Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17562 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. un., 28/06/2019, (ud. 18/12/2018, dep. 28/06/2019), n.17562

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di sez. –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFEERRI Andrea – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1799-2018 proposto da:

B.M., B.I., B.R., BA.RI.,

B.G., nella qualità di eredi di D.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato CLAUDIO DEFILIPPI;

– ricorrenti –

contro

ASSESSORATO REGIONALE TERRITORIO E AMBIENTE, in persona

dell’Assessore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI PALERMO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 237/2017 del CONSIGLIO DI GIUSTIZIA

AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA – PALERMO, depositata il

23/05/2017;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/12/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza n. 237 del 2017 il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana respingeva l’appello proposto da M., G., I., R. e BA.Ri., tutti nella qualità di eredi di D.G., avverso la sentenza di primo grado del TAR Sicilia – che aveva dichiarato il difetto di legittimazione attiva della loro dante causa nel ricorso proposto dalla stessa nella qualità di proprietaria insieme ad altri di terreno sito in località (OMISSIS) per avere destinato il bene a verde agricolo affermando che spettava alla originaria ricorrente, ai sensi dell’art. 64 c.p.a., comma 2 l’onere di provare la titolarità del diritto reale vantato.

Avverso tale sentenza i B. propongono ricorso, affidato ad un unico complessivo motivo.

L’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente ha resistito con controricorso.

Attivato il procedimento camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotto, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L. n. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 (applicabile al ricorso in oggetto ai sensi del medesimo D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, comma 2, la causa è stata riservata in decisione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unico motivo i ricorrenti deducono la violazione dei limiti della giurisdizione per violazione del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi di cui agli artt. 24,103,111 e 117 Cost., nonchè violazione del diritto di accesso ad un giudice e di ricorso effettivo di cui all’art. 47 della carta dei Diritti dell’Unione Europea e agli artt. 6 e 13 CEDU, oltre ad erroneità della sentenza per contraddittorietà, travisamento e difetto di motivazione; infine, violazione e/o falsa applicazione della L.R. 27 dicembre 1978, n. 71, artt. 2, 3 e 4 e art. 64 c.p.a. per illogicità manifesta. Ad avviso dei ricorrenti avendo gli stessi agito dinanzi al giudice di primo grado indicando, quale espresso motivo di annullamento, l’assenza di motivazione reale in ordine alle proprie osservazioni alla variante, atto che le interessava direttamente in quanto proprietarie del bene, ed avendo il Comune di Palermo replicato alle loro osservazioni espressamente qualificandoli quali proprietari, non solo non potevate) ritenersi intervenuto un espresso riconoscimento della proprietà, ma detto riconoscimento li rendeva già parti del processo amministrativo stesso. Con la conseguenza che il rigetto dell’azione per ritenuta assenza di legittimazione dell’interessato costituiva ipotesi di diniego di giurisdizione.

Il motivo, e con esso il ricorso, è inammissibile.

Premesso che il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha lo “status” e le funzioni di una sezione del Consiglio di Stato e che quindi il sindacato di questa Corte è circoscritto ai motivi attinenti alla giurisdizione (Cass. n. 14258 del 2012; Cass. n. 24301 del 2010), costituisce ius receptum che il sindacato delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sulle decisioni rese dal Consiglio di Stato ovvero dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana è limitato all’accertamento dell’eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del Consiglio stesso, ovvero alla esistenza di vizi che riguardano l’essenza di tale funzione giurisdizionale e non il modo del suo esercizio, restando, per converso, escluso ogni sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione, cui attengono gli errores in iudicando o in procedendo (Cass., Sez. Un., 13 novembre 2013 n. 25455; Cass., Sez. Un.. 5 aprile 2013 n. 8350; Cass., Sez. Un., 16 febbraio 2009 n. 3688).

Orbene la decisione impugnata si sostanzia nella considerazione che il motivo di impugnazione si risolveva non già nella contestazione di non avere prodotto apposita e specifica documentazione per comprovare la loro proprietà dei terreni, bensì nella circostanza che tale qualità di titolari del diritto reale risultava già dalle allegazioni dello stesso Comune di Palermo, per cui avrebbe dovuto essere proprio quest’ultimo a fornire almeno un principio di prova dal quale risultasse la non titolarità da parte dei ricorrenti del bene in questione.

Si tratta all’evidenza di dati interni al giudizio amministrativo, riguardando il controllo esercitabile dal giudice ex officio in ogni grado e stato del giudizio circa la legitimatio ad causam secondo la prospettazione del rapporto controverso data dalla parte istante; e tanto basta ad escludere che vi sia stato un mancato esercizio del concreto potere attribuito al medesimo giudice.

Nel giudizio amministrativo la sussistenza dell’interesse e della legittimazione ad agire è valutabile d’ufficio in qualunque momento del giudizio. La mancanza dei presupposti processuali o delle condizioni dell’azione è rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (art. 35 c.p.a., comma 1), perchè essi costituiscono i fattori ai quali la legge, per inderogabili ragioni di ordine pubblico, subordina l’esercizio dei poteri giurisdizionali. L’unica eccezione concerne la giurisdizione, il cui difetto può essere rilevato d’ufficio solo in primo grado (art. 9 c.p.a.).

Infatti la legittimazione costituisce requisito intrinseco alla domanda, la cui decisione rientra nei limiti interni della giurisdizione del giudice amministrativo, con la conseguenza che il ricorso per cassazione che prospetti tale vizio, sotto il profilo del difetto o del diniego di giurisdizione è inammissibile, non investendo una questione di superamento dei limiti esterni della giurisdizione.

In definitiva non vi è un rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo determinato dall’affermata inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva (cfr. Cass., Sez. Un., 14 gennaio 2015 n. 475; Cass., Sez. Un., 8 febbraio 2013 n. 3037 e Cass., Sez. Un., 16 aprile 2012 n. 5942), avendo il Consiglio di Giustizia Amministrativa escluso la sussistenza di una condizione dell’azione, con una decisione, chiaramente interna al processo amministrativo, che potrebbe (eventualmente) integrare un error in iudicando, in quanto tale non inerente all’essenza della giurisdizione o ai suoi limiti esterni, ma solo al modo in cui è stata esercitata.

In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore dell’Amministrazione controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre alle spese prenotate e prenotande a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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