Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17559 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. II, 28/06/2019, (ud. 15/02/2019, dep. 28/06/2019), n.17559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11839 – 2015 R.G. proposto da:

MAGAZZINI Z. di Z.E. & C. s.n.c., – c.f.

(OMISSIS) – in persona del legale rappresentante pro tempore,

Z.E.E. – c.f. (OMISSIS) – O.A. – c.f. (OMISSIS) –

elettivamente domiciliati in Roma, in via Abruzzi, n. 3, presso lo

studio dell’avvocato professor Z.M. che disgiuntamente e

congiuntamente all’avvocato L.A. ed all’avvocato Lucia

Mattarollo li rappresenta e difende in virtù di procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

ALI’ s.p.a., – p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale

rappresentante pro tempore, ALI’ IMMOBILIARE s.r.l. (società

unipersonale) – p. i.v.a. (OMISSIS) – elettivamente domiciliate in

Roma, al Largo Generale Gonzaga, n. 2, presso lo studio

dell’avvocato Alessandro Pazzaglia che disgiuntamente e

congiuntamente all’avvocato Marco Salmazo ed all’avvocato Barbara

Rabacchin le rappresenta e difende in virtù di procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della corte d’appello di Venezia n. 2379 dei

13/28.10.2014, udita la relazione nella camera di consiglio del 15

febbraio 2019 del consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto ritualmente notificato la “Alì” s.p.a. citava a comparire dinanzi al tribunale di Padova la “Magazzini Z. di Z.E. & C.” s.n.c., Z.E.E. ed O.A..

Premetteva che era proprietaria del complesso immobiliare in Comune di (OMISSIS), in catasto terreni al foglio n. (OMISSIS), mappale n. (OMISSIS); che la s.n.c. convenuta era a sua volta proprietaria del limitrofo complesso immobiliare, in catasto terreni al foglio n. (OMISSIS), mappali nn. (OMISSIS); che ambedue i complessi sorgevano su fondi costituenti in origine un’unica proprietà, spettante alla “Brentella Ovest” s.a.s..

Premetteva che la “Brentella Ovest” con rogito in data 9.8.1985, di compravendita e contestuale costituzione di diritto di superficie, aveva alienato porzione della sua proprietà, con quanto allo stato rustico nella medesima porzione era stato edificato, alla “Magazzini Davanzo” s.n.c., dante causa della “Magazzini Z. & C.”; che l’alienazione prevedeva altresì la cessione alla “Magazzini Davanzo” dei diritti tutti – derivanti dalla concessione edilizia in variante n. 72/’85 ottenuta dalla “Brentella Ovest” – di ampliamento in direzione est del fabbricato al rustico e dunque in direzione tale da interessare anche il mappale n. (OMISSIS), all’epoca ancora di proprietà dell’alienante s.a.s..

Premetteva che, onde consentire la realizzazione dell’ampliamento, la “Brentella Ovest” – con lo stesso rogito – aveva costituito in favore della “Magazzini Davanzo” il diritto perpetuo di superficie, ex art. 955 c.c., nel sottosuolo del mappale n. (OMISSIS); si era obbligata, per sè ed i suoi aventi causa, ad astenersi da qualsiasi attività al di sopra del suolo idonea ad arrecare nocumento alla proprietà superficiaria sotterranea; si era accordata con la s.n.c. acquirente affinchè i mappali alienati e quelli rimasti in proprietà sua fossero in perpetuo reciprocamente assoggettati, tra l’altro, a servitù di elettrodotto, acquedotto e gasdotto.

Indi esponeva che la collettiva convenuta aveva leso il diritto di proprietà ad essa attrice spettante sul mappale n. (OMISSIS) per effetto della costruzione e del mantenimento sul medesimo mappale di manufatti – ovvero di una terrazza, del parapetto di delimitazione della stessa e del camino di evacuazione dei fumi al servizio di una centrale termica – eccedenti per la misura di cm. 40 la quota 0,00 da calcolarsi con riferimento all’asse stradale di (OMISSIS).

Chiedeva quindi condannarsi i convenuti ad eliminare le opere tutte idonee a ledere il diritto di proprietà di essa attrice sul soprassuolo del mappale n. (OMISSIS); accertarsi l’idoneità statica e la corretta esecuzione del solaio di copertura del mappale n. (OMISSIS), viepiù giacchè destinato a piazza pedonale aperta al pubblico, nonchè la conformità alla normativa antincendio della centrale a gas ubicata nel sottosuolo del mappale n. (OMISSIS).

