Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17555 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. III, 21/08/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 21/08/2020), n.17555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25686-2017 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TARVISIO 2,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FARSETTI, rappresentata e

difesa dagli avvocati GIOVANNI VERDE, ROCCO BRUNO;

– ricorrente –

contro

MILANO ASSICURAZIONI SPA, AVIS AUTONOLEGGIO SPA, S.J.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3461/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2020 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato VERDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.G. agì avanti al Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi per ottenere il risarcimento dei danni conseguiti alle lesioni riportate in un sinistro stradale avvenuto il (OMISSIS), allorquando la vettura in cui l’attrice si trovava trasportata era stata tamponata da quella condotta da S.J.A. (di proprietà dell’Avis e assicurata presso la Milano Assicurazioni s.p.a.) ed era stata sbalzata in avanti, fino a collidere col veicolo che la precedeva.

Il Tribunale affermò l’esclusiva responsabilità della S. e la condannò, in solido con gli altri convenuti, al pagamento di 498.122,00 Euro, detratto quanto già corrisposto alla P. a titolo di provvisionale.

Provvedendo sul gravame principale della Milano Assicurazioni e su quello incidentale della P., la Corte di Appello di Napoli, ha accolto parzialmente il primo, riducendo il risarcimento a 209.299,30 Euro, oltre accessori.

Ha proposto ricorso per cassazione la P., affidandosi a due motivi illustrati da memoria; gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

La trattazione del ricorso è stata rimessa alla pubblica udienza a seguito di ordinanza interlocutoria pronunciata all’esito dell’adunanza camerale del 14.5.2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo (che verte “sulla liquidazione del danno biologico” e denuncia la violazione degli artt. 2056 e 1223 c.c.), la ricorrente contesta la stima della invalidità complessiva nella misura del 50%, in quanto non “aderente alla situazione della periziata”, e sotto altro profilo – si duole che la Corte abbia calcolato il risarcimento sulla base della percentuale di invalidità del 35% stimata conseguente al sinistro, senza tener conto che tale percentuale andava ad incidere, aggravandola, su una precedente patologia (coxoartrosi bilaterale per anca displastica congenita): assume che la Corte avrebbe dovuto effettuare un calcolo differenziale sulla base dei “valori” derivanti dall’applicazione delle tabelle milanesi, sottraendo dal danno “attuale” (di 362.794,50 Euro) quello relativo alla invalidità “originaria” (53.341,50 Euro), così pervenendo ad un differenziale di 309.408,00, che, personalizzato con incremento del 25%, avrebbe costituito la “misura giusta del risarcimento”.

1.1. Il motivo è inammissibile in relazione alla stima della percentuale di invalidità, poichè la stessa involge accertamenti di fatto non sindacabili in sede di legittimità.

1.2. Le censure sono invece fondate per il resto, in quanto:

-in materia di danno differenziale, deve darsi continuità ai principi affermati – da ultimo – da Cass. n. 28986/2019, secondo cui:

“in tema di risarcimento del danno alla salute, la preesistenza della malattia in capo al danneggiato costituisce una concausa naturale dell’evento di danno ed il concorso del fatto umano la rende irrilevante in virtù del precetto dell’equivalenza causale dettato dall’art. 41 c.p. sicchè di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno. Può costituire concausa dell’evento di danno anche la preesistente menomazione, vuoi “coesistente” vuoi “concorrente” rispetto al maggior danno causato dall’illecito, assumendo rilievo sul piano della causalità giuridica ai sensi dell’art. 1223 c.c.. In particolare, quella “coesistente” è, di norma, irrilevante rispetto ai postumi dell’illecito apprezzati secondo un criterio controfattuale (vale a dire stabilendo cosa sarebbe accaduto se l’illecito non si fosse verificato) sicchè anche di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno; viceversa, secondo lo stesso criterio, quella “concorrente” assume rilievo in quanto gli effetti invalidanti sono meno gravi, se isolata, e più gravi, se associata ad altra menomazione (anche se afferente ad organo diverso) sicchè di essa dovrà tenersi conto ai fini della sola liquidazione del risarcimento del danno e non anche della determinazione del grado percentuale di invalidità che va determinato comunque in base alla complessiva invalidità riscontrata in concreto, senza innalzamenti o riduzioni”;

