Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17565 del 23/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/08/2011, (ud. 13/07/2011, dep. 23/08/2011), n.17565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.R., L.C., M.F., tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8,

presso lo studio dell’avvocato PELLICANO’ ANTONINO, che li

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI

ANTONIETTA, TADRIS PATRIZIA, DE ROSE EMANUELE, giusta delega in calce

alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1164/2008 del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA,

depositata il 06/06/2008 R.G.N. 472/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2011 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;

udito l’Avvocato PELLICANO’ ANTONINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 3 giugno 2008 il Tribunale di Reggio Calabria, in accoglimento dell’opposizione proposta dall’I.N.P.S. in fase esecutiva e riassunta dalle creditrici procedenti, ha dichiarato la nullità dei precetti e l’inammissibilità delle procedure esecutive promosse, fra gli altri da N.R., L.C. e M.F. e relative alle sentenze del Tribunale di Reggio Calabria che avevano riconosciuto il loro diritto all’adeguamento del valore monetario dell’indennità di disoccupazione agricola. Il Tribunale territoriale, per quanto rileva in questa sede, ha considerato l’inidoneità delle sentenza in forza delle quali sono stati intimati i precetti a costituire titoli esecutivi. In particolare il tribunale reggino ha considerato che dagli atti non emergono elementi tali da permettere di considerare integrati nelle sentenze in questione i requisiti necessari per la loro esecutività.

Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione il N., la L. e la M.. I ricorrenti hanno presentato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 12 cod. proc. civ.; nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione e motivazione erronea e contraddittoria. In particolare si deduce che il Tribunale territoriale si sarebbe pronunciato su un motivo di opposizione non proposto e, in particolare sulla questione della idoneità o meno, quale titolo esecutivo, delle sentenze eseguite, questione che non sarebbe mai stata oggetto di contraddittorio fra le parti, per cui la sentenza sarebbe incorso nel vizio di ultrapetizione.

Con secondo motivo si deduce illegittimità per violazione e falsa applicazione dell’art. 474 cod. proc. civ. in particolare si lamenta che il titolo esecutivo, si sarebbe limitato ad attenersi esclusivamente al testo della sentenza senza considerare che agli atti del giudizio di primo grado era allegato un prospetto rilasciato dall’I.N.P.S. con l’indicazione di tutte le giornate di disoccupazione, l’importo dell’indennità per ciascuna giornata sarebbe noto, mentre il calcolo degli interessi sarebbe facilmente eseguibile con l’applicazione di semplici criteri matematici.

Il primo motivo di ricorso, con cui ci si duole che sia mancato il contraddittorio sulla questione relativa alla inidoneità del titolo esecutivo, è infondato. Va infatti considerato che, anche ammettendo che in tal caso il giudice dell’opposizione abbia seguito la c.d.