Si costituivano la “Magazzini Z. di Z.E. & C.” s.n.c., Z.E.E. ed O.A..

Deducevano che l’edificio allo stato rustico acquistato dalla “Magazzini Davanzo” si trovava alla quota di cm. 94 rispetto al piano di (OMISSIS), sicchè l’ampliamento non poteva che partire dalla stessa quota, corrispondente al piano terra dell’edificio al rustico; che la realizzazione, così come eseguita, del camino della centrale termica rispondeva alle esigenze di una moderna e razionale utilizzazione dell’impianto; che i parapetti a delimitazione della terrazza costituivano una misura di protezione eseguita su disposizione del Comune di (OMISSIS); che l’edificio aveva sin dal 1989 ottenuto il rilascio del certificato di agibilità, sicchè erano superflui gli ulteriori accertamenti sollecitati dalla società attrice.

Interveniva la “Alì Immobiliare” s.r.l., cui la s.p.a. attrice aveva in corso di causa trasferito la proprietà del complesso immobiliare di sua spettanza.

Espletata la c.t.u., con sentenza n. 1839/2011 il tribunale di Padova condannava la “Magazzini Z. & C.” s.n.c. a rimuovere la terrazza realizzata sul mappale n. (OMISSIS) per la porzione eccedente la quota di cm. 104 al di sopra del piano stradale di (OMISSIS), quota 104 individuante la linea di demarcazione tra il sottosuolo, oggetto del diritto di superficie della collettiva convenuta, ed il soprassuolo, oggetto del diritto di proprietà dell’originaria attrice; rigettava ogni ulteriore domanda della “Alì” s.p.a.; regolava le spese di lite e di c.t.u..

Proponevano appello la “Alì” s.p.a. e la “Alì Immobiliare” s.r.l..

Resistevano la “Magazzini Z. di Z.E. & C.” s.n.c., Z.E.E. ed O.A.; esperivano appello incidentale.

Con sentenza n. 2379 dei 13/28.10.2014 la corte d’appello di Venezia accoglieva unicamente e solo in parte il gravame principale ed, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava la “Magazzini Z. & C.” s.n.c. a rimuovere la terrazza realizzata sul mappale n. (OMISSIS) per la porzione eccedente la quota di cm. 94 al di sopra del piano stradale di (OMISSIS), condannava la medesima s.n.c. a rimuovere i parapetti, unitamente alle fioriere che li completavano, della stessa terrazza eccedenti la quota di cm. 94, con esclusione dei parapetti a protezione del cavedio della centrale termica.

Premetteva la corte che il rogito del 9.8.1985 indicava “nel “suolo” il limite tra il diritto del superficiario e quello del proprietario, senza, tuttavia, indicare espressamente la posizione del “suolo”” (così sentenza d’appello, pag. 8).

Premetteva altresì che il c.t.u. aveva rappresentato che all’epoca del rogito di compravendita la porzione edificata era unicamente quella in direzione della strada, posta alla quota di cm. 94 rispetto al piano di (OMISSIS).

Indi evidenziava che il limite tra i diritti della società superficiaria ed i diritti della società proprietaria doveva identificarsi appunto con la quota di cm. 94, “perchè, nella sostanza, le parti avevano previsto che anche l’ampliamento interrato sul mapp. (OMISSIS) sarebbe avvenuto “con le medesime altezze” dell’edificio” (così sentenza d’appello, pag. 9) ed al momento della compravendita “esistevano i solai a dare indicazione evidente della quota di riferimento dell’ampliamento” (così sentenza d’appello, pag. 10).

Evidenziava inoltre che la quota di cm. 94 non poteva essere superata neppure a motivo della realizzazione di un solaio spiovente per l’agevole deflusso delle acque piovane e di maggior spessore per ragioni di sicurezza.

