Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17565 del 18/06/2021

Cassazione civile sez. I, 18/06/2021, (ud. 19/05/2021, dep. 18/06/2021), n.17565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16104/2019 proposto da:

Rcs Mediagroup S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Prevesa n. 11,

presso lo studio dell’avvocato Sigillò Antonio, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Malavenda Caterina, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.B.G., elettivamente domiciliato in Roma, Corso

Vittorio Emanuele II n. 269, presso lo studio dell’avvocato

Vaccarella Romano, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato De Bosio Stefano, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1224/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

pubblicata il 20/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/05/2021 dal cons. NAZZICONE LOREDANA;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che chiede

l’accoglimento del motivo IV di ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

E’ proposto ricorso, sulla base dii cinque motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano del 20 marzo 2020, n. 1224, che, in riforma della decisione di primo grado, ha condannato la RCS Mediagroup s.p.a. al risarcimento del danno nella misura di Euro 5.200,00 in favore di D.B.G., con riguardo alle conseguenze patrimoniali e non patrimoniali per la violazione del suo diritto d’autore, quale regista dell’opera lirica (OMISSIS) rappresentata all’Arena di (OMISSIS), leso dalla pubblicazione di una fotografia di tale rappresentazione sulla rivista Sette del Corriere della Sera in data 1 maggio 2015.

La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che:

a) in punto di fatto, la fotografia dell’Arena, ripresa dall’esterno e dall’alto, mostra uno spettacolo ed un palcoscenico illuminato, con la scenografia costituita da un portale, due obelischi, colonne ed altro, accompagnata da una didascalia con la scritta “Nel cuore dell’Arena. Una vista aerea dell’Arena di (OMISSIS) dove dal 20 giugno andrà in scena l'(OMISSIS), nell’Allestimento di Z.F.. Si succederanno sul podio B.A., W.O.M. e O.D.”; inoltre, il 20 giugno successivo il Corriere ha pubblicato un articolo, in cui riferiva del (OMISSIS) ivi rappresentato per la regia di D.B.G., ricordando che esso costituisce “come l'(OMISSIS), uno dei punti di forza dei cartelloni areniani”;

b) in punto di diritto, la regia o direzione artistica teatrale costituisce opera dell’ingegno R.D. n. 633 del 1941, ex art. 1, legge sul diritto d’autore, nella misura in cui essa sia creativa; del resto, l’elencazione ex art. 2, è meramente esemplificativa e l’art. 4, protegge anche tutte le rielaborazioni creative di un’altra opera; inoltre, l’art. 2577 c.c., R.D. n. 633 del 1941, art. 20, 48, 70 e 83, tutelano il diritto dell’autore a vedersi riconosciuta la paternità dell’opera, ogni volta che sia portata a conoscenza del pubblico;

c) nella specie, l’allestimento dell'(OMISSIS) ha un alto tasso di creatività, neppure contestato dalla società editrice, e comunque provato dalle numerose recensioni in atti; l’allestimento registico in esame, in particolare, è riconoscibile dalla fotografia pubblicata, che ne cattura proprio gli elementi più innovativi, inducendo la didascalia in errore sul fatto che, però, si tratti di un’opera di Z.F.: infatti, è vero che lo scritto si riferisce ad un futuro spettacolo, ma avrebbe potuto trattarsi delle indispensabili prove di esso, mentre, essendo “notoria” la precedente rappresentazione della medesima opera con la regia di Z., quella riprodotta ben avrebbe potuto apparire proprio una scena di tale spettacolo, con conseguente decettiva attribuzione ad altro regista, tanto più per un lettore del generalista supplemento settimanale; infine, dai motori di ricerca su internet risulta che digitando “(OMISSIS)” compare proprio il fotogramma contestato;

d) ne ha dedotto la lesione del diritto d’autore del D.B., in ragione dell’attribuzione erronea della paternità dell’opera ad altro regista, liquidando il danno ai sensi dell’art. 1226 c.c., tenuto conto, quanto al danno patrimoniale, del compenso medio percepito per la collaborazione a detta istituzione in ordine alla c.d. ripresa del suo allestimento operistico, pari ad Euro 13.000,00, della percentuale pari al 30% individuata equitativamente e di un aumento pari al 20%, quale

risarcimento del danno morale, per un totale di Euro 5.200,00.

