Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17560 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. II, 28/06/2019, (ud. 15/02/2019, dep. 28/06/2019), n.17560

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11030 – 2015 R.G. proposto da:

V.F., – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso in

virtù di procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato

Pasquale Giovannelli ed elettivamente domiciliato in Roma, presso la

cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

P.F., – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso in virtù

di procura speciale a margine del controricorso dall’avvocato Enrico

Cicchetti ed elettivamente domiciliato in Roma, presso la

cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;

– controricorrente –

e

V.R., – c.f. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza della corte d’appello di Napoli n. 1061 del

7.3.2014;

udita la relazione nella camera di consiglio del 15 febbraio 2019 del

consigliere Dott. Luigi Abete;

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto notificato il 17.1.1997 P.F., proprietario di un fondo rustico, ove era stato edificato un fabbricato, in (OMISSIS), citava a comparire dinanzi al locale tribunale V.F. e V.R..

Esponeva che ai suoi immobili si accedeva tramite uno stradone, di proprietà comune sua e dei convenuti, che aveva inizio dalla (OMISSIS) ed attraversava la proprietà delle controparti; che i convenuti avevano in più punti ristretto l’ampiezza della strada e si erano opposti all’esecuzione dei lavori di pavimentazione.

Chiedeva – tra l’altro – che i convenuti fossero condannati a ripristinare l’originaria larghezza, pari a tre metri, della strada e che fosse autorizzato a pavimentarla a proprie spese nel tratto compreso tra la sua abitazione e le abitazioni delle controparti.

Si costituivano V.F. e V.R..

Instavano per il rigetto delle avverse domande.

In via riconvenzionale chiedevano – tra l’altro – che fossero dichiarati esclusivi proprietari della strada e che fosse dichiarata l’inesistenza sulla strada di loro esclusiva proprietà di servitù di passaggio da “esercitarsi anche con carro” a vantaggio della proprietà dell’attore.

Espletata la c.t.u., espletata l’ulteriore consulenza, con sentenza n. 157/2006 il tribunale di (OMISSIS) dichiarava che lo stradone era di proprietà comune delle parti in causa nel tratto avente inizio dalla via comunale (OMISSIS) e per 78 metri lineari; che in tale tratto la strada aveva larghezza pari a tre metri;

che la residua porzione dello stradone, in prosecuzione della precedente, era di proprietà esclusiva dei convenuti e che su tale porzione la proprietà dell’attore beneficiava di servitù unicamente di passaggio per una larghezza di metri 2,10; che lo stradone fosse delimitato nei termini enunciati nella prima relazione di c.t.u.; che l’attore aveva diritto di pavimentarlo senza arrecare pregiudizio ai convenuti.

Proponevano appello V.F. e V.R..

Resisteva P.F.; esperiva appello incidentale in relazione all’ampiezza dello stradone ed alla regolamentazione delle spese di lite.

Con sentenza n. 1061 del 7.3.2014 la corte d’appello di Napoli accoglieva parzialmente il gravame principale e per l’effetto rigettava la domanda di pavimentazione dello stradone esperita in prime cure da P.F.; rigettava l’appello incidentale; compensava le spese di ambedue i gradi di giudizio; poneva le spese di c.t.u. per metà a carico dell’originario attore, per l’altra metà a carico degli originari convenuti.

Evidenziava la corte che l’esame dei titoli e le risultanze della c.t.u. dapprima disposta non davano riscontro semplicemente dell’esistenza di una servitù di passaggio a favore della proprietà dell’originario attore.

Evidenziava segnatamente che la situazione di comproprietà dello stradone, espressamente prefigurata nell’atto per notar D. dell’8.10.1920, doveva reputarsi inalterata all’esito dell’atto per notar M. del 24.8.1931, ancorchè in tal ultimo rogito non fosse stata espressamente ribadita; che invero nel rogito del 24.8.1931 si stabiliva comunque che A. e P.M. acquistavano da O. e V.F. ampia porzione del fondo rustico di proprietà di costoro con “tutte le accessioni e pertinenze, diritti e ragioni”.

Evidenziava ancora che l’atto per notar M. del 25.8.1953 (repertorio n. 2314), intercorso unicamente tra taluni dei contitolari della comunione, sebbene prefigurasse in favore del venditore, P.M., il diritto di passaggio in corrispondenza delle particelle n. (OMISSIS) alienate a V.R., non era “idoneo a ridefinire l’originario diritto di comunione tra tutti i titolari dei fondi” (così sentenza d’appello, pag. 6).

