Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17554 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. II, 28/06/2019, (ud. 14/11/2018, dep. 28/06/2019), n.17554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3215/2015 R.G., proposto da:

B.I., rappresentato e difeso dall’avv. Alfredo Cavanenghi e

dall’avv. Antonio Farina, con domicilio eletto in Roma, Via Oslavia

n. 40;

– ricorrente –

contro

A.S., e M.L., rappresentate e difese dall’avv.

Fausto Marengo e dall’avv. Luciano de Luca, con domicilio eletto in

Roma alla Via Nicotera n. 29;

– controricorrenti –

e

T.C.M.A., rappresentata offesa dall’avv. Marcello

Lugano e dall’avv. Giuseppe Marchetti, con domicilio eletto in Roma

alla Piazza Mazzini n. 27, presso lo studio dell’avv. Antonio

Fusillo;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino depositata in

data 9.6.2014.n. 1103/2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14.11.2018

dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.I. ha adito il tribunale di Alessandria, esponendo di aver esercitato in modo pacifico e continuo una servitù di attingimento di acqua da un pozzo esistente nella proprietà della T.; che la convenuta aveva chiuso il pozzo, impedendo l’esercizio dei diritto. Ha chiesto di dichiarare l’intervenuta usucapione della servitù e di disporre il ripristino dello stato dei luoghi, con vittoria di spese.

La convenuta ha resistito alla domanda, chiedendo di chiamare in causa A.S. e M.L., da cui aveva acquistato l’immobile, per essere manlevata in caso di soccombenza.

Il Tribunale ha accolto la domanda di usucapione ed ha ordinato il ripristino del pozzo.

Su appello di T.C., la pronuncia di primo grado è stata integralmente riformata dalla Corte distrettuale di Torino, la quale, ricondotta a domanda all’ipotesi regolata dall’art. 1080 c.c., ha rilevato che lo stesso appellato aveva riconosciuto che l’acqua era stata attinta in modo saltuario e mediante una pompa amovibile, ed ha, quindi, escluso la sussistenza dei presupposti e la stessa utilitas della servitù.

Ha negato che la porta di accesso al vano ove era il pozzo costituisse un’opera visibile ai sensi dell’art. 1061 c.c., essendo funzionale al passaggio in favore del preteso fondo servente e non all’attingimento di acqua.

Per la cassazione di questa sentenza B.I. ha proposto ricorso in 6 motivi, illustrati con memoria.

A.S., M.L. e T.C.M.A. hanno depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, per aver la Corte distrettuale definito la causa conformemente alla giurisprudenza di legittimità, poichè l’impugnazione non verte esclusivamente su questioni di diritto ma solleva profili concernenti la motivazione e l’esame di fatti decisivi per il giudizio, invocando inoltre, anche riguardo alle denunciate violazioni di legge, orientamenti di questa Corte (quanto all’apparenza delle opere destinate all’esercizio della servitù) di cui non sollecita alcuna revisione, lamentandone una non corretta applicazione da parte del giudice di merito (Cass. 22326/2018).

2. Con il primo motivo (indicato in ricorso con il n. 3.1.) si deduce la violazione degli artt. 1080,1061,1027 e 1028 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza erroneamente asserito che la servitù di presa di acqua deve essere esercitata in modo continuo e senza interruzioni, trascurando che il prelievo era stato effettuato senza restrizioni e che sussistevano opere visibili per l’esercizio della servitù, consistenti nella stessa esistenza del pozzo all’interno della proprietà dei convenuti, accessibile attraverso una porta che conduceva esclusivamente alla proprietà del ricorrente.

Il secondo motivo (indicato con il n. 3.2.) censura la violazione degli artt. 1080,1061,1027 e 1028 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, asserendo che la sentenza abbia escluso erroneamente l’usucapione della servitù, ritenendo necessario, a tale effetto, un prelievo continuo dell’acqua, e per aver ritenuto che il diritto non fosse caratterizzato da un’utilitas di carattere reale, benchè l’acqua fosse stata utilizzata per l’irrigazione di un giardino (la cui esistenza, all’interno del fondo dominante, era stata confermata dalle prove acquisite ed era circostanza incontestata) e nelle frequenti occasioni in cui si erano verificate interruzioni dell’erogazione dell’acqua.