Resiste con controricorso l’intimato, depositando altresì la memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso propone cinque motivi d’impugnazione, che possono essere come di seguito riassunti:

1) violazione o falsa applicazione del R.D. n. 633 del 1941, artt. 1, 2 e 4, per avere la sentenza impugnata ritenuto meritevole di tutela la regia di un’opera melodrammatica, quale opera dell’ingegno, mentre essa, invece, non è tutelata nè dalla legge sul diritto d’autore, nè dalla Convenzione di Berna, che contemplano la sola opera cinematografica, servendo invero la prima solo a fare in modo che l’opera passi dal copione alla scena e diventi fruibile da parte del pubblico;

2) violazione o falsa applicazione dell’art. 2577 c.c., R.D. n. 633 del 1941, artt. 20, 48 e 70, per avere la sentenza impugnata ritenuto applicabili le disposizioni che tutelano il diritto al nome (il motivo contesta, nel corpo, anche l’applicazione dell’art. 83, R.D. cit.), posto che viene tutelata soltanto l’usurpazione nel nome, non obbligando esse a citare sempre il nome di un autore;

3) violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto la corte del merito ha erroneamente percepito l’immagine in contestazione, ritenendo che ne fosse riconoscibile l’autore, quando si tratta di elementi di non particolare originalità, con palese errore di percezione;

4) violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata è frutto dell’errata percezione della prova documentale, reputando la didascalia della fotografia come idonea a trarre in inganno i lettori di un periodico generalista, ed ha ritenuto, altresì, di fare ricorso al “fatto notorio” consultando internet, ricerca di cui non è, però, traccia in atti; nè sussistendo, nella specie, con riguardo alla storica rappresentazione dell’Aida per la regia di Z., un fatto notorio, quale fatto acquisito alla conoscenza della collettività con un tal grado di certezza da risultare indubitabile ed incontestabile, in violazione dell’obbligo di porre a fondamento della decisione solo le prove proposte dalle parti o ammissibilmente acquisite d’ufficio;

5) violazione o falsa applicazione dell’art. 2059 c.c., art. 112 c.p.c., e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, R.D. n. 633 del 1941, art. 20, con riguardo alla liquidazione del danno, non essendo state esposte le ragioni della operata valutazione equitativa, posto che, da un lato, il danno patrimoniale sussiste solo quando l’agente abbia tratto un profitto e l’autore un pregiudizio, fatti mai dedotti dalla controparte, e, dall’altro lato, il danno morale è stato meramente presunto, non essendovi prove al riguardo, deponendo la stessa esiguità della disposta liquidazione per la assenza di un danno risarcibile.

2. – Il primo motivo è ammissibile, dovendosi disattendere l’eccezione di giudicato interno svolta dal controricorrente, posto che non era coperta da giudicato, ma espressamente oggetto di motivo di appello, l’astratta tutelabilità come diritto di autore della regia di un’opera lirica (o teatrale), laddove la natura creativa della regia in questione è solo una premessa fattuale dell’assunto.

Esso è, tuttavia, infondato in diritto.

2.1. – Il principio che il motivo veicola e vorrebbe vedere affermato è l’inesistenza di una tutela giuridica da parte dell’ordinamento alla regia di un’opera lirica (o teatrale), in quanto non espressamente contemplata dalla legge sul diritto d’autore, nè dalla Convenzione di Berna entrata in vigore il 5 dicembre 1887.

Tale tesi non tiene conto, però, del sistema del diritto d’autore e dei canoni che presidiano l’interpretazione normativa.

2.2. – La sentenza impugnata, come esposto, ha ritenuto tutelabile l’opera dell’ingegno espressa con la regia teatrale di un’opera lirica.

A sostegno dell’assunto, essa ha richiamato il disposto del R.D. n. 633 del 1941, artt. 1, 2 e 4, nonchè ulteriormente l’art. 2577 c.c., R.D. n. 633 del 1941, artt. 20, 48, 70 e 83: concludendo nel senso che è tutelato il diritto dell’autore di una regia teatrale di opera lirica a vedersi riconosciuta la paternità, ogni volta che l’opera, a carattere creativo, sia portata a conoscenza del pubblico.

In tal modo, la corte del merito ha correttamente applicato il diritto che regola la vicenda concreta.

2.3. – L’art. 12 preleggi, norma-guida dell’interpretazione, richiama i criteri letterale, storico-teleologico, analogico secondo la legge ed analogico secondo i principi o sistematico. Il canone letterale è dunque affiancato, ai sensi dell’art. 12 preleggi, comma 1, da altri criteri.

Se l’interpretazione è ascrizione di significato all’enunciato di un documento normativo in rapporto ad un fatto da regolare, l’individuazione delle regole contenute nell’enunciato non deriva sovente da una mera lettura del testo, in quanto frutto di più o meno complessi procedimenti interpretativi.