Evidenziava ulteriormente, con riferimento al preteso – e disconosciuto dal primo giudice – obbligo della s.n.c. convenuta di chiudere il foro esistente sul mappale n. (OMISSIS) e sovrastante la centrale termica nonchè di completare il solaio, per un verso, che era pacifico che il foro e le canne fumarie fossero funzionali alla presenza della centrale termica; per altro verso, che la presenza nel mappale n. (OMISSIS) della centrale termica era prevista sia dalla concessione edilizia sia dalla variante alla concessione, sicchè alcun aggravamento della posizione del proprietario, rispetto a quella del superficiario, poteva prospettarsi; per altro verso ancora, che le parti del rogito in data 9.8.1985 avevano assoggettato i rispettivi fondi a servitù reciproche, sicchè sia l’apertura nel piano di calpestio sia le canne fumarie erano da ricondurre a siffatta previsione contrattuale.

Evidenziava infine che i parapetti della terrazza e le fioriere andavano rimossi per la parte eccedente la quota di cm. 94; che nondimeno i parapetti posti a protezione del cavedio della centrale termica andavano mantenuti per le stesse ragioni enunciate in relazione al foro sovrastante la centrale termica ed alle canne fumarie.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso la “Magazzini Z. di Z.E. & C.” s.n.c., Z.E.E. ed O.A.; ne hanno chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

La “Alì” s.p.a. e la “Alì Immobiliare” s.r.l. hanno depositato controricorso, contenente ricorso incidentale articolato in un unico motivo; hanno chiesto rigettarsi l’avverso ricorso ed, in accoglimento dell’esperito ricorso incidentale, cassarsi la sentenza della corte d’appello di Venezia con ogni conseguente pronuncia.

I ricorrenti hanno depositato controricorso onde resistere all’avverso ricorso incidentale.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Parimenti hanno depositato memoria le controricorrenti.

Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c..

Deducono che la corte di merito, allorquando ha ritenuto che la quota di cm. 94 non potesse essere superata neppure a motivo della realizzazione, per ragioni di sicurezza, di un solaio di maggiore spessore, ha omesso di considerare che nel rogito del 9.8.1985 le parti avevano previsto per il piano terra ed il piano cantinato la stessa altezza di m. 3 dal pavimento al soffitto, che il piano interrato costruito in forza della concessione edilizia n. 110/’77 aveva un’altezza di tre metri, che il progetto di ampliamento di cui alla variante n. 72/’85 prevedeva espressamente per i locali al piano interrato sottostanti al mappate n. (OMISSIS) l’altezza di m. 3, che il rispetto della normativa sulle strutture in cemento armato richiedeva, per il solaio, uno spessore superiore a cm. 35,36, sicchè, al fine di mantenere il piano terra dell’edificio alla quota di cm. 94, sarebbe stato necessario edificare più in basso il solaio della terrazza, il che nondimeno avrebbe comportato la riduzione dell’altezza dei locali al piano interrato.

Deducono quindi che la corte distrettuale ha violato sia il criterio ermeneutico che impone di non limitarsi al senso letterale delle parole, sia il criterio ermeneutico che impone di desumere l’intenzione delle parti dal tenore complessivo dell’atto nonchè dalle fonti esterne alle quali le parti abbiano fatto riferimento, nella fattispecie, segnatamente, dal progetto di ampliamento di cui alla concessione edilizia in variante n. 72/’85, parte integrante del rogito in data 9.8.1985.

Deducono ancora che la corte territoriale, allorchè ha ritenuto che la quota di cm. 94 non potesse altresì essere superata dai parapetti e dalle sovrastanti fioriere, “parimenti non ha tenuto conto (…) della volontà negoziale delle parti risultante dal complesso del contratto” (così ricorso principale, pag. 59).

Con il secondo motivo i ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1374 c.c..

Deducono che la corte di Venezia, allorquando ha ritenuto che la quota di cm. 94 non potesse essere superata, non ha tenuto conto che l’oggetto del contratto e la sfera dei diritti e degli obblighi delle parti sono integrati dalla normativa di legge, segnatamente, dalla normativa, a tutela della sicurezza pubblica, in tema di strutture in cemento armato, che impone per gli immobili soggetti all’uso pubblico aventi le dimensioni della terrazza uno spessore maggiore di cm. 35,36.

Deducono quindi che ha errato la corte di Venezia allorchè ha opinato nel senso che le controparti hanno un diritto incomprimibile sul soprassuolo oltre la quota di cm. 94; che invero le controparti sono obbligate, in dipendenza dell’integrazione del contratto, a consentire la realizzazione di un solaio avente lo spessore prescritto.

