Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17566 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. III, 21/08/2020, (ud. 22/06/2020, dep. 21/08/2020), n.17566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28597/2018 proposto da:

S.C., elettivamente domiciliato in Roma al viale B.

Buozzi, n. 99, presso lo studio dell’avvocato Fabrizio Criscuolo che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Domenico Ruggiero;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS), in persona del Curatore in carica,

elettivamente domiciliato in Roma alla via U. Boccioni, n. 4, presso

lo studio dell’avvocato Antonio Smiroldo, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Nicola Rascio, giusta autorizzazione

del giudice delegato;

– controricorrente –

nonchè di:

C.R., A.A., F.C.;

– intimati –

nonchè di:

SC.Ma.As., e N.C.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 03841 della CORTE di APPELLO di NAPOLI,

depositata il 31/07/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/06/2020 da Dott. Cristiano Valle, osserva:

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1) S.C., già amministratore della S.r.l. (OMISSIS) (d’ora in seguito (OMISSIS) S.r.l.) dichiarata fallita dal Tribunale di Nocera Inferiore, con sentenza n. 34 del 6.11.2012, impugna per cassazione, con atto affidato a sette motivi, la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 03841 del 31/07/2018, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli, sezione specializzata in materia di impresa – preceduta da procedimento cautelare ai sensi dell’art. 671 c.p.c. e art. 669 bis c.p.c. e segg. – di condanna, nei suoi confronti – oltre che nei confronti degli altri amministratori, per diversi importi – al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di Euro duecentonovantacinquemila e novantadue e ventiquattro centesimi, gravandolo, altresì, delle spese del grado, liquidate in relazione alla sua condanna al risarcimento dei danni.

1.1) Resiste, con controricorso, il Fallimento della (OMISSIS) S.r.l.

1.2) C.R., A.A., F.C., appellati e costituite in detta fase, con atti adesivi alla posizione dello S., sono rimasti intimati, come pure Sc.Ma.As. e N.C., queste ultime già contumaci in appello.

1.3) Il P.G. non ha presentato conclusioni.

L4) Le parti hanno depositato memorie nel termine di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c.

1.5) La causa è stata trattata all’adunanza non partecipata del 22 giugno 2020, alla quale era stata originariamente fissata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Il primo motivo di ricorso deduce violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 1223,2043 e 2476 c.c., con riferimento anche all’art. 2697 c.c. e all’art. 116 c.p.c.

Il mezzo afferma che la Corte di Appello – come già il Tribunale -non ha fondato il danno, che avrebbe pregiudicato la società e (o) i creditori sociali, su di un preciso comportamento antigiuridico riferibile allo S., in quanto non è compatibile con gli artt. 1223 e 2043 c.c. addossare a tutti gli amministratori un pregiudizio che è il risultato delle condotte di tutti e non si riferisce alle iniziative riconducibili a ciascun singolo amministratore.

2.1) Il secondo mezzo deduce violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 2426 c.c., comma 1, n. 2 e, per quanto concerne la connessa quantificazione del danno, degli artt. 1218,1223 e 2043 c.c.

Il mezzo deduce che la Corte territoriale ha malamente applicato, e, ancor prima, contestato, allo S., un comportamento non appropriato alla stregua dell’art. 2426 c.c. con riferimento all’ammortamento delle immobilizzazioni immateriali. Lo stesso secondo mezzo deduce erroneità della sentenza sotto il profilo dell’erroneità della data effettiva di cessazione dall’incarico da parte dello S..

2.3) Il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti consistente nell’invio a mezzo raccomandata delle dimissioni dello S. dall’incarico di amministratore.

2.4) Il quarto motivo afferma violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 2699 c.c. alla luce del disposto del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 12 (testo unico in materia di poste e telecomunicazioni), nonchè dell’art. 2697 c.c. anche in rapporto all’art. 2727 c.c., con riferimento alla prova dell’invio e della ricezione delle lettere raccomandate con le quali lo S. rassegnava le proprie dimissioni dall’incarico di amministratore.

2.5) Il quinto mezzo deduce omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione, consistente nella dichiarata cessazione della carica in data anteriore rispetto al bilancio dell’anno 2003, approvato nel 2004, nel quale sarebbe emerso uno degli inadempimenti contestati allo S..

2.6) Il sesto motivo deduce violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 2385 e 2484 c.c. anche in rapporto all’art. 2423 c.c., nonchè agli artt. 1218,1223 e 2043 c.c.