L’idea positivistica dell’interpretazione “unica” dei testi normativi, quale mero accertamento della volontà della legge, è in definitiva superata, anche dalla disposizione-guida sull’interpretazione della legge.

Al riguardo, l’ermeneutica dottrinale corrente, accolta dalla giurisprudenza, richiede la ricerca della ratio legis, secondo il coordinamento sistematico delle singole disposizioni, non solo nel caso in cui, nonostante l’impiego del criterio letterale, il significato della norma “rimanga ambiguo”, ma altresì quando, sia pure in presenza di una lettera chiara, “l’effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo” (così, fra le altre, Cass., sez. un., 23 aprile 2020, n. 8091; Cass., sez. un., 4 febbraio 2020, n. 2504, in motivazione; Cass., sez. un., 22 marzo 2019, n. 8230; v. pure, in tema di impugnazione delle decisioni dei giudici speciali, Cass., sez. un., 15 settembre 2020, n. 19174 e Cass., sez. un., 28 febbraio 2020, n. 5589).

In tale visuale, in prima battuta vengono sempre in rilievo i canoni dell’interpretazione letterale e storico-teleologica: sebbene, in definitiva, il significato finale della disposizione vada ricercato in modo da limitare le antinomie con altre fonti, in forza del criterio dell’interpretazione logico-sistematica, individuandone il senso nello specifico settore normativo (la ratio legis) ed in conformità ai principi costituzionali ed ai principi generali dell’ordinamento giuridico (la ratio iuris).

Onde il principio che possa svalutarsi l’interpretazione letterale anche in presenza di un testo univoco, in quanto non sia da privilegiare come assoluto il criterio interpretativo letterale, per la necessità di ricercare, in ogni caso, la coerenza della norma e del sistema, secondo lo spirito o ratio di essi; senza potere, peraltro, superare i confini permessi dalla esegesi del testo (cfr. le sentenze della Corte costituzionale circa la cd. interpretazione adeguatrice: Corte Cost. 13 dicembre 2019, n. 270; Corte Cost. 14 dicembre 2017, n. 268; Corte Cost. 13 aprile 2017, n. 87, n. 83 e n. 82, e molte altre; nonchè i principi esposti da questa Corte in tema di eccesso di potere giurisdizionale riferito all’attività legislativa, come in Cass., sez. un., 1 aprile 2020, n. 7643; Cass., sez. un., 14 gennaio 2020, n. 413; Cass., sez. un., 11 settembre 2019, n. 22711).

L’interpretazione sistematica, in definitiva, mirando a ricercare la coerenza e l’assenza di disarmonie assiologiche nell’ordinamento giuridico, è necessaria nella individuazione della regola del caso concreto; ciò, tanto più in una materia, come quella della proprietà intellettuale, anche di derivazione Europea, dunque derivante da “trascrizioni” più o meno corrette di principi altrove elaborati e dove l’interprete è chiamato a compiere ogni possibile opera di razionalizzazione e di riconduzione a sistema; ma proprio la interpretazione sistematica, perchè guidata dai principi, presidia il confine fra l’attività ermeneutica di ricerca di una razionalità esegetica e quella creativa.

2.4. – Giova, altresì, richiamare i principi di recente affermati da questa Corte in tema di diritto d’autore, rilevanti nella specie (cfr. Cass. 5 luglio 2019, n. 18220), secondo cui il diritto morale attiene ai “diritti sull’opera a difesa della personalità dell’autore”, come si esprime la rubrica della sezione II del capo III; osservandosi come, in forza del diritto positivo, si tutela l’identità personale autorale ed artistica: l’essere riconosciuto come autore dell’opera concorre alla specifica identità personale autorale, quale componente dei più ampi ed inviolabili diritti, di rilievo costituzionale, all’identità, all’onore, alla reputazione personale ed al prestigio sociale.

Come là si rilevava, dunque, il diritto morale d’autore costituisce la ricompensa non economica (ma almeno altrettanto importante) che consiste nell’essere riconosciuto fra iil pubblico indistinto come il soggetto che l’opera stessa abbia realizzato con il proprio originale apporto creativo; onde, come l’identità personale autorale od artistica può essere compromessa dalla falsa attribuzione di opere non realizzate dall’autore medesimo (e magari di inferiore fattura: cfr. es. il precedente di Cass. 16 dicembre 2010, n. 25510), così essa viene lesa dalla – speculare e contraria – mancata attribuzione della paternità di opere davvero realizzate.