Evidenziava ulteriormente – in ordine, tra l’altro, al secondo motivo dell’appello principale, con cui i V. avevano censurato la valutazione operata dal tribunale in ordine all’ampiezza del tracciato viario – che era da condividere in parte qua il dictum di prime cure.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso V.F.; ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

P.F. ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

V.R. non ha svolto difese.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1325,1350 e 1362 c.c..

Deduce che ha errato la corte di merito allorchè ha ritenuto che il rogito per notar M. del 24.8.1931 ha comportato anche il trasferimento della comproprietà dello stradone.

Deduce invero che il trasferimento della comproprietà poteva attuarsi esclusivamente in virtù di una specifica previsione contrattuale e non già in virtù della previsione “tutte le accessioni e pertinenze, diritti e ragioni”, mera clausola di stile, inserita de plano ed in maniera standardizzata negli atti notarili di vendita.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che la corte distrettuale non ha tenuto conto che il rogito M. del 25.8.1953, repertorio n. 2314, prefigurante la servitù di passaggio a favore dei fondi residuanti in proprietà del venditore, è intervenuto unicamente tra V.R. e P.M..

Deduce che la corte distrettuale non ha tenuto conto del rogito per notar D. del 23.7.1949, con cui P.A. ebbe a vendere a P.V. la proprietà a lui pervenuta a seguito della divisione del 1947.

Deduce che la corte distrettuale non ha tenuto conto del rogito per notar M. del 25.8.1953, repertorio n. 2313, con cui P.V. ebbe a vendere a P.M. la proprietà dei beni in precedenza acquistati.

Deduce che la disamina di tal ultimi rogiti avrebbe dato ragione, contrariamente all’assunto della corte distrettuale, dell’idoneità dell’atto per notar M. del 25.8.1953, repertorio n. 2314, a dar vita unicamente alla costituzione di una servitù di passaggio.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c..

Deduce che il rogito per notar M. del 24.8.1931 non contiene alcun riferimento allo stradone per cui è controversia nè a presunti trasferimenti dei diritti di comproprietà sulla medesima strada.

Deduce altresì che la corretta esegesi, in successione cronologica, degli atti notarili induce a ritenere che, al di là delle espressioni letterali adoperate, la reale volontà delle parti, peraltro riscontrata dalla locuzione “sola” premessa all’espressione “servitù di passaggio”, di cui all’atto per notar M. del 25.8.1953, repertorio n. 2314, era quella di costituire una servitù di passaggio a favore delle porzioni residuanti in proprietà del venditore.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 950 c.c..

Deduce che la corte territoriale, allorchè ha confermato il primo dictum in punto di ampiezza della porzione in comproprietà del tracciato viario, ha erroneamente attribuito pieno valore probatorio al dato catastale; che in tema di proprietà immobiliare le risultanze catastali sono assolutamente ininfluenti.

Deduce al contempo che, al di là del riferimento alle mappe catastali rinvenibile nella prima relazione di c.t.u., nessuna risultanza istruttoria depone nel senso che lo stradone abbia, con riferimento alla porzione in presunta comproprietà, una larghezza di tre metri; che in particolare non depongono in tal senso i dati desunti dall’esito dell’accertamento della situazione dei luoghi.

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la nullità della sentenza.

Deduce che la corte di Napoli è incorsa in ultrapetizione, allorchè ha confermato il primo dictum e dunque pur la statuizione di cui al punto 3) del dispositivo della sentenza del tribunale, statuizione a tenor della quale “lo stradone, nel suo complesso, va delimitato come innanzi esposto e tenendosi conto delle specifiche risultanze della c.t.u. A.”.

Deduce infatti che nè l’originario attore nè gli originari convenuti hanno domandato la delimitazione del tracciato viario.

Il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono strettamente connessi; invero i motivi anzidetti veicolano, tutti, una quaestio ermeneutica; se ne giustifica perciò la disamina contestuale; i medesimi motivi in ogni caso sono destituiti di fondamento.

Evidentemente, negli esposti termini, non possono che esplicar valenza gli insegnamenti di questo Giudice del diritto.

Innanzitutto l’insegnamento secondo cui l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).

Altresì l’insegnamento secondo cui nè la censura ex n. 3 nè la censura ex n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).