“in tema di liquidazione del danno alla salute, l’apprezzamento delle menomazioni preesistenti “concorrenti” in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall’illecito va compiuto stimando, prima, in punti percentuali l’invalidità complessiva, risultante cioè dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall’illecito e poi quella preesistente all’illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro, con la precisazione che in tutti quei casi in cui le patologie pregresse non impedivano al danneggiato di condurre una vita normale lo stato di invalidità anteriore al sinistro dovrà essere considerato pari al cento per cento; procedendo infine a sottrarre dal valore monetario dell’invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fermo restando l’esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa secondo la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto”;

nello specifico, pur dando atto che il c.t.u. aveva correttamente sottolineato che le lesioni conseguenti al sinistro avevano inciso in termini peggiorativi su una patologia preesistente (coxoartrosi bilaterale per anca displasica congenita), la Corte di merito ha rilevato che i postumi invalidanti subiti dalla P. e “dovuti alle lesioni prodotte dal sinistro, vanno stimati nella misura de 35%” e, applicate le tabelle milanesi correlate all’età della P. al momento del sinistro e tenuto conto dei periodi di invalidità temporanea, ha quantificato il risarcimento dovuto in 193.751,00 Euro; indi, applicata una personalizzazione nella misura del 25%, ha determinato l’importo definitivo in 242.188,75 Euro “in moneta già attualizzata”;

così facendo, la Corte ha però disatteso il criterio sopra individuato, che avrebbe comportato la necessità di calcolare il “valore monetario dall’invalidità complessivamente accertata” e di sottrare da tale valore quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fatta salva la possibilità di esercizio del potere discrezionale di applicare “la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto” (Cass. n. 28896/2019 cit.);

in altri termini, non si evince dalla sentenza impugnata che la Corte abbia effettuato una quantificazione rapportata alla invalidità complessiva successiva al sinistro (comprensiva delle menomazioni preesistenti e di quelle causate dal sinistro che, in rapporto policrono concorrente, hanno aggravato la precedente condizione della P.) per poi pervenire, tramite sottrazione del valore monetario corrispondente alla patologia originaria, a determinare il “differenziale” risarcitorio spettante alla danneggiata;

la sentenza va dunque cassata sul punto, con rinvio alla Corte territoriale, che dovrà attenersi, nella liquidazione, ai criteri di cui sopra.

2. Il secondo motivo (che verte “sul lucro cessante” e denuncia la violazione dell’art. 1226 c.c., art. 2056 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c.) censura la sentenza per avere confermato la decisione di primo grado, reiettiva del risarcimento del danno da lucro cessante, assumendo che “i giudici di merito avrebbero potuto e dovuto risarcire il danno da lucro cessante, da valutare su base prognostica, in base a presunzioni semplici, in via equitativa e sulla base del reddito anteriormente percepito e della assoluta invalidità sopravvenuta”.

2.1. Il motivo è inammissibile in quanto non investe la ratio decidendi, basata sul rilievo che la P. non aveva svolto “specifiche censure” sul capo della sentenza di primo grado che aveva ritenuto non sufficientemente provata la voce del danno da lucro cessante, con la conseguenza che nulla andava disposto sul punto dal giudice di appello; a fronte di tale rilievo, la ricorrente non contesta il ritenuto difetto di censura, ma insiste sulla possibilità di liquidare il lucro cessante, svolgendo pertanto un motivo “eccentrico” rispetto al contenuto della decisione.

La ricorrente, invero, si duole (peraltro in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6) che la Corte di merito abbia condiviso la valutazione del primo giudice in ordine alla mancanza di prova, con ciò svolgendo tuttavia una censura che è priva di pertinenza rispetto alla motivazione (cfr. Cass. n. 359/2005 e Cass., S.U. n. 7074/2017).

Per di più, viene omesso qualsiasi riferimento sia alla motivazione del primo giudice sia al tenore dell’atto di appello sul punto, cosicchè il motivo non si sottrae neppure al rilievo di aspecificità (alla stregua del principio affermato da Cass. n. 4741/2005 e ribadito dalla cit. Cass., S.U. n. 7074/2017);

3. Dichiarata pertanto l’inammissibilità del secondo motivo, deve accogliersi il primo, con cassazione della sentenza in relazione ad esso e rinvio alla Corte territoriale, anche per le spese di lite.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo dichiarando inammissibile il secondo, cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.

3 Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

 

 

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