2.5. – Orbene, l’opera dell’ingegno consistente nella regia teatrale di opera lirica a contenuto creativo è ricompresa nella nozione generale dell’art. 1, l.a.: il quale, al pari del sopraggiunto art. 2575 c.c., e con proclama di principio, dispone che sono protette le opere dell’ingegno di carattere creativo, enumerando i campi della letteratura, della musica, delle arti figurative, dell’architettura, del teatro e della cinematografia, in qualunque forma di espressione.

La lettera della norma, laddove con ampia previsione contempla il prodotto della creatività umana, in una con la ratio della disciplina, volta a tutelare il diritto morale e patrimoniale di autore – diritto soggettivo assai peculiare, connesso a quanto di più tipico ed imponderabilmente prezioso scaturisca dall’intelletto umano, autentico valore per l’umanità presente e futura – inducono a ricondurre all’enunciato anche l’opera di regia.

La regia, invero, quale “reggenza” o “direzione”, per definizione “tiene insieme” l’intero spettacolo: sia esso cinematografico, teatrale o lirico, si tratta della decisione ultima su tutte le componenti che contribuiscono al risultato definitivo, dall’a scenografia ai costumi, dal ritmo ai movimenti sul palco, dai toni alle pause, dai colori alle luci. Come tale, essa è suscettibile del più alto contenuto creativo, secondo la fattispecie normativa ricordata.

La mancata esplicita menzione nelle norme dalla ricorrente richiamate, dunque, non è significativa del principio opposto.

Sotto il profilo storico, si può osservare altresì come, all’epoca della approvazione del R.D. n. 633 del 1941, la notorietà raggiunta specialmente dal cinema americano (le Major) ed Europeo aveva reso ormai palese la rilevanza della regia cinematografica, sorte non ancora occorsa a quella teatrale, all’epoca forse ancora non ben percepita come autonomo ed originale contributo, atteso il predominante rilievo degli attori protagonisti, con la loro personalità ed anche con i loro capricci, sulle scelte artistiche.

Nondimeno, l’ampia previsione letterale e la ratio ricordate sono certamente idonee ad estendere la protezione alla regia teatrale, sia essa di sole parole o di quella particolare forma espressiva che coniuga musica e teatro, qual è l’opera lirica.

Se, nel corso dell’Ottocento, quando fu per la prima volta siglata la Convenzione di Berna del 1887, e poi nella prima metà del Novecento, allorchè furono emanati il regio decreto sul diritto d’autore ed il codice civile, l’opera lirica era affidata spesso allo stesso autore delle musiche, donde la preponderanza assoluta del musicista e del librettista, nonchè degli interpreti, in seguito, allontanandosi nel tempo la prima rappresentazione, è stato via via più chiaro l’apporto determinante, soggettivo ed ampiamente personale e creativo delle diverse “letture” di un testo o di un’opera da parte di una figura a sè stante, il regista.

Onde, da una sorta di presunzione di mera diligente o puramente “descrittiva” messa in scena da parte del regista – figura, per vero, spesso rimasta sconosciuta nelle rappresentazioni di quelle epoche è stato gradualmente più chiaro come soprattutto dai caratteri della “lettura registica” dipenda il risultato ultimo di questi spettacoli: la capacità di suscitare emozione.

Ecco, dunque, che un testo, pur toccante, può alla prova dei fatti lasciare indifferenti, mentre un altro, all’apparenza neutrale, può invece indurre a commozione: ciò che fa la differenza è l’interpretazione artistica di chi abbia il compito di mettere in scena il testo, di trovare il “tono” mediante le scelte di orientamento e di governo di tutti i complessi fattori sopra ricordati.

Pertanto, qualora tale apporto creativo sussista, l’attività di regia è tutelata dalla disciplina sul diritto d’autore.

Ne deriva la manifesta infondatezza del motivo in esame e l’enunciazione del seguente principio di diritto:

“L’opera dell’ingegno, consistente nella regia teatrale di opera lirica, è ricompresa nella nozione generale del R.D. n. 633 del 1941, art. 1, in forza dell’ampia lettera della disposizione, la quale, al pari di quella del sopraggiunto art. 2575 c.c., ed in piena coerenza con la ratio della disciplina, contempla il prodotto della creatività umana quale oggetto di tutela, non potendo valorizzarsi, in contrario, la mancanza di esplicita menzione della regia predetta nella legge sul diritto d’autore o nella Convenzione di Berna, entrata in vigore il 5 dicembre 1887, e ciò tutte le volte che si debba riconoscere un apporto personale e creativo della “lettura” dell’opera da parte del regista, come è compito del giudice del merito accertare”.