Deducono che la corte di Venezia, allorquando ha ritenuto – nel rigettare il loro appello incidentale – che la quota di cm. 94 non potesse essere superata neppure a motivo della realizzazione, per la terrazza esterna, di un’adeguata pendenza, onde favorire il deflusso delle acque piovane, parimenti non ha tenuto conto che l’oggetto del contratto e la sfera dei diritti e degli obblighi delle parti sono integrati dalla normativa di legge, segnatamente, dalla normativa sulle regole dell’arte e della buona tecnica edilizia, che impongono che le “terrazze esposte alle acque meteoriche (…) siano dotate di un’adeguata pendenza” (così ricorso principale, pag. 66).

Con il terzo motivo i ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Deducono che la corte di seconde cure ha omesso di esaminare la previsione di cui al progetto di ampliamento autorizzato con la variante n. 72/’85, risultante dalla relazione di c.t.u., alla cui stregua i locali abitabili da realizzarsi al piano interrato, al di sotto del mappale n. (OMISSIS), dovevano avere un’altezza di tre metri dal pavimento al soffitto.

Con l’unico motivo le ricorrenti incidentali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la violazione o falsa applicazione dell’art. 832 c.c. in relazione agli artt. 952 e 955 c.c..

Deducono che ha errato la corte d’appello a reputare legittime le aperture presenti nel piano della terrazza in corrispondenza con la centrale termica e con le canne fumarie.

Deducono che il progetto, parte integrante del rogito in data 9.8.1985, non prevedeva nè l’apertura nel solaio nè le canne fumarie; che depongono in tal senso la concessione edilizia n. 72/’85 con allegato l’estratto della planimetria del progetto e le risultanze della relazione di c.t.u. depositata il 10.6.2009.

I motivi del ricorso principale sono strettamente connessi; difatti i medesimi mezzi di impugnazione veicolano, essenzialmente, una quaestio ermeneutica; in ogni caso i motivi de quibus sono destituiti di fondamento.

Ovviamente esplicano valenza gli insegnamenti di questa Corte.

Innanzitutto l’insegnamento secondo cui l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).

Altresì l’insegnamento secondo cui nè la censura ex n. 3 nè la censura ex n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).

Ancora l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte n. 8053 del 7.4.2014 (cfr. anche Cass. 14.7.2016, n. 14355, secondo cui l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inadeguatezza della motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione antecedente alla novella di cui al D.Lgs. n. 83 del 2012, oppure – nel vigore della novellato testo di detta norma – nella ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti).

Nel solco delle enunciate indicazioni giurisprudenziali l’interpretazione patrocinata dalla corte di seconde cure è in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica, ovvero non diverge da alcun criterio legale di ermeneutica contrattuale.

Vero è, infatti, che, in tema di interpretazione del contratto, anche quando l’interpretazione di ciascuna delle clausole che concorrono alla formazione del testo negoziale è compiuta sulla base del “senso letterale delle parole” e conduca a risultati di certezza, il giudice è tenuto ad applicare il criterio dell’interpretazione sistematica, posto dall’art. 1363 c.c., riferendo le varie espressioni adoperate all’intero testo in modo da ricavarne il senso complessivo e nel contempo intendere la singola espressione in funzione del testo, di cui è parte integrante (cfr. Cass. 11.6.1999, n. 5747).

E tuttavia è da escludere che la corte d’appello si sia sottratta, nel caso di specie, a tale linea metodologica.

Invero la corte di Venezia, allorchè ha ritenuto che occorresse “far riferimento allo stato di fatto esistente all’epoca della compravendita” (così sentenza d’appello, pag. 10), ha chiarito che siffatto postulato si ricavava “dal fatto che più volte il contratto ha indicato che l’edificio di riferimento per la futura realizzazione dell’interrato già esisteva” (così sentenza d’appello, pag. 10).

La corte veneziana dunque ha provveduto a verificare l’esito ermeneutico cui è pervenuta nel quadro del complessivo tenore del rogito del 9.8.1985.

Nel solco delle indicazioni giurisprudenziali dapprima riferite l’interpretazione patrocinata dalla corte di merito è immune inoltre da vizi suscettibili di assumere rilievo in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

E’ da escludere, da un canto, che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate (giusta, appunto, la statuizione n. 8053/2014 delle sezioni unite) ad acquisire significato in rapporto al novello dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte territoriale ha ancorato in parte qua il suo dictum.