Ancora l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte n. 8053 del 7.4.2014 (cfr. anche Cass. 14.7.2016, n. 14355, secondo cui l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inadeguatezza della motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione antecedente alla novella di cui al D.Lgs. n. 83 del 2012, oppure – nel vigore della novellato testo di detta norma – nella ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti).

Nel solco delle enunciate indicazioni giurisprudenziali l’interpretazione patrocinata dalla corte d’appello è in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica, ovvero non diverge da alcun criterio legale di ermeneutica contrattuale.

Del resto questa Corte spiega che, in tema di contratti, il giudice di merito, anche a fronte di una clausola estremamente generica ed indeterminata, deve comunque presumere che sia stata oggetto della volontà negoziale, sicchè deve interpretarla in relazione al contesto (art. 1363 c.c.) per consentire alla stessa di avere qualche effetto (art. 1367 c.c.) e, solo se la vaghezza e la genericità siano tali da rendere impossibile attribuire ad essa un qualsivoglia rilievo nell’ambito dell’indagine volta ad accertare la sussistenza ed il contenuto dei requisiti del contratto (art. 1325 c.c.) ovvero siano tali da far ritenere che la pattuizione in esame non sia mai concretamente entrata nella sfera della effettiva consapevolezza e volontà dei contraenti, può negare ad essa efficacia, qualificandola come clausola di “stile” (cfr. Cass. 31.5.2013, n. 13839).

In tal guisa inappuntabile è la valenza – non di mero “stile” – che la corte di merito ha inteso attribuire alla previsione di cui al rogito M. del 24.8.1931, con la quale appunto si ebbe a stabilire che la porzione di fondo venduta da O. e V.F. ad A. e P.M., veniva ceduta con “tutte le accessioni e pertinenze, diritti e ragioni”. Ed analogamente inappuntabile è il postulato che la corte di merito ha inteso trarne, ossia che vi era motivo per ritenere che i P. “avessero acquistato anche il connesso diritto di contitolarità sullo stradone” (così sentenza d’appello, pag. 5).

Nel solco delle indicazioni giurisprudenziali dapprima enunciate l’interpretazione patrocinata dalla corte distrettuale è immune inoltre da vizi suscettibili di assumere rilievo in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

E’ da escludere, da un canto, che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate (giusta, appunto, la statuizione n. 8053/2014 delle sezioni unite) ad acquisire significato in rapporto al novello dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte territoriale ha ancorato in parte qua il suo dictum.

Segnatamente la corte distrettuale ha specificato che “malgrado la previsione (sostanzialmente inutile) (nell’atto per notar M. del 25.8.1953, repertorio n. 2314) di un diritto di passaggio in favore del venditore P.M. in corrispondenza delle p.lle (OMISSIS) vendute a V.R., lo stesso P. Michele rimaneva comunque contitolare dello stradone in virtù della proprietà delle restanti particelle non vendute, alle quali il diritto era connesso, e restava altresì la comproprietà di P.A.” (così sentenza d’appello, pag. 6).

E’ da riconoscere, d’altro canto, che la corte territoriale ha di certo disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante, in parte qua, la res litigiosa.

Segnatamente (con precipuo riferimento al secondo motivo di ricorso ed alle asserite “omesse considerazioni” dallo stesso mezzo di impugnazione veicolate) si rimarca – pur a prescindere dalle carenze che sul piano dell'”autosufficienza” si appuntano in relazione agli atti notarili che nel corpo dello stesso motivo sono menzionati – che l’omesso esame di questione relativa all’interpretazione del contratto non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto l’interpretazione di una clausola negoziale non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, atteso che in tale nozione rientrano gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi (cfr. Cass. 8.3.2017, n. 5795; Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20718). D’altronde, antecedentemente all’entrata in vigore della novella previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 si spiegava che, in materia contrattuale, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua e corretta motivazione, lo stabilire se una determinata clausola contrattuale sia soltanto “di stile” ovvero costituisca espressione di una concreta volontà negoziale con efficacia normativa del rapporto (cfr. Cass. 2.9.2009, n. 19104).