3. – Il secondo motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi: avendo la sentenza impugnata inteso, col richiamo alle norme che tutelano il nome, soltanto delineare il sistema del diritto d’autore, a dimostrazione dell’assunto, qui condiviso, della tutelabilità anche dell’opera di direzione registica.

4. – Il terzo motivo è inammissibile, in quanto lamenta l’errata valutazione del materiale istruttorio compiuto dalla sentenza impugnata, ed, in particolare, della fotografia e della didascalia di cui D.B.G. si duole: quale risultato di un accertamento in fatto, tale valutazione è tuttavia riservata al giudice del merito.

5. – Il quarto motivo incorre nella medesima sanzione dell’inammissibilità: la sentenza ha valutato come la didascalia, in una con la fotografia della serata d’opera all’Arena di (OMISSIS), fossero idonee ad ingenerare il convincimento che si trattasse dell’allestimento registico di Z.F..

Ha, invero, affermato la corte territoriale, da un lato, che la fotografia riproduce in modo riconoscibile l’allestimento per la regia di D.B.G., attese le invenzioni creative ivi mostrate; e, dall’altro lato, che la didascalia induce a pensare si tratti dell’allestimento per la regia di Z.F.. Ciò, sia perchè non basta il preannuncio di uno spettacolo ancora da tenersi ad escludere che proprio del medesimo si tratti, atteso che la fotografia può ben riferirsi alle prove della rappresentazione medesima; sia perchè già in passato aveva avuto una certa diffusione e fama la rappresentazione della medesima opera, proprio con la regia di Z., come è notorio; sia attesa la natura “generalista” e non specializzata del supplemento; sia, infine, in quanto ricercando “(OMISSIS)” su internet compare proprio il fotogramma contestato. Ne ha dedotto la decettiva attribuzione all’altro regista.

Si tratta, come si vede, di un accertamento di fatto, non ripetibile in questa sede.

Nè è, in tale ragionamento, affatto centrale l’argomento, secondo cui l’abbinamento tra quella fotografia e la rappresentazione dell'(OMISSIS) curata da Z.F. sia derivato da una personale ricerca giudiziale su internet ed alla stregua di un fatto notorio circa la precedente pregevole regia, fatto che non potrebbe, nell’assunto, dirsi tale: al contrario, tale passaggio argomentativo assume, nel contesto complessivo della motivazione della sentenza impugnata, il peso di un elemento del tutto minore e richiamato ad abundantiam.

Pertanto, sebbene, in tal modo, il giudice abbia fatto inavverito ricorso alla scienza privata ed abbia ravvisato un fatto notorio senza il necessario compiuto accertamento dei suoi requisiti, tuttavia ciò non è in grado di viziare la decisione assunta, attesi gli altri numerosi argomenti di convincimento che la sostengono, in primis l’interpretazione oggettiva del contenuto del messaggio veicolato al pubblico dei lettori dalla fotografia in questione, con la relativa didascalia.

Nè la ricorrente formula una critica ammissibile di violazione del precetto sul c.d. fatto notorio ex art. 115 c.p.c., la quale è proponibile solo ove si deduca che il giudice del merito abbia operato ricorso ad una nozione diversa da quella di “fatto conosciuto da uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo” (definizione, e multis, di Cass. 29 marzo 2019, n. 8763; Cass. 22 maggio 2019, n. 13715; Cass. 7 febbraio 2019, n. 3550; Cass. 18 maggio 2007, n. 11643), o, analogamente, di “fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile” (e multis, Cass. 20 febbraio 2020, n. 4428; Cass. 20 marzo 2019, n. 7726), applicandone una diversa: critica in questa sede però non proposta, atteso, da un lato, che la corte d’appello ha ritenuto di applicare alla vicenda una corretta nozione astratta, e, dall’altro lato, che la ricorrente non deduce l’adozione di una nozione errata, ma la fattuale inesistenza di un notorio.

6. – Il quinto motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Esso è inammissibile, laddove deduce l’ultrapetizione con riguardo alla liquidazione del danno patrimoniale, non riportando le avverse domande e deduzioni, tali da consentire al giudice di legittimità di verificare ex actis la fondatezza della censura.

Il motivo è infondato per il resto, atteso che il giudice del merito, nell’ambito del suo potere di liquidazione equitativa del danno, ha offerto i parametri della operata quantificazione – il compenso pagato per l’utilizzo delle scelte registiche de quibus, la percentuale considerata – anche circa il danno non patrimoniale, non suscettibile di essere in altro modo determinato.

7. – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la RCS Mediagroup s.p.a. al pagamento delle spese di lite in favore di D.B.G., liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2021

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