Il terzo motivo censura (indicato con il n. 3.3.) violaziane degli artt. 1080 e 1061 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando che la Corte d’appello abbia negato la sussistenza di opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù, trascurando che il pozzo era collocato all’interno di un vano chiuso su tre lati ed accessibile da una porta in legno che dava accesso solo alla proprietà del B., dovendo dette opere considerarsi un adminiculum servitutis.

La presenza della porta di accesso non poteva risultare indizio della sussistenza di un diritto di passaggio in favore della T. perchè essa conduceva ad un vano al quale non era consentito accedere direttamente dalla proprietà della resistente.

I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

2.1. Non è dato – anzitutto – censurare l’insufficienza della motivazione nel punto in cui è stata esclusa l’apparenza di opere finalizzate alla presa d’acqua e l’utilitas della servitù, poichè la sentenza, depositata in data 9.6.2014, ricade nel nuovo regime dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito con L. n. 134 del 2012. La norma contempla un vizio della decisione, diverso e autonomo da quelli afferenti alla motivazione, consistente nell’omesso esame di un dato accadimento oggettivo, risultante dagli atti processuali o dalla sentenza ed avente carattere decisivo.

Inoltre, proprio per effetto della portata sistematica delle novità introdotte, il controllo sulla motivazione, da dedursi quale violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 1 nei limiti di garanzia del minimo costituzionale ai sensi dell’art. 111 Cost. e comunque nei casi tipizzati dalla giurisprudenza di questa Corte, che non includono anche la contraddittorietà ed insufficienza delle argomentazioni della pronuncia (Cass 23490/2017, 21257/2014; Cass. 13928/2015; Cass. s.u. 8053/2014).

2.2. Riguardo agli ulteriori motivi di doglianza, e decisivo rilevare come la Corte d’appello abbia ritenuto, con statuizione non oggetto di ricorso, che B.I. avesse inteso rivendicare l’acquisto per usucapione di una servitù di presa continua ai sensi dell’art 1080 c.c. e non del diverso diritto di attingimento occasionale di acqua (cfr. sentenza pag. 16).

Definito in questi termini l’oggetto del contendere, il giudice distrettuale ha escluso l’usucapione non già perchè la servitù non fosse stata esercitata in modo continuo, ma poichè, come dedotto dallo stesso ricorrente, la presa d’acqua era avvenuta tramite una “pompa sommersa, prontamente rimossa ed asportata ad ogni utilizzo”. in luogo che mediante un impianto “che consentisse una deduzione idrica continua senza alcuna interruzione”. (cfr. sentenza pag. 15).

Il fatto che il pozzo fosse collocato all’interno di un vano chiuso da tre lati e munito di una porta dalla quale si accedeva esclusivamente alla proprietà di B.I., seppur preso in esame dalla sentenza, non era decisivo, non potendo il manufatto sostanziare un’opera apparente agli effetti dell’art. 1080 c.c.

Difatti la servitù contemplata dalla norma ha per contenuto le facoltà di prelevare o derivare mediante manufatti, l’acqua esistente nel fondo servente, per condurla nel fondo dominante con tali mezzi e in una determinata quantità (Cass. 7475/1995).

Non era sufficiente l’impiego di una pompa rimossa ad ogni utilizzo, occorrendo la collocazione nel fondo servente di tubazioni di conduzione che, fuoriuscendo dalla fonte o dallo sbocco, fossero non solo visibili ma anche stabilmente destinate a soddisfare le esigenze idriche del preteso fondo dominante (Cass. s.u. 2949/2016; Cass. 14654/2007).

Proprio tale presupposto distingue infatti, la servitù prevista dall’art. 1080 c.c. da quella di attingimento di acqua (servotis acquae haustus), che invece si traduce nel prelievo da una fonte collocata sul fondo servente per utilizzarla in loco o trasportarla sul fondo dominante, ipotesi in cui la conduzione non ha luogo tramite manufatti idrici (Cass. 481/1962; Cass..734,11961; Cass. 3438/1956).

