Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17571 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/08/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 21/08/2020), n.17571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15332-2016 proposto da:

B.D., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARCO GABRIELE SCILLITANI;

– ricorrente –

contro

M.G. & FIGLI S.A.S., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CARDINAL DE LUCA 22, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

D’ISIDORO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 77/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 29/01/2016 R.G.N. 3633/2013.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’appello di Bari, con sentenza del 29.1.2016, respingeva il gravame proposto da B.D., agente della M.G. & Figli s.a.s., avverso la decisione del Tribunale di Foggia, che aveva accolto la domanda della società preponente avanzata per ottenere il pagamento, da parte del B., delle somme da quest’ultimo incassate per conto della società per un importo di Euro 50.365,94. Lo stesso Tribunale aveva rigettato, invece, la domanda riconvenzionale avanzata dall’agente per il pagamento dell’indennità ai sensi dell’art. 1751 c.c.;

2. la Corte distrettuale, valutate globalmente le prove orali, prove reputate largamente favorevoli alla tesi della società, nel respingere il gravame dell’agente, osservava nello specifico che le fatture esibite dalla prima e le incerte contestazioni effettuate dall’appellante in sede di interrogatorio erano idonee a sostenere l’impianto argomentativo della decisione impugnata. Riteneva, poi, che fosse inammissibile la domanda riconvenzionale spiegata dall’agente, reiterata in sede di gravame, avendo il Tribunale bene argomentato sulla mancanza delle ragioni poste a suo fondamento e non avendo l’agente specificato nei motivi d’appello le ragioni della proposta censura;

3. di tale decisione domanda la cassazione il B., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui ha resistito la società, con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. va, preliminarmente, respinta l’eccezione di tardività del ricorso, in quanto allo stesso trova applicazione il termine annuale di impugnazione, posto che il ricorso introduttivo era stato depositato prima del 4 luglio 2009;

2. con il primo motivo, il B. denunzia violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2721 e 2726 c.c. sostenendo l’inammissibilità della prova del pagamento a mezzo testimoni e rilevando come non fosse presente alcuno dei casi costituenti eccezione alla regola previsti dall’art. 2724 c.c.; osserva che la prova dei pagamenti era stata ammessa in violazione delle norme richiamate in rubrica;

3. con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omesso esame delle divergenti testimonianze di alcuni testi circa fatti decisivi per il giudizio;

4. omesso esame della presunzione emersa dalle prove testimoniali di T.F. e di altro teste circa un fatto decisivo per il giudizio e violazione ed omessa applicazione dell’art. 2727 c.c., sono denunziati con il terzo motivo, assumendo il B. che non sia stato conferito valore di prova presuntiva alla circostanza che, se non avesse ricevuto il pagamento, la società non avrebbe dato corso a successive forniture;

5. con il quarto motivo, sono ascritte alla sentenza impugnata violazione e falsa applicazione dell’art. 2710 c.c. in tema di efficacia probatoria delle scritture contabili, osservando il ricorrente che le fatture non rappresentano libri bollati e vidimati nelle forma di legge e che pertanto non poteva essere attribuita ad esse alcuna efficacia probatoria, posto che le stesse potevano avere rilevo solo tra parti contrattuali che rivestissero la qualità di imprenditori commerciali;

6. il primo motivo, in disparte il suo carattere di novità in quanto le violazioni dedotte non hanno costituito oggetto dei motivi di gravame, come è dato evincere dal mancato riferimento a tali questioni nella decisione impugnata, attiene a violazioni di norme che non rilevano ai fini di causa, in quanto la prova espletata ha avuto ad oggetto il passaggio di denaro in contanti dai clienti all’agente, quale fondamento del diritto della società ad avere riversate le somme in questione. La prova per testi è stata correttamente utilizzata nell’ambito di una valutazione complessiva che contemplava anche la rilevanza del dato documentale, rappresentato dalle fatture emesse in relazione agli affari conclusi, e dirimente ai fini dell’esclusione di ogni profilo di violazione in diritto risulta la considerazione che l’art. 2726 c.c., estendendo al “pagamento” i limiti legali della prova testimoniale dei contratti, si riferisce al pagamento del debito contrattuale oggetto di giudizio che riguardi direttamente le parti contrattuali, sicchè detti limiti non operano per la prova relativa a consegna di denaro effettuata da terzi, clienti della società, a mani dell’agente e da parte di quest’ultimo da riversare alla società preponente, in virtù di mandato di agenzia prevedente attività di incasso dell’agente;

6.1. in ogni caso, in assenza della tempestiva eccezione di nullità, tale vizio è da ritenersi sanato e non può essere eccepito per la prima volta in sede di legittimità (cfr. Cass., 13 marzo 2012, n. 3959, Cass. 13.10.2016 n. 20659);

7. il secondo motivo risulta formulato in dispregio del principio che, in ipotesi di “doppia conforme”, non consente la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, stante nella specie l’applicabilità ratione temporis della relativa previsione – art. 348 ter c.p.c., comma 5, – per essere la data di deposito del ricorso in sede di gravame successiva alla data dell’11 settembre 2012 (D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2);

7.1. peraltro, la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 novellato prevede la corretta indicazione del fatto asseritamente omesso nell’esame, nel rispetto del paradigma deduttivo (dovendo il ricorrente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”) prescritto dal mutato testo della norma: con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori, ostativi ad una valutazione della motivazione insufficiente o contraddittoria, salvo che essa non risulti apparente nè perplessa o obiettivamente incomprensibile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439): ciò che non si verifica nel caso di specie;

8. anche i rilievi formulati nel terzo motivo, ed in particolare quello relativo al mancato ricorso al ragionamento presuntivo da parte della Corte territoriale, non possono inficiare la valutazione degli elementi probatori effettuata dal giudice del merito e ritenuti sufficienti a fondare la decisione di rigetto; per quanto già detto, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. s.u. 7.4.2014 n. 8053);

9. il quarto motivo è palesemente inammissibile, perchè le fatture prese in considerazione solo come elemento di prova unitamente ad altri riscontri probatori – non sono assimilabili ai libri ed alle scritture contabili di cui all’art. 2710 c.c., impropriamente richiamato, e perchè la questione dedotta è, in ogni caso, connotata dal carattere di novità;

10. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo, con attribuzione al difensore dichiaratosi antistatario;

11. essendo stato il ricorso proposto in epoca posteriore al 30 gennaio 2013, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, presupposti che ricorrono anche in ipotesi di declaratoria di inammissibilità del ricorso (cfr. Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%, con attribuzione all’avv. Vincenzo D’Isidoro.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

 

 

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