2.7) Il settimo, ed ultimo mezzo, deduce nullità della sentenza e errori procedimentali, in rapporto agli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè per violazione dell’art. 191 c.p.c., L. Fall., artt. 33 e 34 e in relazione all’art. 111 Cost. e art. 101 c.p.c.

3) Il primo motivo presenta varie ragioni di inammissibilità.

La prima è rappresentata dal fatto che esso non contiene una individuazione della correlazione della critica, che svolge, alla decisione impugnata quanto al tenore dell’atto di appello.

Infatti, nell’esordio della sua illustrazione, a pagina 17, inizia con l’enunciare che “nell’atto di appello, il Dott. S. aveva già evidenziato gli errori di diritto nei quali era caduto il Primo Giudice il quale gli aveva addossato la responsabilità del tempo della carica e degli atti posti in essere”, ma poi continua sempre genericamente, cioè senza riferire riproducendolo direttamente il contenuto dell’atto di appello, se non per una parte che riporta in nota alla pagina 18, riportando tre piccoli brani della sentenza di primo grado, senza, peraltro, localizzarla in questo giudizio di legittimità. Riferisce, quindi, che si era inteso censurare che la sentenza di primo grado, sulla scorta di una consulenza tecnica di ufficio espletata nella sede fallimentare, avesse “finito per addossare agli amministratori il peso del danno complessivo, senza considerare i fatti a ciascuno imputabili”. Peraltro, nella riproduzione di cui alla nota, a piè di pagina, indicata il passo dell’atto di appello contiene solo un’argomentazione astratta in diritto e termina con il riferire, dopo l’assunto che la partecipazione degli amministratori non era stata eguale, con un esempio riferito ad uno di essi, seguito da puntini sospensivi. Tale riproduzione è del tutto inidonea a riferire in modo puntuale il motivo di appello di cui trattasi, che, peraltro, nemmeno viene indicato con l’eventuale enumerazione che le era stata data nella citazione in appello.

Il giudice di legittimità non è posto, dunque, in condizione di comprendere in modo preciso in che termini la problematica che esso vorrebbe prospettare era stata devoluta al giudice d’appello.

Di per sè sola questa circostanza, apprezzata alla stregua del criterio dell’idoneità al raggiungimento dello scopo, di cui all’art. 156 c.p.c. – che deve connotare anche il motivo di impugnazione secondo la logica propria del singolo mezzo di impugnazione e, dunque, per l’appello secondo l’art. 342 c.p.c. – rende il presente motivo privo di detta idoneità, giacchè, se questa Corte non è posta in condizione di conoscere in modo chiaro la critica di cui era investito il giudice d’appello, è palese che la critica rivolta con il motivo di ricorso per cassazione alla decisione del giudice d’appello risulta a sua volta priva di chiarezza. A ciò si deve aggiungere che l’illustrazione, in punto di individuazione della motivazione della sentenza impugnata che avrebbe violato le norme degli artt. 1223 e 2043 c.c. si limita all’affermazione che la corte territoriale “giudicando “alquanto confusi” i termini del motivo d’appello (vedi pag. 6 della sentenza della Corte di Appello di Napoli) si è limitata a prendere atto che le doglianze dell’appellante riguardavano “…la violazione degli artt. 2043 e 1223 c.c…..” ed ha concluso dogmaticamente che “…è stato correttamente accertato, in primo luogo, la responsabilità quantomeno degli amministratori, compreso l’odierno appellante in relazione agli addebiti loro mossi dalla curatela…” (pagina 6 della sentenza d’appello)”. In essa, come si vede, sono riportati, nuovamente senza identificare il motivo di appello di cui trattavasi, due brevi brani della motivazione della sentenza di appello.

Tuttavia, se si procede al riscontro di essi nella motivazione della sentenza impugnata, emerge che quei passi fanno parte della motivazione resa dal giudice dell’impugnazione di merito sul secondo motivo di appello.

