Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17573 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/08/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 21/08/2020), n.17573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1001-2019 proposto da:

P.C.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PAOLO MARIA FEDERICO CANDIDA;

– ricorrente –

contro

BANCO BPM S.p.A., già BANCA POPOLARE DI MILANO S.P.A., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA LIVENZA 3, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LOTTI,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMILIANO

FREDDI, FABRIZIO DAVERIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 554/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 24/10/2018 R.G.N. 596/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANGELA ISABELLA COLELLA, per delega Avvocato PAOLO

MARIA FEDERICO CANDIDA;

udito l’Avvocato ACHILLE BORRELLI, per delega verbale Avvocato

FABRIZIO DAVERIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Torino, riformando la sentenza del Tribunale di Alessandria che aveva ritenuto la decisività delle eccezioni preliminari sollevate dal datore di lavoro, ha – con sentenza n. 554 depositata il 24.10.2018 – respinto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato da Banca popolare di Milano s.p.a., in data 23.9.2016, a P.C.A., per aver effettuato – in qualità di cassiere e nel periodo (OMISSIS) – 54 operazioni irregolari in violazione delle normative vigenti in materia di antiriciclaggio e di assegni bancari nonchè delle regole interne alla banca, omettendo di identificare e censire i clienti con riferimento a determinate operazioni, eseguendo bonifici senza previamente acquisire il necessario modulo e la disposizione scritta dell’ordinante ovvero senza previa costituzione della provvista, apponendo falsi visti su alcune operazioni, frazionando importi di un’unica operazione ed effettuando false registrazioni, eseguendo operazioni fittizie, apponendo false firme al posto della madre e della cliente B..

2. La Corte riteneva che i fatti contestati al lavoratore, ammessi dal P., integravano senz’altro una giusta causa di recesso ex art. 2119 c.c. in quanto comportamenti reiterati e connotati da sicura gravità, che – oltre ad aver determinato un danno per la banca (con riguardo alla perdita delle commissioni sui bonifici) denotavano una elevata negligenza, trascuratezza e noncuranza dei doveri tipici del cassiere con conseguente lesione dell’affidamento non solo del datore di lavoro ma anche del pubblico, che deve poter riporre estrema fiducia nella lealtà e nella correttezza di questi funzionari, dovendo altresì considerarsi che il P. era recidivo.

3. Per la cassazione di tale sentenza P.C.A. ha proposto ricorso affidato a tre motivi. La società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, errato nella valutazione del rispetto del principio di proporzionalità tra infrazioni e sanzioni disciplinari posto che non è stato tenuto conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive che hanno determinato la condotta addebitata trattandosi di episodi di lieve entità ed avendo, il P., sempre operato – nel corso del suo rapporto ultra ventennale – nel massimo rispetto delle regole e delle direttive aziendali, svolto con professionalità e diligenza le mansioni e i compiti affidati senza mai contravvenire ai propri doveri bensì garantendo il funzionamento e l’operatività aziendale (come dimostrato dalle dichiarazioni scritte di numerosi clienti). Inoltre, buona parte dei comportamenti addebitati dalla banca erano stati contestati “nella loro essenza di infrazioni”, trattandosi in alcuni casi di clienti comunque noti alla banca o della propria madre oppure di condotte prive di qualsivoglia effetto negativo.

2. Con il secondo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) avendo, la Corte distrettuale, trascurato – di valutare la legittimità di due precedenti sanzioni disciplinari intimate, nel (OMISSIS), dalla banca, avendo – nella sostanza – il lavoratore dedotto, nel ricorso introduttivo del giudizio, l’insussistenza delle condotte sanzionate nel (OMISSIS) con due provvedimento conservativi.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto rispettato il principio di immediatezza sia con riguardo alla contestazione disciplinare (del 27.7.2016) sia con riguardo alla lettera di licenziamento (consegnata il 29.9.2016) nonostante la banca fosse venuta a conoscenza dei fatti sin da (OMISSIS) (in occasione dell’erronea duplicazione di un bonifico da parte del lavoratore, episodio che generava un accertamento ispettivo) e comunque in via definitiva sin dal primo colloquio con il servizio Audit del 30.5.2016 nel corso del quale il P. aveva riconosciuto espressamente tutti gli addebiti contestati e nonostante il dipendente fosse stato sentito a sua difesa il 23.8.2016.

4. Il primo motivo del ricorso non è fondato.

4.1. In tema di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo soggettivo ed ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, questa Corte ha affermato che rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza.

Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo (cfr. Cass. n. 2013 del 2012 e, precedentemente, in senso analogo, tra le tante, Cass. nn. 13574, 7948, 5095, 4060 del 2011).