In particolare, con riferimento all'”anomalia” della motivazione “apparente” (che ricorre allorquando il giudice di merito, pur individuando nel contenuto della sentenza gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito: cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672), la corte territoriale, alla stregua dei passaggi motivazionali dapprima enunciati, ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il percorso argomentativo seguito.

E’ da riconoscere, d’altro canto, che la corte lagunare ha di certo disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante, in parte qua, la res litigiosa.

In particolare (con precipuo riferimento ai fatti che la corte avrebbe “omesso (…) di considerare” (cfr. ricorso, pagg. 52 – 54) nonchè al terzo motivo di ricorso) si rimarca che l’omesso esame di questione relativa all’interpretazione del contratto non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto l’interpretazione di una clausola negoziale non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, atteso che in tale nozione rientrano gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi (cfr. Cass. 8.3.2017, n. 5795; Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20718).

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte distrettuale risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

Si tenga conto in primo luogo, con precipuo riferimento al primo motivo, che le censure dai ricorrenti addotte si risolvono tout court nella prefigurazione della (asserita) maggior plausibilità della patrocinata antitetica interpretazione (“la Corte di merito (…) ha valorizzato esclusivamente l’elemento fattuale costituito dalla quota alla quale era stato realizzato il piano terra dell’edificio fronte strada, (…) nonostante le plurime indicazioni di segno contrario ritraibili dalla lettura coordinata delle clausole contrattuali e del progetto edilizio”: così ricorso principale, 57).

Si tenga conto in secondo luogo, con precipuo riferimento al secondo motivo, che il presupposto dell’integrazione di cui all’art. 1374 c.c. è l’incompleta o ambigua espressione della volontà dei contraenti; cosicchè, in caso di completa ed univoca espressione di tale volontà, non può farsi questione di integrazione del contratto, ma, eventualmente, solo di invalidità totale o parziale dello stesso se in contrasto con disposizioni di legge (cfr. Cass. 21.3.2014, n. 6747; cfr. Cass. 14.6.2002, n. 8577, secondo cui può darsi luogo all’integrazione del contratto, ai sensi dell’art. 1374 c.c., solo quando le parti non abbiano disciplinato alcuni aspetti del rapporto, e non quando, secondo l’insindacabile apprezzamento del giudice di merito che abbia fatto corretto uso dei criteri di interpretazione del contratto, le parti con le loro pattuizioni abbiano compiutamente ed univocamente previsto il contenuto delle obbligazioni loro derivanti dal contratto stesso e ne abbiano regolato gli effetti).

Evidentemente, in questi termini, non vi è margine denunciare la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1374 c.c..

Invero, alla stregua dell’ineccepibilità e della piena congruenza – quali in precedenza riscontrate – dell’iter ermeneutico seguito, la corte d’appello ha plausibilmente disconosciuto qualsivoglia forma di incompletezza e di ambivalenza con riferimento alla volontà negoziale espressa dal rogito del 9.8.1985.

Ciò viepiù che le affermazioni della corte di merito, secondo cui le esigenze del superficiario del sottosuolo, di aver un solaio idoneo a consentire il deflusso dell’acqua e l’uso pubblico in sicurezza dello spazio sovrastante, non valevano a legittimare la compressione dei diritti del proprietario dell’area (cfr. sentenza d’appello, pag. 11), secondo cui sarebbe stato onere del superficiario l’adozione degli accorgimenti tecnici necessari, nel rispetto dei diritti del proprietario, per la realizzazione dell’opera a regola d’arte (cfr. sentenza d’appello, pag. 11) e secondo “i parapetti, se riteneva, avrebbe dovuto eventualmente realizzarli la proprietaria del mapp. (OMISSIS) (…), di sua pertinenza e responsabilità” (così sentenza d’appello, pag. 12), si accreditano alla luce di taluni puntuali rilievi delle controricorrenti, appieno da condividere e recepire.

Ovvero alla stregua del rilievo per cui, “posto che Magazzini Z. ha la proprietà superficiaria dell’intero sottosuolo, essa poteva tranquillamente porre il pavimento dell’interrato ad una quota inferiore tale da garantire comunque l’altezza di 3 metri ed anche più di quei locali e tale anche da garantire uno spessore del solaio sufficientemente portante” (così controricorso, pag. 5).