Tale motivazione è ben più complessa e risulta resa in questi termini: “Ancora nell’ambito del primo motivo l’appellante lamenta poi – pur se in termini alquanto confusi (sovrapponendo i profili attinenti al nesso causale a quelli concernenti la quantificazione del danno) – che il primo Giudice gli abbia fatto carico della responsabilità per l’affossamento” della società, vale a dire il dissesto, come aggravatosi nel tempo, a suo dire riferibile – invece – agli altri amministratori, pure convenuti. Da qui, appunto, ancora a suo dire, la violazione degli artt. 2043 e 1223 c.c. L’esame di tale profilo del primo motivo involge, per evidenti ragioni di ordine logico-giuridico, quelle del quarto, attinente all’ampia consulenza espletata in sede fallimentare. In primo luogo, deve rimarcarsi – quanto all’affermazione di responsabilità dell’appellante – che le sue doglianze sono ampiamente svuotate di contenuto già in ragione di quanto sopra osservato circa l’effettiva durata della sua permanenza in carica, ben più estesa di quella prospettata. Va poi evidenziato che è stata correttamente accertata, in primo grado, la responsabilità quantomeno colposa degli amministratori, compreso l’odierno appellante, in relazione agli addebiti loro mossi dalla Curatela”.

Ebbene, emerge, da quanto riportato, che la corte territoriale ha giudicato del primo motivo di appello in parte qua in primo luogo sottolineando la priorità rispetto ad esso dell’esame del quarto motivo e, quindi, facendo un’affermazione che, correlandosi a quanto osservato a proposito della prima parte del primo motivo di appello, cioè sub 3.a. (pagg. 4-5), ha espressamente detto “ampiamente svuotata di contenuto” la doglianza, in ragione dell’effettiva permanenza in carica del ricorrente ivi motivata. In secondo luogo, emerge che la Corte, come risulta dal p. 3.c., che segue, ha svolto un’ulteriore motivazione sulla base dello scrutinio del quarto motivo, concernente la consulenza tecnica di ufficio svolta in sede fallimentare.

Ne deriva che l’affermazione che nel motivo si coglie, circa il carattere “limitato” della motivazione della sentenza impugnata è inveritiera, giacchè la motivazione risulta non solo molto più articolata di quanto si sia dedotto.

Di conseguenza, il motivo, non correlandosi all’effettiva motivazione resa dalla sentenza impugnata, sconta un’evidente inammissibilità alla stregua del principio di diritto consolidato (di cui a Cass. n. 00359 del 2005 Rv. 579564 – 01, di recente ribadito, in motivazione non massimata, da Sez. Un. 7074 del 2017).

Si aggiunge ulteriormente che il motivo viola l’art. 366 c.p.c., n. 6 là dove si fonda sul contenuto della sentenza di primo grado, che, come s’è detto, non localizza.

3.1) Lo sviluppo dell’illustrazione del motivo a partire dal quarto rigo della pag. 19, prosegue, poi, con riferimenti alla consulenza tecnica di ufficio resa nella sede fallimentare senza fornire di essa l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e, soprattutto, senza alcuna attività che si faccia carico del paragrafo 3.c della motivazione della sentenza in cui la corte territoriale ha dato conto della sua rilevanza.

Non solo: per tale parte, il motivo non svolge rilievi in diritto, ma argomenta in fatto. Inoltre, a pag. 20 esso assume che il ricorrente avrebbe svolto l’incarico di amministratore solo per un anno, ignorando la motivazione resa dalla sentenza impugnata nel p. 3.a e tanto rende l’argomentare fino a pagina 22 del ricorso privo di qualsiasi rilievo (ivi compresa l’evocazione di Sez. Un., n. 09100 del 2015, Rv. 635451 – 01). Tanto si rileva non senza doversi osservare che nel mezzo di fa riferimento all’art. 115 c.p.c. in termini del tutto inidonei e non conformi ai criteri indicati da questa Corte (Cass. n. 11892 del 2016 Rv. 640192 – 01 e ribaditi, in motivazione non massimata, da Sez. Un. 16598 del 2016).

Nelle ultime sei righe della pag. 22 e fino alla chiusura a pag. 25 dell’illustrazione si discute della determinazione del danno, ma anche in tal caso si riportano due brevi frasi della motivazione, a pag. 10 della sentenza, e la seconda di esse in modo omissivo di una parte del contenuto, facendosi ricorso a “puntini sospensivi”, sicchè anche in tal caso la motivazione non è attinta idoneamente per quello che si riporta ed inoltre viene ignorato quanto di seguito enunciato ampiamente nella stessa pag. 10 della sentenza.

Nessun riferimento si coglie, inoltre, nell’illustrazione all’art. 2476 c.c., evocato nella intestazione del motivo.

3.2) Per tutte le ragioni indicate il primo motivo è inammissibile.