4.2. Tanto premesso in diritto, è conforme ai principi richiamati l’operato della Corte territoriale che ha ritenuto ricorrente una infrazione disciplinare di particolare gravità, sussumibile nella nozione legale di giusta causa, a fronte della violazione di numerose regole interne nonchè di disposizioni di fonte normativa che disciplinano l’attività tipica del cassiere: invero, il P., effettuando 17 bonifici per cassa privi di disposizione scritta dell’ordinante e di qualsiasi documentazione a supporto “ha violato le disposizioni interne contenute nella circolare Processo e Ambito Bonifici in partenza- (OMISSIS)”; per le operazioni effettuate in proprio ha violato le disposizioni interne che richiedono il visto del preposto; la falsa registrazione di presentatori diversi dal reale esecutore dell’operazione e la effettuazione di bonifici di cassa a nome di persone che non erano clienti della banca nè erano previamente censite sono state poste in violazione di disposizione interne “ma, prima ancora, di norme di legge, segnatamente della normativa antiriciclaggio”; il frazionamento di un unico bonifico nella procedura BI02 ha violato disposizioni interne, come anche le operazioni di bonifici che presentavano sottoscrizioni non riconducibili a nessun operatore della filiale oppure eseguiti senza la preventiva costituzione della provvista oppure in assenza di preventiva costituzione di fondi oppure effettuati senza incassare le relative commissioni (la violazione di questo ultimo obbligo ha, inoltre, comportato un danno economico per la banca) oppure eseguiti a fronte di moduli incompleti o impropriamente redatti; infine, l’esecuzione di operazioni in presenza di sottoscrizioni manifestamente difformi rispetto alle firme depositate (specimen) è stata posta in violazione della normativa relativa agli assegni bancari. La Corte distrettuale, rilevando che il P. ha dedotto di contestare tali operazioni “non in quanto condotte insussistenti ma perchè, a suo dire, di modesta rilevanza e comunque causate da una condotta certamente emendabile”, ha sottolineato che si è trattato di comportamenti non di modesta rilevanza in quanto “essi, al contrario, denotano una elevata noncuranza dei doveri tipici del cassiere di banca, contretandosi nella violazione delle normative interne della stessa, dirette ad assicurare, anche mediante la corretta compilazione dei moduli, i doverosi controlli e la registrazione degli ordinanti e quindi la tracciabilità delle operazioni bancarie compiute, ciò che viene tutelato anche da normativa di rango primario”.

Trattasi di argomentazione plausibile, commisurata a tutte le circostanze del caso concreto che compete al giudice del merito apprezzare e che è sottratta al controllo di legittimità, per cui la diversa opinione della parte soccombente non è idonea a determinare la cassazione della sentenza impugnata.

Parimenti questa Corte insegna come anche il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità (ex pluribus: Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003), se non nei limiti in cui lo sia il vizio di motivazione secondo la disciplina dell’art. 360 c.p.c., tempo per tempo vigente.

Trattandosi di una decisione che è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi, la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma deve piuttosto denunciare l’omesso esame di un fatto, ai fini del giudizio di proporzionalità, avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (v. Cass. n. 18715 e 20817 del 2016).

5. Il secondo motivo è inammissibile in quanto prospettato con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio (quantomeno i tratti salienti), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi – solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).

Invero, la sentenza impugnata ha precisato che “l’odierno reclamante era anche recidivo (e la recidiva è stata regolarmente contestata nella lettera del 26.7.2016), senza che le precedenti sanzioni (sospensione dal servizio e dal trattamento economico di 8 giorni, comunicata con lettera del 24.8.2015, e sospensione dal servizio e dal trattamento economico, comunicata con lettera del 27.11.2015) siano mai state impugnate dal P., nemmeno incidentalmente nel presente giudizio”.

Il ricorrente censura la sentenza impugnata rilevando di aver “nella sostanza” contestato la legittimità delle precedenti sanzioni disciplinari ma non fornisce alcun riscontro della sua deduzione.

6. Il terzo motivo non è fondato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che nel licenziamento per motivi disciplinari, l’immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo (quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa), con valutazione riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (Cass. n. 16841 del 2018 e ivi ampia citazione di precedenti giurisprudenziali).

La Corte distrettuale ha fornito ampia motivazione sulla tempestività sia della contestazione disciplinare sia della lettera di licenziamento, rilevando, rispettivamente che: l’indagine ispettiva della banca aveva preso avvio a seguito della duplicazione del bonifico di Euro 550,00 del 5.4.2016 e solamente nell’ambito di tale indagine erano emerse – con valutazione a ritroso – le numerose altre irregolarità compiute dal P. sin da settembre (OMISSIS); il provvedimento espulsivo era intervenuto entro un ristrettissimo periodo di tempo (circa due mesi) ed entro un solo mese dall’audizione (del 23.8.2016) del dipendente assistito da un rappresentante sindacale.

7. In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese di lite sono liquidate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..

8. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

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