura di cui al quinto motivo è, altresì, infondata, avendo – la Corte distrettuale – affrontato espressamente la doglianza relativa alla mancata contestualità, nella lettera di licenziamento, dei motivi di recesso. La Corte distrettuale ha, invero, precisato che “Come correttamente rilevato dal primo giudice, la comunicazione di licenziamento, datata 24 ottobre 2015, contiene un puntuale richiamo alle contestazioni mosse al lavoratore con lettera datata 26.9.2015 nonchè il riferimento alle difese date dal D.S. in sede di audizione e alle dichiarazioni rese dagli altri lavoratori, sicchè appare corretto ritenere che al recesso sia stata data contestuale giustificazione con esposizione dei motivi ad esso sottesi”.

10.5. Il sesto motivo di ricorso non è fondato, in quanto la Corte distrettuale si è conformata all’orientamento consolidato (richiamato altresì dal ricorrente) in materia di affissione del codice disciplinare (sulla irrilevanza della affissione del codice disciplinare in presenza di violazione di norme di legge e comunque di doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione, cfr. da ultimo Cass. n. 6893 del 2018) ed ha, coerentemente, sottolineato che le condotte poste in essere dal D.S. costituivano una “sottrazione di beni” nonchè una irregolare contabilizzazione, addebiti “reiterati nel tempo, frutto di comportamenti che erano stati già censurati dall’azienda e commessi approfittando della funzione di Responsabile del punto vendita” (pag. 5-6 della sentenza impugnata).

10.6. Il settimo motivo di ricorso non è fondato.

In proposito, vale richiamare la trama argomentativa contenuta in un recente arresto di questa Corte che ha analizzato funditus i rapporti tra licenziamento e previsioni disciplinari della contrattazione collettiva (Cass. n. 12365 del 2019; nello stesso senso v. Cass. n. 14247 del 2019; Cass. n. 14248 del 2019; Cass. n. 14500 del 2019; Cass. n. 14604 del 2019; conformi anche Cass. n. 19578 del 2019; Cass. n. 21628 del 2019).

– In particolare, con riguardo alla censura della mancata tipizzazione delle condotte addebitate al D.S. nell’ambito del contratto collettivo applicato dal datore di lavoro, va rilevato che quella della giusta causa e del giustificato motivo è una nozione legale, e, conseguentemente, si è più volte espresso il generale principio che tali previsioni non vincolano il giudice di merito (ex plurimis, Cass. n. 8718 del 2017; Cass. n. 9223 del 2015; Cass. n. 13353 del 2011).

La Corte di Appello ha proprio effettuato detta verifica, ravvisando nella specie l’estrema gravità trattandosi “di deliberate violazioni delle disposizioni aziendali, commesse allo scopo di favorire sè stesso nella disponibilità piena della cassa ovvero di favorire i terzi che, nella migliore delle ipotesi, ritardavano i pagamenti della merce ovvero non vi provvedevano in alcun modo”.

Trattasi di argomentazione plausibile, commisurata a tutte le circostanze del caso concreto che compete al giudice del merito apprezzare e che è sottratta al controllo di legittimità, per cui la diversa opinione della parte soccombente non è idonea a determinare la cassazione della sentenza impugnata.

Parimenti questa Corte insegna come anche il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità (ex pluribus: Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003), se non nei limiti in cui lo sia il vizio di motivazione secondo la disciplina dell’art. 360 c.p.c., tempo per tempo vigente.

Trattandosi di una decisione che è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi, la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma deve piuttosto denunciare l’omesso esame di un fatto, ai fini del giudizio di proporzionalità, avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (v. Cass. n. 18715 e 20817 del 2016).

11. Il nono motivo di ricorso è inammissibile, non essendo dedotta alcuna argomentazione circa la violazione del principio di soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. e non essendo ammissibile un motivo che deduca soltanto l’ingiustizia della decisione, senza specificare le circostanze, costituenti gravi ed eccezionali ragioni, per le quali, secondo il ricorrente, il giudice avrebbe potuto compensare tra le parti le spese di lite, ai sensi dell’art. 92 c.p.p., comma 2, (v. Cass. n. 13151 del 2017).

12. In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..

13. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater, del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,b0 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

 

 

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