4) In ordine al secondo motivo si rileva che la deduzione di violazione da parte della sentenza d’appello dell’art. 2426 c.c., n. 2 non si correla alla motivazione della sentenza impugnata, che non evoca tale norma, bensì l’art. 2426 c.c., comma 1, n. 6. Non si comprende come la sentenza abbia potuto violare la norma del n. 2 senza citarla.

In ogni caso, il motivo omette di indicare a che cosa si riferisse la valutazione della corte, se cioè si trattasse di immobili o di altro, sicchè il motivo riesce inosservante dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto non fornisce l’indicazione specifica degli atti su cui si fonda. La circostanza che la corte abbia fatto riferimento, sulla base della consulenza tecnica di ufficio svolta in sede fallimentare, all’ammortamento di immobilizzazioni “materiali” (come si sostiene nel motivo di ricorso in scrutinio) si spiega agevolmente con la circostanza che si tratta di un mero refuso, in quanto il riferimento corretto è all’ammortamento delle immobilizzazioni “immateriali” come emerge dai riferimenti che si trovano nelle ultime quattro righe della pag. 6 della sentenza, che evocano operazioni relative ad acquisiti di rami di azienda.

4.1) Il secondo mezzo è, quindi, anche esso inammissibile.

5) Il terzo motivo è inammissibile in quanto formulato in spregio dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, trattandosi di questione di fatto sulla quale si sono pronunciati in modo conforme i due giudici del merito.

Inoltre, in disparte l’evocazione di documenti, dei quali il mezzo non riproduce il contenuto, deve rilevarsi che le raccomandate alle quali fa riferimento lo S. per dimostrare la tempestività e ritualità del suo recesso dall’incarico di amministratore, sono state esaminate dalla Corte territoriale e ritenute prive di data certa. Parte ricorrente non critica adeguatamente la relativa affermazione, anche se tenta di farlo nel motivo successivo. Sul punto è bastevole rilevare che la Corte territoriale ha testualmente affermato (p. 4 della sentenza): “E’ però agevole replicare – così confermandosi quanto affermato al riguardo dal Tribunale – che solo in data 31 marzo 2004 la sua cessazione dalla carica (in data 31 gennaio 2004) venne iscritta nel registro delle imprese e che le missive relative alle sue dimissioni, che lo S. sostiene di aver inviato nel maggio 2013 alla società e al presidente del consiglio di amministrazione, non hanno data certa” (p. 4); “il capo 3, relativo all’invio, da parte dello S. della lettera di dimissioni, dall’ufficio postale ivi indicato, e per mezzo di una raccomandata di cui si riportano gli estremi, a parte i rilievi in diritto sopra svolti, costituisce circostanza che pure non può essere correttamente provata per testi” (p. 5); “E’ poi di grande rilievo il dato che l’odierno appellante, ancora in data 30 giugno 2003 – quindi posteriore alle sue pretese dimissioni – partecipò all’assemblea dei soci in occasione della quale venne approvato il bilancio dell’esercizio sociale relativo all’anno 2002 (cfr. il verbale in atti)”, dovendosi solo evidenziare che il riferimento all’anno 2013 è frutto, evidentemente, di un mero refuso.

6) Il quarto motivo, formulato con riguardo alle stesse circostanze fattuali evidenziate nel terzo, al quale è strettamente correlato nella stessa esposizione effettuata dalla difesa del ricorrente, è inosservante dell’art. 366 c.p.c., n. 6, giacchè si fonda sulle lettere raccomandate e sul verbale assembleare, ma non ne riproduce il contenuto e non le localizza.

Il motivo è comunque del tutto fattuale. Il giudice d’appello ha correttamente, ed esaustivamente, individuato il termine di efficacia delle dimissioni dello S. con riferimento alla data di iscrizione della cessazione dalla carica nel registro delle imprese, effettuata in data 31 marzo 2004, mentre le missive che il ricorrente in questa sede sostiene di avere inviato nel maggio 2003 alla società ed al presidente del consiglio di amministrazione non risultavano munite di data certa. La sentenza in scrutinio rileva, del tutto logicamente, come lo S. avesse partecipato, in data 30 giugno 2003, all’assemblea dei soci, in occasione della quale venne approvato il bilancio relativo all’anno 2002. La Corte d’Appello afferma, inoltre, e sul punto nulla viene offerto alla cognizione del giudice di legittimità, che l’affermazione dello S. dell’occultamento, da parte della società, delle sue dimissioni e motiva ampiamente sulle ragioni per le quali le prove testimoniali delle quali lo S. aveva reiterato la richiesta di ammissione non potevano trovare ingresso in appello.