Si badi che siffatto rilievo non risulta scalfito dalle correlate “contro argomentazioni” svolte in memoria dai ricorrenti (cfr. pagg. 22 – 25), “contro argomentazioni” che, in maniera affatto singolare, traggono spunto da passaggi motivazionali del dictum di seconde cure (“nella sua sentenza la Corte d’Appello ha valorizzato (…) il fatto che (…). Con la conseguenza che la Magazzini Davanzo s.n.c. non era affatto tenuta ad abbassare la quota del pavimento dei locali interrati”: così memoria dei ricorrenti, pag. 24) in pari tempo e altrove oggetto di recisa censura.

Ovvero alla stregua del rilievo per cui “non è minimamente pensabile che (il superficiario del sottosuolo) abbia la necessità di recingere il solaio di questo sottosuolo per impedire che qualcuno precipiti nel vuoto” (così controricorso, pag. 8).

Evidentemente alla stregua del primo rilievo risultano private di qualsivoglia decisività le circostanze che la corte distrettuale avrebbe omesso di considerare o di cui avrebbe omesso l’esame (cfr. Cass. sez. lav. 2.4.1999, n. 3183, secondo cui la decisività richiesta dall’art. 360 c.p.c., n. 5 per integrare il vizio di motivazione è costituita dalla potenziale idoneità di un elemento, risultante dal processo e non sottoposto ad adeguata critica da parte del giudicante, a determinare una decisione diversa).

Evidentemente alla stregua del secondo rilievo per nulla si giustifica (nonostante la prefigurazione contrattuale “quant’altro ancora necessario e/o utile ai fini di una moderna e razionale utilizzazione degli edifici, manufatti ed impianti che saranno realizzati in loco”) l’assunto dei ricorrenti secondo cui la “Magazzini Davanzo” aveva realizzato la terrazza in esplicazione del suo diritto di superficie sul sottosuolo, sicchè aveva titolo per “dotarla di ogni elemento tecnico accessorio per la sua più agevole e sicura fruibilità” (così ricorso principale, pag. 60).

Destituito di fondamento è del pari l’unico motivo del ricorso incidentale.

E’ indubitabile che le ricorrenti incidentali sollecitano questa Corte alla rivisitazione del giudizio “esegetico” (“sia l’apertura sul piano di calpestio, che le canne fumarie, appaiono rientrare in tale previsione (contrattuale)”: così sentenza d’appello, pag. 12) – sollecitazione, in parte qua, in verità, formulata in maniera piuttosto generica – e del giudizio “di fatto” cui la corte territoriale ha atteso ai fini del rigetto del secondo e del quinto motivo dell’appello principale.

Segnatamente alla rivisitazione del giudizio “di fatto” alla stregua della rivalutazione del documento n. 9, cioè della concessione edilizia n. 72/’85 con allegato l’estratto della planimetria del progetto (da cui “non risulta in alcun modo che una porzione (della centrale termica) avrebbe dovuto rimanere a cielo aperto ed anzi (…) se ne ricava che l’intero mapp. (OMISSIS) avrebbe dovuto essere munito di solaio”: così ricorso, incidentale, pagg. 12 – 13), e delle risultanze della relazione di c.t.u. depositata in data 10.6.2009.

In questi termini si osserva quanto segue.

Nel solco delle indicazioni giurisprudenziali enunciate in sede di disamina dei motivi del ricorso principale il giudizio “esegetico”, recte l’interpretazione patrocinata dalla corte d’appello, pur in parte qua agitur, non diverge da alcun criterio legale di ermeneutica contrattuale ed è in pari tempo immune da vizi suscettibili di assumere rilievo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Nel solco dell’insegnamento a tenor del quale l’asserito cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle risultanze istruttorie da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione (non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante: cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. (OMISSIS)153), la rivisitazione del giudizio “di fatto”, mercè la rivalutazione del documento n. 9 e degli esiti della c.t.u., risulta senza dubbio preclusa.

Il rigetto e del ricorso principale e del ricorso incidentale ovvero la reciproca soccombenza giustificano l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte sia dei ricorrenti principali sia delle ricorrenti incidentali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; compensa integralmente tra le parti tutte le spese del presente giudizio di legittimità; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali, “Magazzini Z. di Z.E. & C.” s.n.c., Z.E.E. ed O.A., e da parte delle ricorrenti incidentali, “Alì” s.p.a. e la “Alì Immobiliare” s.r.l., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 15 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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