“terza via”, gli effetti non sarebbero quelli auspicati da parte ricorrente, e cioè la nullità della sentenza. Le Sezioni unite di questa Corte, infatti, con la sentenza n. 20935 del 30 settembre 2009 ( nello stesso senso Cass. n. 9702 del 23/04/2010 e n. 6051 del 12/03/2010) hanno dato “continuità all’orientamento predicativo della validità e non anche della nullità delle sentenze in parola (che una recente dottrina definisce “della terza via”) nel caso di omessa indicazione alle parti del tema rilevato in via officiosa dal giudice”, pur se con alcune precisazioni. A tale conclusione si è pervenuti per una ragione diversa da quella sostenuta nella decisione che aveva escluso la nullità della sentenza della “terza via” a causa della insussistenza di una previsione espressa di nullità. Le Sezioni unite hanno rilevato in proposito che “il principio di tassatività delle nullità non trova applicazione per le nullità extra – formali, qual è appunto quella derivante dalla violazione del principio del contraddittorio”. L’aspetto nodale della questione è stato ritenuto, invece, quello di “stabilire se dalla violazione di tale precetto costituzionale discenda, sempre e inevitabilmente, la (assai grave) conseguenza della nullità di una sentenza che abbia pronunciato sulla questione rilevata d’ufficio e sottratta alla cognizione delle parti”. Le Sezioni unite affermano: che “la nullità processuale non possa essere, ipso facto, sempre e comunque predicata, quale conseguenza indefettibile di tale omissione. Per effetto del solo mancato rilievo officioso (e della conseguente, mancata segnalazione tempestiva alle parti) di questioni di puro diritto non sembra seriamente ipotizzabile – pur a fronte della violazione di un dovere “funzionale” del giudicante – la consumazione di altro vizio “processuale” diverso dall’error iuris in iudicando (ovvero ancora in iudicando de iure procedendo), la cui denuncia in sede di legittimità consentirebbe la cassazione della sentenza se (e solo se) tale error iuris risulti in concreto predicabile perchè in concreto consumatosi. Nel caso in esame, il giudice dell’opposizione ha omesso di sottoporre alle parti una questione di puro diritto, il che, secondo i principi sopra enunciati, non determina la automatica nullità della sentenza, ma impone di verificare se si sia effettivamente consumato l’error in procedendo denunziato, e cioè se il giudice abbia errato nel rilevare d’ufficio la inidoneità del titolo esecutivo per la carenza di certezza e liquidità del credito precettato, oppure se ciò gli fosse precluso in assenza di specifica eccezione di controparte, la quale adduceva, come motivo dell’opposizione, il già avvenuto pagamento. Nella giurisprudenza di questa Corte si ravvisano sul punto orientamenti non del tutto concordanti perchè, mentre alcune pronunzie affermano che, quale che sia il tenore dell’opposizione all’esecuzione, è potere dovere del giudice di verificare d’ufficio la idoneità del titolo esecutivo, altre sentenza circoscrivono la res controversa ai motivi di opposizione. Espressione di quest’ultimo orientamento è la recente ordinanza della sesta sezione n. 1328 del 20/01/2011, con cui si è affermato che ” Nel giudizio di opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., l’opponente ha veste sostanziale e processuale di attore; pertanto, le eventuali “eccezioni” da lui sollevate per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata costituiscono “causa petendi” della domanda proposta con il ricorso in opposizione e sono soggette al regime sostanziale e processuale della domanda. Ne consegue che l’opponente non può mutare la domanda modificando le eccezioni che ne costituiscono il fondamento, nè il giudice può accogliere l’opposizione per motivi che costituiscono un mutamento di quelli espressi nel ricorso introduttivo, ancorchè si tratti di eccezioni rilevabili d’ufficio.” Ed ancora con la sentenza n. 3316 del 07/03/2002, si è affermato che “Il potere – dovere del giudice di verificare d’ufficio l’esistenza del titolo esecutivo va coordinato, in sede di opposizione all’esecuzione, con il principio della domanda e con quello della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissati dagli art. 99 e 112 cod. proc. civ.. Pertanto, ove sia in contestazione la liquidità del credito fatto valere, l’eventuale difetto di titolo esecutivo non può essere rilevato d’ufficio dal giudice”.

Espressione del primo orientamento è invece la sentenza n. 22430 del 29/11/2004, con cui si è ritenuto che “Il giudice dell’opposizione all’esecuzione è tenuto a compiere d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, ed anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, la verifica sulla esistenza del titolo esecutivo posto alla base dell’azione esecutiva, potendo rilevare sia l’inesistenza originaria del titolo esecutivo sia la sua sopravvenuta caducazione, che – entrambe – determinano l’illegittimità dell’esecuzione forzata con effetto ex tunc, in quanto l’esistenza di un valido titolo esecutivo costituisce presupposto dell’azione esecutiva stessa”. Nello stesso senso Cass. n. 1337 del 07/02/2000, secondo cui “L’esistenza del titolo esecutivo costituisce la condizione necessaria dell’esercizio dell’azione esecutiva, e deve, indipendentemente dall’atteggiamento delle parti, essere sempre verificata d’ufficio dai giudice”. Sembra al Collegio che sia da preferire quest’ultimo orientamento.

L’opposizione all’esecuzione si configura come procedimento di accertamento negativo del diritto di procedere ad esecuzione forzata.