6.1) Il quarto motivo è, quindi, inammissibile.

7) Il quinto motivo, che prospetta poi una seconda censura, è innanzitutto anche esso, come già il terzo, inammissibile, alla stregua dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5 in quanto propone il riesame di questione di fatto, già decisa conformemente nelle fasi di merito. Il motivo è, inoltre, inammissibile in quanto non coglie la ragione del decidere della Corte territoriale in punto di determinazione del danno che lo S. aveva contribuito a causare, in quanto non lo chiama in alcun modo a rispondere dei danni verificatisi dopo il 31 marzo 2004, limitando la sua responsabilità agli esercizi degli anni 2002 e 2003 (come risulta almeno implicitamente dal fatto che l’importo per il quale è stato condannato lo S. è il minore tra quelli alla cui corresponsione sono stati condannati gli altri amministratori, in relazione, evidentemente alla loro permanenza in carica e, quindi, al loro apporto causale). Il giudice di appello ha, in definitiva, imputato alla S. il depauperamento del capitale sociale, in relazione all’effettivo periodo di durata della carica amministrativa: “E’ invero dirimente il dato, sopra riportato, che già nel 2002 vi era stata la totale erosione del capitale sociale (come del resto sempre nel corso del mandato dell’appellante, anzi fin dall’inizio, si era verificata la sistematica elusione delle obbligazioni tributarie e previdenziali). Nè poi corrisponde al vero (come si evince dalla mera lettura della sentenza appellata) che gli sia stato imputato l’acquisto di una ulteriore azienda ancora nel 2010. In definitiva è evidente, alla stregua di quanto si è venuto esponendo, che lo S. ha posto in essere, per tutta la durata del suo non breve mandato (circa due anni) una preordinata (sin dall’inizio) sistematica violazione (attiva e omissiva) delle disposizioni di riferimento, alla cui osservanza era tenuto, determinando così pienamente il pregiudizio di cui è ora chiamato a rispondere. In tal senso si è correttamente pronunciato il Tribunale”.

8) Il sesto motivo è pure esso del tutto inammissibile: il danno, come detto, è stato sì quantificato dai giudici di merito con il sistema dei. cd. dietimi, ma nella determinazione di esso si è tenuto conto unicamente dell’esatto periodo in cui ciascuno degli amministratori è rimasto in carica, e quindi facendo riferimento ad un criterio proposto in via subordinata dalla curatela, nell’originaria domanda (che faceva riferimento all’arco temporale decorrente dalla nomina ad amministratore e fino alla dichiarazione di fallimento). Per ciascun esercizio è stato individuato il corrispondente dietimo di periodo (in ragione del confronto fra i netti patrimoniali di inizio e fine di quell’esercizio) e quindi per ciascun convenuto è stata determinata la frazione di danno in virtù dei dietimi relativi ai soli esercizi nei quali è stato in carica lo S. (e identico criterio è stato seguito per tutti gli altri amministratori via via in carica).

In ogni caso, come rilevato nella sentenza impugnata, il riferimento ai dietimi “non è stato neppure oggetto di specifica confutazione da parte dell’appellante” (p. 10).

9) Il settimo, ed ultimo, motivo è inammissibile perchè omette completamente di dire come e dove la questione che prospetta, relativa alla nullità della sentenza o del procedimento per essere la decisione fondata su di una consulenza tecnica disposta dalla curatela, fosse stata posta al giudice di appello.

La Corte territoriale afferma, nella sentenza impugnata, che il ricorrente con autonomo motivo aveva mosso “rilievi critici alla richiamata consulenza tecnica, ma in termini del tutto generici e comunque non fondati in fatto e in diritto”. Dunque, secondo la sentenza il ricorrente aveva discusso l’attendibilità del documento, Non vi è traccia della contestazione oggi svolta, che dunque risulta nuova, non avendo, del resto, parte ricorrente, precisato come e dove l’aveva prospettata al giudice di merito di appello. D’altro canto, la perizia fallimentare era stata oggetto di discussione nel giudizio di primo grado.

10) Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

11) Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore della causa e dell’attività processuale espletata.

12) Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione Terza civile, il 22 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

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