2.3 -Per altro verso la Corte distrettuale ha preso in esame solo in astratto e per mera argomentativa la possibilità di configurare, nella fattispecie, una servitù di attingimento (che, però, ha ritenuto estranea al tema dibattuto in giudizio: sentenza pag. 16), ritenendo che le dichiarazioni testimoniali di C.G., confermate dal teste Ab.Gi. consentissero che il pozzo era stato rinvenuto solo a seguito di demolizione di una muratura, e che “non solo la servitù non era apparente, ma non lo era neppure il pozzo in sè e per sè” (cfr. sent. pag. 19).

Pertanto è superfluo accertare se la sentenza abbia erroneamente sostenuto che l’utilitas del diritto non avesse carattere reale o che per l’usucapione per l’usucapione fosse necessario un prelievo continuo di acqua.

4. Il quarto motivo (indicato in ricorso con i nn. 3.4. e 3.4.1), censura la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando che la Corte abbia travisato le dichiarazioni testimoniali, ritenendo inattendibili le dichiarazioni di V.G. e di G.A. per il solo fatto che queste ultime avevano affermato che il pozzo si trovava nella proprietà del ricorrente e che esisteva un impianto non amovibile utilizzato per il deflusso dell’acqua, omettendo di considerare che i testi avevano riferito circostanze decisive, quali l’impiego di una pompa ritirata ad ogni utilizzo per irrigare un giardino del ricorrente e per far fronte alle frequenti interruzioni di acqua.

Si sostiene inoltre che, contrariamente a quanto assento dal giudice di merito, il teste P.L. non aveva affatto sostenuto che l’acqua non fosse destinata a vantaggio al fondo dominante, mentre C.G. e Ab.Gi. avevano riferito dell’esecuzione di lavori alla proprietà della T. e non anche all’immobile del ricorrente, e non avevano negalo che il pozzo fosse rimasto costantemente accessibile dal preteso fondo dominante, come aveva confermato anche il teste R.L.. Il quinto motivo (indicato con il n. 3.4.2.), censura – letteralmente – l’omessa valutazione e pronuncia sulle risultanze testimoniali assunte in primo grado, dalle quali risultava la collocazione del pozzo nella proprietà della resistente, il prelievo di acqua e le relative modalità nonchè la successiva chiusura del pozzo da parte della T..

I due motivi sono assorbiti, dato che l’accertata insussistenza di opere visibili stabilmente destinate alla servitù di presa d’acqua, òescludendo l’acquisto del diritto per usucapione, rende irrilevante esaminare il merito della censura, non potendone conseguire la cassazione della sentenza.

5. Il sesto motivo (indicato in ricorso con il n. 3.5.), censura la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contestando alla sentenza di aver posto a carico del ricorrente anche le spese della c.t.u. espletata in primo grado, volta a stabilire il valore degli immobili, il cui accertamento veniva in rilievo nei soli rapporti tra la resistente e i chiamati in causa.

Il motivo è infondato.

Correttamente la sentenza ha posto a carico del ricorrente anche i costi della consulenza, non rilevando che essa vertesse su questioni pertinenti alla domanda di manleva proposta dalla T. verso i terzi chiamati in causa.

Detta azione è stata respinta per effetto del rigetto della domanda principale e la chiamata in giudizio è stata determinata dall’azione infondatamente proposta dal ricorrente.

In applicazione del principio di causalità, di cui la soccombenza è solo un elemento rivelatore, il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia – propria od impropria – deve essere posto a carico dell’attore soccombente, ove la chiamata in causa del terzo si sia resa necessaria in relazione alla tesi sostenuta in giudizio dall’attore.

Tale principio non incontra alcuna deroga nel caso in cui, con la chiamata del terzo in garanzia, il convenuto, per l’eventualità di accoglimento della domanda proposta dall’attore, intenda, anche se sulla base di un titolo giuridico diverso da quello dedotto in causa, proporre la domande di manleva contro il terzo garante, nell’eventualità che la domanda principale venga accolta (Cass. 3835/1989; Cass. 3716/1980; Cass. 2540/1980; Cass. 425/1980). Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza e con liquidazione in dispositivo. Sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5200,00 a titolo di compenso, in favore di A.S. e M.L., nonchè di Euro 200,00 per esborsi e di Euro 5200,00 per compenso, in favore di T.C.M.A., il tutto oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario spese generali in misura del 15%.

Si dà atto che il ricorrente è tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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