E’ evidente che il medesimo va condotto sulla base dei motivi di opposizione proposti, che non possono essere modificati dall’opponente nel corso del giudizio, tuttavia il presupposto indefettibile per dichiarare il diritto a procedere all’esecuzione è la esistenza del titolo che porti un credito certo, liquido ed esigibile, come prescrive l’art. 474 cod. proc. civ. di talchè il giudice dell’esecuzione ha il potere – dovere di verificarne l’idoneità, nonchè la correttezza della quantificazione del credito operata dal creditore nel precetto, con un accertamento che non fa stato ma esaurisce la sua efficacia nell’ambito del processo esecutivo, in quanto è funzionale all’emissione di un atto esecutivo e non alla risoluzione di una controversia nell’ambito di un ordinario giudizio di cognizione. La idoneità del titolo si pone quindi come preliminare dal punto di vista logico per la decisione sui motivi di opposizione, anche se questi non investano direttamente la questione. Si consideri infatti la impossibilità di procedere all’apertura e prosecuzione del procedimento espropriativo mobiliare o immobiliare, nei casi in cui, come nella specie, non risulti certo l’ammontare del credito, non evidenziandosene dal titolo la certezza e la liquidità; se così fosse ne conseguirebbe necessariamente la incertezza sulla misura dei beni da sottoporre all’esecuzione forzata. Ossia, in questi casi, quale che sia il tenore dell’opposizione, non è ammissibile, da parte del giudice adito, il dar corso ad una esecuzione che sconta la indeterminatezza di un elemento fondamentale come la misura del credito da recuperare. La prova della fondatezza di questo orientamento è verificabile anche nel caso in esame, dal momento che si assume in ricorso che l’Istituto aveva allegato di avere già versato il dovuto, indicando però una somma di molto inferiore a quella precettata. Ne consegue che – anche per decidere sul motivo di opposizione dell’Inps e cioè se il credito fosse già stato pagato – sarebbe stato indispensabile accertare se il pagamento medesimo, ove provato, fosse o no interamente sattisfattivo, così necessariamente riproponendosi la questione sull’effettivo ammontare del dovuto e quindi sulla idoneità del titolo esecutivo. Si deve quindi concludere che il Giudice di merito non è andato ultra petita nel rilevare d’ufficio la irregolarità del titolo, per cui il motivo di ricorso va rigettato.

E’ infondato anche il secondo motivo. Ed infatti, quanto al merito – e cioè se la sentenza, resa in sede di cognizione, sul diritto alla rivalutazione dell’indennità di disoccupazione agricola sulla base delle sentenze della Corte Costituzionale, consentisse l’esecuzione, pur portando indicazione solo degli anni e non già del numero di giornate da rivalutare per ciascun anno e se alla mancanza di questi dati si potesse sopperire con elementi esterni alla sentenza, e cioè con l’estratto contributivo a suo tempo allegato agli atti ( e riprodotto con il presente ricorso) – la sentenza impugnata nell’escludere l’inidoneità del titolo esecutivo si è attenuta alla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato ( tra le tante Cass. n. 8067 del 02/04/2009) che “La sentenza di condanna dell’INPS al pagamento, in favore del creditore, di una prestazione, quale le differenze spettanti a titolo di indennità di disoccupazione, costituisce valido titolo esecutivo, che non richiede ulteriori interventi del giudice diretti all’esatta quantificazione del credito, solo se tale credito risulti da operazioni meramente aritmetiche eseguibili sulla base dei dati contenuti nella sentenza;

se, invece, dalla medesima sentenza di condanna non risulta (come nella specie) il numero delle giornate non lavorate nelle quali sia maturata l’indennità giornaliera, così da rendersi necessari per la determinazione esatta dell’importo elementi estranei al giudizio concluso e non predeterminati per legge, la sentenza non costituisce idoneo titolo esecutivo ma è utilizzabile solo come idonea prova scritta per ottenerlo nei confronti del debitore in un successivo giudizio”. Il motivo va quindi rigettato.

Nulla si dispone sulle spese non avendo l’intimato I.N.P.S. svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2011

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