In ogni caso è innegabile che le censure dal ricorrente addotte si risolvono tout court nella prefigurazione della (asserita) maggior plausibilità della patrocinata antitetica interpretazione (“”la presenza dello stradone era ribadita nell’indicazione dei confini” (…), tale dato (…) ne suffraga proprio la natura di bene autonomo, distinto, diverso dal fondo compravenduto e, di conseguenza, giammai trasferibile senza una esplicita formulazione contrattuale (…)”: così memoria, pag. 4; “la determinante lacuna nell’iter storico di ricostruzione negoziale ha prodotto in pronuncia l’alterazione interpretativa della volontà dei contraenti (…). Posta la decisiva valenza dei fatti ed atti innanzi rimarcati, appare logica e fisiologica l’interpretazione estensiva della clausola costitutiva della servitù di passaggio (…)”: così memoria, pag. 8).

Destituito di fondamento è pur il quarto motivo di ricorso.

Si premette che il motivo de quo si qualifica in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma1, n. 5 (si condivide quindi la prospettazione del controricorrente secondo cui il quarto motivo “riguarda esclusivamente il merito della controversia”: così controricorso, pag. 11).

Invero con il mezzo in disamina V.F. censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte di Napoli ha atteso in ordine all’ampiezza dello stradone (“si è addivenuti, difatti, ad una pronuncia sul parametro dimensionale (…) non supportata da alcun diverso elemento di riscontro (…)”: così ricorso, pag. 34). Del resto è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

In tal guisa, alla luce del (già menzionato) insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte napoletana risulta, anche in parte qua agitur, in toto ineccepibile ed assolutamente congruo e esaustivo.

La corte partenopea ha avallato il percorso motivazionale del primo dictum, siccome fondato sugli esiti della prima c.t.u., che, “in mancanza di espresso riferimento utile all’ampiezza dello stradone nei titoli, ha valorizzato i dati rilevati dall’accertamento della situazione dei luoghi e dalle risultanze catastali, nonchè il ragionevole riferimento ad una misura media della larghezza dei carri agricoli di comune impiego nella zona, stante il passaggio ad “uso carro” definito dalle parti” (così sentenza d’appello, pag. 8).

Cosicchè, da un lato, è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” rilevanti alla stregua della summenzionata pronuncia delle sezioni unite possa scorgersi nelle motivazioni cui la corte d’appello ha, in parte qua, ancorato la sua decisione.

Cosicchè, dall’altro, è da ritenere che la corte d’appello ha di sicuro disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante in parte qua la res litigiosa.

Si tenga conto che i giudici di merito hanno fatto riferimento alle risultanze catastali nel quadro dell’operata più ampia valutazione delle risultanze probatorie, talchè del tutto ingiustificata è l’asserita erronea applicazione del “principio del valore sussidiario del dato catastale ai cui all’art. 950 c.c.” (così ricorso, pag. 27).

Si tenga conto in pari tempo che il ricorrente censura l’asserita distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (“nessun concorrente dato presuntivo di una ampiezza stradale di 3 metri è rinvenibile nell’istruttoria condotta”: così ricorso, pag. 29; “una corretta disamina delle risultanze processuali avrebbe, invece, condotto (…)”: così ricorso, pag. 35).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

Il quinto motivo di ricorso va respinto.

Questo Giudice spiega che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tuttavia da ritenersi tacitamente proposta per essere in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate, delle quali costituisca l’antecedente logico e giuridico (cfr. Cass. sez. lav. 12.3.2004, n. 5134; Cass. 14.7.2004, n. 13014).

Su tale scorta si rileva che l’originario attore aveva chiesto – tra l’altro – “condannare essi convenuti a ripristinare (…) la larghezza dello stradone fino a mt. tre, collocando il sedime nell’originario tracciato”.

Ebbene il dictum – “lo stradone, nel suo complesso, va delimitato come innanzi esposto e tenendosi conto delle specifiche risultanze della c.t.u. A.” – del primo giudice, confermato dalla corte di seconde cure, risulta in rapporto di necessaria connessione con la surriferita domanda dell’iniziale attore e nei limiti di tale domanda deve evidentemente essere inteso.

Propriamente va recepito il rilievo del controricorrente secondo cui non sussiste reale differenza tra il “collocare il sedime nell’originario tracciato” ed il “delimitare il tracciato viario” (cfr. controricorso, pag. 14).

Nè rileva al contempo che la pronuncia sulla “delimitazione” risultasse, nel primo dictum, strettamente connessa alla pronuncia sulla “pavimentazione”, poi espunta dalla corte di secondo grado.

In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

V.R. non hanno svolto difese. Nessuna statuizione nei suoi confronti va perciò assunta in ordine alle spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, V.F., a rimborsare al controricorrente, P.F., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 15 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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